mercoledì 28 aprile 2010

Referendum acqua: Di Pietro, Bersani e la signora Camilla

Sabato 24 aprile, Roma, largo Argentina. Si ferma l'autobus, la signora Camilla scende. Si avvia sotto la pioggia. Con passo lento ma determinato. Rifiuta il volantino, sa già cosa fare. Muove verso il banchetto e firma i referendum per l'acqua. Poi si volta e ripercorre il cammino verso l'autobus. «Adesso posso tornare a casa» dice prima di salirvi. La signora Camilla ha 90 anni. Come lei, nel primo week end di raccolta firme, altre centomila fra donne e uomini di tutto il Paese, di diversa età e di differente storia personale, hanno firmato, dopo interminabili code, ai banchetti dei referendum per l'acqua.
In una conferenza stampa, il segretario del Pd, Bersani, dice di guardare con simpatia chi raccoglie le firme, ma annuncia una petizione e una proposta di legge per riaggiustare la legislazione sull'acqua. In un'intervista, il presidente dell'Italia dei Valori, Di Pietro, conferma che partirà con un suo referendum separato sull'acqua, per modificare l'ultima legge, lasciando inalterato il quadro di mercificazione dell'acqua e del servizio idrico in questo Paese.
C'è qualcosa che non funziona. Qualcosa che Bersani e Pietro si ostinano a non capire. Qualcosa che la signora Camilla e i centomila hanno capito benissimo. Perché qui non si tratta di «petire» perché qualcuno ascolti. Come non si tratta di agitare temi o bandiere da usare sul mercato della politica o della visibilità di partito. E non c'è nulla da aggiustare nell'esistente. Le donne e gli uomini, consapevoli e informati, che hanno riempito i banchetti del fine settimana dicono a chiare lettere che l'esistente non va per niente bene, che va cambiato radicalmente, che l'acqua dev'essere pubblica. Vogliono che un bene essenziale come l'acqua sia sottratto al mercato. Vogliono che sull'acqua nessuno faccia profitti.Senza se e senza SpA. Forse Bersani e Di Pietro dovrebbero ogni tanto disertare Porta a porta e aprire per una volta le finestre: scoprirebbero le migliaia di donne e uomini che sono impegnati in questa campagna. Molti di loro sono alla loro prima esperienza di attivismo sociale. Alcuni di loro, più che benvenuti, sono iscritti ai loro partiti. Scoprirebbero la straordinaria realtà di una grande coalizione sociale dal basso capace di intercettare, senza padrini politici e senza i grandi mass media, un'esigenza reale e diffusa di partecipazione, un bisogno reale di democrazia, una dignità non sopita.
La realtà che manca ai due onorevoli è quella di una grande narrazione sociale sull'acqua e i beni comuni che in questi anni ha attraversato i territori di questo Paese, ha mobilitato energie e intelligenze, ha costruito nuove relazioni e appartenenze. E una forte domanda di futuro.Ma facciano pure, l'On. Bersani e l'On. Di Pietro. Noi siamo altro e, dopo queste due straordinarie prime giornate di campagna, ne siamo ancor più certi e consapevoli. Loro sono il passato, quello che non lascerà tracce. Noi guardiamo al futuro e portiamo con noi la memoria migliore. La signora Camilla, appunto.

Marco Bersani, Attac Italia - Forum italiano dei movimenti per l'acqua

Inps in attivo, aumentiamo le pensioni

Il bilancio dell’Inps dell’anno 2009 si chiude con un avanzo di 7,9 miliardi, pur in presenza di un crescente numero di lavoratori e lavoratrici a contribuzione ridotta o nulla. E’ bene ricordare che anche l’Inail chiude il suo bilancio con più di un miliardo e cinquecento milioni d’attivo ma anche con più di mille morti ed un milione di infortunati sul lavoro.
Sono risultati che si ripetono da diversi anni determinati in gran parte dal fondo parasubordinati e precari che vanta un avanzo di più di 7 miliardi. Non va però nascosto che i fondi degli artigiani, commercianti e dei coltivatori chiudono con un passivo di 9 miliardi e quello dei dirigenti d’azienda di oltre 3 miliardi, anche il fondo clero è in profondo rosso. Tutti questi deficit sono coperti dall’avanzo del fondo precari e di altre prestazioni. Va inoltre ricordato che l’evasione contributiva annua è stimata in 50 miliardi ed i crediti “definiti” con le aziende e non riscossi dall’Inps sfiorano i 30 miliardi. I pensionati italiani versano di ritenute fiscali circa 28 miliardi, mentre negli altri Paesi le ritenute sulla pensione o non esistono o sono minime.
Va infine sgomberato il campo dalla tesi secondo cui il sistema pensionistico è troppo generoso anche se non supera il 9% del Pil e la spesa è minore di quella di quasi tutti gli altri paesi europei.Non potendo più agitare lo spauracchio del crollo finanziario del sistema pensionistico pubblico, lor signori versano lacrime sul futuro pensionistico dei giovani dato che il lavoro precario ed il sistema di calcolo contributivo condannano ad una pensione di natura pubblica inferiore del 50/60% di quella dei loro nonni e genitori. Contemporaneamente ignorano che 5 milioni di anziani vivono con pensioni inferiori a 500 euro al mese e che 10 milioni di pensionati (fondo lavoratori dipendenti privati) percepiscono mediamente meno di 1.000 euro al mese. Anche se l’Inps è in attivo le pensioni non vengono rivalutate e sono pesantemente erose dal costo della vita.Quello del futuro pensionistico dei giovani è un problema reale, figlio del lavoro precario che il governatore della Banca d’Italia, uomini esperiti e politici, dal Pdl al Pd, vorrebbero risolvere con la previdenza integrativa. Infatti lamentano che solo il 25% dei lavoratori è iscritto ai fondi. Fondi che continuano a produrre rendimenti inferiori a quelli del Tfr.
Noi continuiamo testardamente a difendere il sistema pensionistico pubblico in quanto solidale ed universale. Ci sono le risorse per migliorare le pensioni, per un aumento generalizzato degli importi e l’attivazione di un sistema di rivalutazione più aderente alla tipologia dei consumi degli anziani. Ci sono le risorse per ripristinare il minimo di pensione per quei lavoratori e quelle lavoratrici costretti ai lavori precari.
Quello delle pensioni e più in generale dello stato sociale, malgrado le affermazioni di Tremonti «se non ci fosse l’Inps» o di Sacconi «i conti sono in ordine», rimane questione centrale per il mondo del lavoro e la difesa dei diritti. Lor signori insistono sulla previdenza integrativa, insistono sulla diminuzione della contribuzione, varano misure che aumentano l’età per il diritto alla pensione, smantellano l’istituto delle pensioni di anzianità, mettono le mani sul Tfr conferito all’Inps, premiano gli evasori dei contributi con i condoni e le agevolazioni, usano gli avanzi del bilancio dell’Inps e dell’Inail come fossero denari dello Stato.
Le pensioni sono strettamente legate ai salari percepiti e sono salario differito. Rappresentano un legame reale tra occupati e disoccupati e l’unico vero patto solidale tra le generazioni. Un’opposizione alla destra si costruisce se sullo stato sociale e sulle pensioni matura una proposta forte, alternativa alle politiche assistenziali, familistiche, basate su forme assicurative personali sia per le pensioni come per la sanità e persino la disoccupazione.
Il singolo va responsabilizzato, non può continuare a contare sulla protezione dello Stato, è quanto sostiene il Ministro del Lavoro. Sulle pensioni è possibile costruire un grande movimento di lotta, ridare fiducia a milioni di uomini e donne, riaffermare il primato della persona sul profitto e la rendita finanziaria.

Sante Moretti, Liberazione 28.04.2010

Vogliono prendersi tutto - Rispondiamo con il conflitto

Nel 1970 Alfredo Bandelli scrisse una canzone famosa sulle lotte operaie di Mirafiori, intitolata “la ballata della Fiat”. In quella canzone inserì il fatidico verso: Cosa vogliamo! Vogliamo tutto! Bandelli non firmava le sue canzoni, che recavano l’indicazione “parole e musica del proletariato”. Quarant’anni dopo, Italia 2010, a gridare “vogliamo tutto!” sono gli industriali; le parole sono di Emma Marcegaglia, la musica di Berlusconi e dei suoi zelanti ministri.
Confindustria, diceva Gianni Agnelli, è sempre filogovernativa. Preso quindi atto della vittoria del centrodestra nelle elezioni regionali, 6000 industriali si sono riuniti a Parma per stilare la loro lista della spesa e consegnarla al governo. Cosa chiedono i signori industriali? Poca roba, in fin dei conti. Chiedono libertà di licenziare; chiedono più liberalizzazioni (leggi privatizzazioni); chiedono soldi per la ricerca, considerata la nota allergia delle imprese italiane a investire in questo settore; chiedono che si rilancino le colate di cemento sbloccando 10 miliardi di euro per le cosiddette grandi opere. Chiedono che ci si spicci col ritorno al nucleare, e se per caso le Regioni si dimostrassero poco ansiose di ospitare le centrali, che si proceda con le maniere brusche. Chiedono (c’era da dubitarne?) di pagare meno tasse. Chiedono di rottamare definitivamente la Cgil (Marchionne ha perentoriamente detto a Epifani di “finirla con le cantilene” e Colaninno ha proposto di spedire il segretario della Cgil in Cina). Chiedono che la spesa pubblica venga tagliata ogni anno dell’1 per cento. Tempo fino al 27 maggio, dicono, per vedere i primi risultati.
Berlusconi ha sfoderato la sua anima commerciale e ha proposto tra le righe uno scambio tutto sommato ragionevole: “Tutti i soldi a voi, tutto il potere a me!” Lamentando lo scarso potere di cui può disporre, il primo ministro ha chiarito come, tra toghe rosse, intercettazioni indiscrete, Napolitano che gli fa le pulci alla grammatica e poi, addirittura, l’esistenza di un Parlamento, insomma non è facile, ma se si facesse qualche piccola riforma istituzionale magari gli sarebbe più facile venire incontro alle richieste di “Emma”.
Le cronache registrano come a Parma fosse presente anche Bersani, che avrebbe dichiarato quanto segue: “Le riforme si fanno in parlamento, ma per un piano economico andrei ad Arcore anche a piedi!”. Poi, forse spaventato dalla sua stessa audacia, ha chiarito che lui non fa comizi agli industriali (e a nessun altro, aggiungeremmo noi). Il ministro del lavoro Sacconi ha promesso che entro maggio l’obsoleto Statuto dei lavoratori verrà opportunamente rottamato e si presenterà un nuovo “Statuto dei lavori”. Ci saranno alcune regole (alcune!) valide per tutti specie in materia di salute e sicurezza, tutto il resto ricadrà nella contrattazione decentrata: territoriale, aziendale, e persino individuale. In sostanza, un ritorno al secolo XIX, con il singolo lavoratore alla mercé delle “libere scelte” del padrone, senza sindacati che non siano puri enti assistenziali o di servizio, collusi (ma Sacconi ama dire “complici”) con le imprese e con lo Stato. Sacconi è stato infatti molto esplicito: tutto questo si farà collaborando coi sindacati “responsabili, mentre la Cgil che continua a non adeguarsi al pensiero unico sui temi del lavoro e dei diritti, sarà costretta ai margini del confronto”. Il segretario Cisl Bonnani ci ha tenuto a precisare che il suo sindacato è responsabile, che ama profondamente la Fiat e Marchionne ed è pronto a firmare qualsiasi cosa. Applausi a scena aperta.
Sacconi ha pure promesso nuove leggi antisciopero e, per far capire di essere uomo di larghe vedute, ha invocato una “difesa della cultura del lavoro che contrasti quella cultura del nichilismo che dagli anni ’70, ‘i peggiori della nostra vita’, si è diffusa nei settori dell’educazione, dell’editoria, della magistratura.” (il Sole 24 ore, 11 aprile). “Occorre lavorare anche sulla cultura dei giovani: bisogna aiutarli ad accettare qualsiasi tipo di lavoro, anche il più umile, purché sia regolare”. (La Repubblica, 11 aprile).
Il riferimento ai lavori umili cade a fagiolo, considerato che tre giorni dopo (14 aprile) sull’organo di Confindustria sono stati pubblicati i redditi dei primi 150 manager. Redditi 2009, mentre le famiglie tiravano la cinghia, mentre il Pil aveva il peggior calo del dopoguerrra, mentre esplodevano Cassa integrazione e licenziamenti. Non meno di 150 dirigenti di società quotate hanno ricevuto almeno un milione di euro di stipendio prima delle imposte.
Carlo Puri Negri, primo in classifica di Pirelli Re: 15 milioni e rotti.
Tronchetti Provera, sempre Pirelli, 5,94 milioni (+27%);
Bernheim, Generali, 5,08 milioni (+48%);
Montezemolo, Fiat: 5,09 milioni (+55%).
Marchionne, Fiat: 4,78 milioni (+40%).
Profumo, Unicredit: 4,27 milioni (+23%);
Passera, Intesa San Paolo: 3,5 milioni (+27%);
Geronzi, Mediobanca: 3,28 milioni (stabile);
Bernabè, Telecom: 3,13 milioni (+72%);
Vittorio Merloni, Indesit: 3,17 milioni (+40%);
Mangoni, Acea: 3,09 milioni…
Leggendo queste cifre non si può che dar ragione a Berlusconi: la crisi è finita, anzi, forse non c’è mai stata!
Balza agli occhi la sproporzione fra le forze che sostengono questa offensiva arrogante e le difficoltà a mettere in campo una risposta adeguata. Le elezioni regionali ne sono state solo l’ulteriore conferma. I due corni del problema in cui ci troviamo sono i seguenti: la crisi di Rifondazione comunista e della sinistra alternativa, la paralisi del gruppo dirigente della Cgil, la generale mancanza di punti di riferimento organizzati e credibili, rendono un’impresa titanica organizzare un movimento di lotta nei luoghi di lavoro che possa opporsi ai tentativi padronali di utilizzare la crisi per fare carne trita dei diritti dei lavoratori e in generale di ogni tutela sociale. Viceversa, in assenza di forti movimenti di lotta è impossibile aggregare le forze che possano invertire lo stato attuale di disfacimento delle organizzazioni politiche e sindacali che si stanno dimostrando drammaticamente inadeguate a condurre una lotta anche solo difensiva. Il convegno padronale di Parma ha fotografato in primo luogo il tentativo di rendere strutturale e permanente questa situazione, che deriva innanzitutto dagli errori della sinistra e del sindacato negli ultimi decenni.
Il “movimento reale” deve avanzare, nonostante tutto e tutti, in mezzo a questa contraddizione, e noi con esso. L’asprezza del quadro rende più lenta la reazione e non potrebbe essere altrimenti: i lavoratori non scendono facilmente in lotta trovandosi in mezzo a una crisi che assedia letteralmente la vita delle persone, e per giunta senza grandi partiti e sindacati che siano chiaramente disposti a mettersi in campo dalla loro parte. Ma questo è solo un lato della medaglia: l’altra faccia la scopriranno i signori e padroni di questo paese, quando comprenderanno che la demolizione di ogni mediazione renderà incontrollabile anche il conflitto.

NON PAGHIAMO LA LORO CRISI


I sindacati di base europei stilano un appello comune che denuncia le responsabilità della crisi in corso - vedi Grecia - e propone una piattaforma alternativa. E lanciano le iniziative europee: il controvertice eurolatinoamericano di Madrid a maggio ma soprattutto la manifestazione delle Marce europee del 17 ottobre a Bruxelles




La « crisi » marca il fallimento assoluto dell’ideologia neoliberista e delle politiche che pretendono di condurre le sorti dell’umanità. E’ stato comico, l’anno scorso, vedere tutti i nostri governanti, degli adoratori beati della libera concorrenza, trasformarsi in difensori dell’intervento dello Stato. Ma se sono per l’intervento dello Stato, lo sono per salvare gli interessi privati in nome di un precetto ben conosciuto: "socializzare le perdite e privatizzare i profitti".
Così milioni di miliardi di soldi publici, i nostri soldi, sono stati versati, senza discutere, per salvare le banche e gli azionisti mentre ora diventa « impossibile » trovare le risorse minime per rispondere ai bisogni sociali.
Ma non è tutto. La crisi finanziaria ha toccato l’economia reale, la recessione è la con il suo corteo di licenziamenti; padroni e governanti sono ben decisi a continuare ad attaccare i diritti sociali dei lavoratori e delle lavoratrici, particolarmente in materia di protezione sociale, di diritto al lavoro, delle condizioni di lavoro e di salute e sicurezza al lavoro. Il loro obbiettivo è di far pagare la crisi a lavoratrici e lavoratori portando avanti in ciascun paese l’unità intorno alle politiche governative per cercare di indorare la pillola. La xenofobia, il razzismo sono le pestilenze che noi combattiamo. Attraverso il sindacato, costruiamo la solidarietà internazionale dei lavoratori e delle lavoratrici per dar loro una risposta!
Padroni e azionisti si sono arricchiti con i dividendi, i regali fiscali di tutti i tipi, le remunerazioni demenziali. Sta a loro pagare la loro crisi. A noi di imporgli le nostre esigenze sociali. Più che mai, la mobilitazione delle lavoratrici e dei lavoratori è all’ordine del giorno!
Per assicurare il diritto al lavoro per tutte e tutti, sviluppando i lavori socialmente utili e rispondendo ai bisogni collettivi.
Per contrastare i piani «sociali», i licenziamenti, la precarietà (sottopaga, contratti a tempo determinato, part-time imposto, agenzie di lavoro interinale).
Per garantire le prestazioni sociali salariali a disoccupati e disoccupate e alle categorie sociali particolarmente colpite dalla crisi (donne, immigrati/e, giovani, …).
Per diritti sociali armonizzati verso l’alto, affinché cessi il dumping sociale: salari, pensioni, indennità di disoccupazione, minimo sociale …
Per difendere e sviluppare i servizi pubblici, accessibili a tutte e tutti: sanità, educazione, cultura, casa, trasporti, acqua, energia…
Per la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, l’abbassamento dell’età pensionabile.
Per la distribuzione delle risorse e della ricchezza secondo il principio della solidarietà.
Perché i ricchi, i padroni, i dirigenti, … contribuiscano con una tassazione progressiva: chi guadagna di più deve pagare più tasse. Occorre ridistribuire la ricchezza.
Per il diritto alla casa e all’alimentazione sana.
Per garantire i diritti dei e delle migranti
Per l’uguaglianza tra uomini e donne.
Per cambiare davvero il modello di produzione, di distribuzione e di consumo, e creare lavoro che abbia valore per la collettività: nell’educazione, nei nidi, nelle scuole per l’infanzia, in agricoltura, nei servizi sociali, in quelli di cura alla persona, nelle tecnologie ecocompatibili e non inquinanti, nelle reti di trasporto pubblico…
Insieme, partecipiamo al contro-vertice, organizzato in occasione dell’incontro dei capi di Stato europei e dell’America latina, e alla manifestazione del 16 maggio a Madrid.
Insieme, partecipiamo al contro-vertice che si terrà a Barcellona, dal 4 al 6 giogno, in occasione del vertice dei Capi di Stato euro-mediterranei.Insieme, organizzeremo altre iniziative in autunno.
Insieme, partecipiamo alle marce europee contro la disoccupazione e la precarietà, in particolare all’assemblea europea di disoccupati/e il 16, alla manifestazione internazionale, il 17 ottobre a Bruxelles.
Per salvare il loro sistema capitalista, i padroni e gli azionisti si sono organizzati internazionalmente: i movimenti sindacail devono agire attraverso le frontiere per imporre un altro sistema che è quello che sfrutta i lavoratori e lavoratrici, depreda le risorse naturali e i paesi poveri, organizza la fame d’una parte del pianeta,… Vogliamo continuare a costruire una rete sindacale alternativa in Europa, aperta a tutte le forze che vogliono lottare contro il capitalismo, il neo-liberismo.
Ovunque, sviluppiamo e coordiniamo le lotte sociali e costruiamo la resistenza comune a livello europeo ! Di fronte alla crisi del sistema capitalista, lo sciopero generale è necessario. Noi vogliamo costruirlo !






Confederacion General del Trabajo CGT (Etat espagnol)
Confederacion Intersindical (Etat espagnol)
Intersindical Alternativa de Catalunya IAC (Catalogne)
Confederazione Unitaria di Base CUB (Italie)
Sindacato Dei Lavoratori intercategoriale SDL e RDB (Italie)
Confederazione Italiana di Base UNICOBAS (Italie)
Confederazione dei comitati di Base COBAS (Italie)
Unione Sindicale Italiana USI (Italie)
Transnationals Information Exchange TIE (Allemagne)
Sveriges Arbetares Centralorganisation SAC-syndikalisterna (Suède)
British Isles Regional Organising Committee - Industrial Workers of the World IWW (Grande Bretagne)
Confédération Nationale du Travail (France)
Union syndicale Solidaires (France)

Crisi, siamo su una polveriera pronta ad esplodere

Negli ultimi due anni i temi economici e sociali sono stati tenuti al margine dell’agenda politica per responsabilità, ma anche per interesse specifico della maggioranza e del governo.
In Italia coesistono oggi e si sovrappongono elementi di crisi strutturale che vengono da lontano e gli esiti della crisi finanziaria internazionale. I dati disponibili forniscono un quadro impressionante e preoccupante: negli anni della crisi: 2008 e 2009 il PIL italiano si è ridotto del 6,3%, che va confrontato col –3,5% dei paesi della zona euro, il -2,9% dei paesi Ocse, il -2% degli USA (l’epicentro della crisi); il -3,8% della Germania. In sostanza l’Italia – contrariamente a quanto ha sostenuto ossessivamente il governo, ha fatto peggio di tutti gli altri. In conseguenza il Pil pro capite italiano è tornato al livello del 1999, il livello di 10 anni fa: mentre gli altri paesi arretrano in conseguenza della crisi di uno o due anni, in Italia anche a causa della bassa crescita realizzata negli anni passati, le perdite recenti ci riportano a un passato ormai remoto.
Tutto ciò rafforza un processo di impoverimento degli italiani ormai in corso da tempo: se poniamo pari a 100 il Pil pro-capite a parità di potere d’acquisto dei 27 paesi dell’Unione europea possiamo verificare che nel 2000 l’indice dell’Italia risultava pari a 117, di poco inferiore a quello Francia, Germania e Regno Unito, per il 2010 lo stesso indice è previsto al livello di 98,6, molto distante ormai da quello dei grandi paesi europei e più prossimo al 95,6 della Grecia, o la 93,4 di Cipro.Di tutto ciò la gente è inconsapevolmente consapevole, quindi è spaventata, e bisognosa di rassicurazione e protezione e le cerca dove ritiene di poterle trovare; purtroppo non presso l’attuale opposizione. L’impoverimento relativo dell’Italia è l’effetto di un lungo periodo di bassa crescita economica, causata a sua volta da un modestissimo aumento ( e in riduzione nel corso del tempo) della produttività: tra il 2000 e il 2005 l’aumento della produttività è risultato infatti solo dello 0,1%. Bassa produttività significa (è bene ripeterlo) bassa crescita economica e progressiva perdita di terreno rispetto agli altri paesi.
A ciò si aggiunge la situazione dei conti pubblici e del debito pubblico che è andata peggiorando sistematicamente durante i governi della destra, tanto che il surplus primario si è trasformato in deficit, e la spesa primaria che era scesa al livello minimo del 39,9% nel 2000 ha raggiunto il 48% del Pil nel 2009, mentre per il 2010, in assenza di correzioni si prospetta un disavanzo di quasi un punto superiore a quanto ipotizzato dal governo, e un debito che torna ai livelli dei primi anni ’90, vanificando gli sforzi di un decennio, e riproponendo ex novo la questione del risanamento finanziario. Poiché il Fmi prevede che a causa degli elevati livelli dei disavanzi e del debito pubblico provocati dalla crisi in tutti i paesi, i tassi di interesse sono destinati a salire di 2 punti, ciò significa per l’Italia una possibile crescita della spesa corrente ( e del deficit) nei prossimi anni di 2- 2,5 punti di Pil.
I dati sulle forze di lavoro mostrano che la disoccupazione, se si tiene conto dei lavoratori che sono usciti dal mercato e di quelli in cassa integrazione, raggiunge ormai l’11%. Infine la vicenda della Grecia indica che negli anni del dopo crisi occorrerà fare i conti non solo con i disavanzi interni, ma anche con quelli esteri. E l’Italia insieme a Grecia, Portogallo, Spagna e Irlanda presenta un deficit rilevante e crescente della bilancia dei pagamenti ( oltre 2 punti di PIL) che era in pareggio nel 2000.Deficit interni e deficit esteri renderanno inevitabilmente necessarie politiche restrittive e deflazionistiche, salvo che l’Europa ( e con essa L’Italia) riprenda una crescita accelerata. E poiché la correzione in regime di moneta unica non potrà avvenire attraverso una svalutazione della moneta, potrà risultare necessario ridurre il disavanzo pubblico e i redditi delle famiglie con strumenti più tradizionali, visibili e dolorosi (tagli e tasse), senza escludere la possibilità di una riduzione dei salari nominali come fu fatto durante il fascismo (1927) per raggiungere “quota 90”, e come stanno facendo oggi Irlanda e Grecia. Stando così le cose l’assenza di un dibattito serio e onesto sulla situazione economica è un errore gravissimo che sta compiendo la maggioranza e il governo, ma neanche l’opposizione sembra pienamente consapevole della situazione. Il disagio è grande e non è un caso che esso cominci ad esprimersi anche attraverso le divisioni politiche pubbliche ed esplicite all’interno della maggioranza.
Ci aspettiamo dunque periodi difficili. In particolare andrebbe affrontato il problema della politica economica dell’Europa, e della crescita in Europa: non è affatto ovvio che i disavanzi siano un peccato e i surplus una virtù. Analogamente se gli altri paesi (USA, Cina) cercano di pilotare la svalutazione delle loro monete per accrescere le esportazioni non si capisce perché l’Europa debba assistere passivamente alla rivalutazione dell’euro e allo spiazzamento delle proprie esportazioni. E ancora che credibilità può avere presso la popolazione europea una politica che ritiene insostenibile una inflazione superiore al 2%, e accetta tranquillamente una disoccupazione del 10 o più per cento?
Vi sono poi le questioni interne: come si aumenta la produttività dell’economia italiana? Negli anni passati abbiamo provveduto a restringere i salari e i costi del lavoro e a sostenere le esportazioni riducendo tasse e contributi: vi è la possibilità di affrontare più direttamente a conclusivamente la modernizzazione del paese? Dobbiamo impegnarci ad aiutare (e indurre) le imprese a raggiungere dimensioni accettabili, o continuare a sussidiare con decine di miliardi di euro le nostre micro imprese attraverso l’evasione fiscale tollerata e protetta (dalla maggioranza, dal Governo ma anche talvolta inconsapevolmente dalla opposizione)?
Come si affronta il rischio, evidenziato da Fini della disarticolazione del Paese, e della contrapposizione tra nord e sud? Come si risolve il problema del degrado morale del Paese che si traduce in corruzione dilagante, conflitti di interesse irrisolti, ecc?

martedì 27 aprile 2010

Acqua pubblica: 100 mila firme in 48 ore.

Una partenza straordinaria quella della raccolta firme per i referendum per l’acqua pubblica. Più che raddoppiato l’obiettivo che il Comitato promotore si era dato alla vigilia del lancio. Sono infatti oltre centomila le firme raccolte nel fine settimana della Liberazione in centinaia di piazze italiane.Una mobilitazione impressionante che ha visto lunghe file ai banchetti di tutte le città e dei paesi. Un folla consapevole e determinata, che in alcuni casi ha fatto anche diversi chilometri per trovare il banchetto più vicino a casa. Oltre 12mila firme in un solo giorno in Puglia, 10mila a Roma, 4mila firme a Torino città, 3500 a Bologna, 2500 a Milano. Dati impressionanti dalle piccole città: 4200 firme a Savona e provincia, 2mila firma a Latina e Modena, oltre 1500 ad Arezzo e Reggio Emilia. Dati sorprendenti sui paesi 1300 firma ad Altamura, 850 a Lamezia Terme.
Molti sindaci e amministratori hanno firmato in piazza, tra cui i sindaci di Ravenna ed Arezzo (entrambi Pd). In Molise Monsignor Giancarlo Bregantini (Arcivescovo metropolita di Campobasso) ha firmato in rappresentanza dei 4 vescovi delle Diocesi della Provincia.
Il comitato promotore esprime tutta la sua soddisfazione per il successo delle iniziative. Siamo di fronte ad un vero e proprio risveglio civile, un risveglio che parte da associazioni e da cittadini liberi, un risveglio che parte dall’acqua.

sabato 24 aprile 2010

L'attualità del 25 Aprile, la voglia di continuare

Sono passati ormai molti anni da quel lontano 25 aprile 1945 quando l’Italia fu finalmente liberata dal giogo fascista e dall’occupazione nazista ma il senso e l’importanza di quell’evento non è certo venuta meno. Dopo un ventennio di fascismo e dopo anni di lotta di resistenza il popolo, con alla testa i partigiani, e con l’aiuto delle forze alleate, riuscì a sconfiggere il nemico e liberare il Paese.A distanza di sessantacinque anni da quel fatidico giorno ne rivendichiamo l’attualità.
Sono quotidiani gli attacchi alla nostra Costituzione repubblicana, nata e fondata sulla resistenza, e le offese e le calunnie verso quei ragazzi e quelle ragazze che scelsero la via più difficile e dolorosa, quella della resistenza partigiana contro la carogna fascista, animati solo da sentimenti di uguaglianza, libertà e giustizia sociale.
Detti eventi, legati al proliferare delle organizzazioni neo-fasciste e naziste, caratterizzano una situazione assai pericolosa e preoccupante.Non intendiamo nasconderci dalle responsabilità anche del centro sinistra, nonostante la nostra posizione sia stata sempre di tono opposto, e ricordiamo qui, nel momento in cui onoriamo il giorno zero della nostra Repubblica, che gli attacchi alla Costituzione e ai partigiani sono iniziati proprio da autorevoli esponenti del centro sinistra, che poi hanno aperto la strada alle vergogne dei nostri giorni.Anche oggi noi siamo qui, pronti a lottare e resistere contro ogni azione e comportamento che possa in qualche modo compromettere e che tenti di sopprimere i caratteri democratici e libertari della nostra Repubblica e della nostra Costituzione conquistate col sangue del popolo e dei partigiani.
Riproponiamo la creazione di un fronte unitario con tutte quelle forze sinceramente democratiche disponibili a fare un fronte unico contro le minacce che oggi corre la democrazia italiana.
Oggi come ieri: ora e sempre resistenza, non parole vuote ma una pratica quotidiana.




di Gianni Bartoletti e Niccolò Gherarducci,


Coordinamento Giovani Comunisti Livorno

Adesso basta, sull'acqua decidiamo noi

Perché un referendum?
Perché l’acqua è un bene comune e un diritto umano universale. Un bene essenziale che appartiene a tutti. Nessuno può appropriarsene, né farci profitti. L’attuale governo ha invece deciso di consegnarla ai privati e alle grandi multinazionali. Noi tutte e tutti possiamo impedirlo. Mettendo oggi la nostra firma sulla richiesta di referendum e votando SI quando, nella prossima primavera, saremo chiamati a decidere. E’ una battaglia di civiltà. Nessuno si senta escluso.
Perché tre quesiti?
Perché vogliamo eliminare tutte le norme che in questi anni hanno spinto verso la privatizzazione dell’acqua.Perché vogliamo togliere l’acqua dal mercato e i profitti dall’acqua.
Cosa vogliamo?
Vogliamo restituire questo bene essenziale alla gestione collettiva. Per garantirne l’accesso a tutte e tutti. Per tutelarlo come bene comune. Per conservarlo per le future generazioni. Vogliamo una gestione pubblica e partecipativa. Perché si scrive acqua, ma si legge democrazia.
Dai referendum un nuovo scenario
Dal punto di vista normativo, il combinato disposto dei tre quesiti sopra descritti, comporterebbe, per l’affidamento del servizio idrico integrato, la possibilità del ricorso al vigente art. 114 del Decreto Legislativo n. 267/2000.
Tale articolo prevede il ricorso ad enti di diritto pubblico (azienda speciale, azienda speciale consortile, consorzio fra i Comuni), ovvero a forme societarie che qualificherebbero il servizio idrico come strutturalmente e funzionalmente “privo di rilevanza economica”, servizio di interesse generale e scevro da profitti nella sua erogazione. Verrebbero di conseguenza poste le premesse migliori per l’approvazione della legge d’iniziativa popolare, già consegnata al Parlamento nel 2007 dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua, corredata da oltre 400.000 firme di cittadini.E si riaprirebbe sui territori la discussione e il confronto sulla rifondazione di un nuovo modello di pubblico, che può definirsi tale solo se costruito sulla democrazia partecipativa, il controllo democratico e la partecipazione diretta dei lavoratori, dei cittadini e delle comunità locali

I QUESITI REFERENDARI



Primo quesito: fermare la privatizzazione dell’acqua
«Volete voi che sia abrogato l’art. 23 bis (Servizi pubblici locali di rilevanza economica) del decreto legge 25 giugno 2008 n. 112 “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria” convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 133, come modificato dall’art. 30, comma 26 della legge 23 luglio 2009, n. 99 recante “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia” e dall’art. 15 del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, recante “Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della corte di giustizia della Comunità europee” convertito, con modificazioni, in legge 20 novembre 2009, n. 166?»
Si propone l’abrogazione dell’art. 23 bis (dodici commi) della Legge n. 133/2008 , relativo alla privatizzazione dei servizi pubblici di rilevanza economica.
È l’ultima normativa approvata dal Governo Berlusconi. Stabilisce come modalità ordinarie di gestione del servizio idrico l’affidamento a soggetti privati attraverso gara o l’affidamento a società a capitale misto pubblico-privato, all’interno delle quali il privato sia stato scelto attraverso gara e detenga almeno il 40%.
Con questa norma, si vogliono mettere definitivamente sul mercato le gestioni dei 64 ATO (su 92) che o non hanno ancora proceduto ad affidamento, o hanno affidato la gestione del servizio idrico a società a totale capitale pubblico. Queste ultime infatti cesseranno improrogabilmente entro il dicembre 2011, o potranno continuare alla sola condizione di trasformarsi in società miste, con capitale privato al 40%. La norma inoltre disciplina le società miste collocate in Borsa, le quali, per poter mantenere l’affidamento del servizio, dovranno diminuire la quota di capitale pubblico al 40% entro giugno 2013 e al 30% entro il dicembre 2015.
Abrogare questa norma significa contrastare l’accelerazione sulle privatizzazioni imposta dal Governo e la definitiva consegna al mercato dei servizi idrici in questo Paese.

Secondo quesito: aprire la strada della ripubblicizzazione
«Volete voi che sia abrogato l’art. 150 (Scelta della forma di gestione e procedure di affidamento) del Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 “Norme in materia ambientale”, come modificato dall’art. 2, comma 13 del decreto legislativo n. 4 del 16 gennaio 2008
Si propone l’abrogazione dell’art. 150 (quattro commi) del D. Lgs. n. 152/2006 (c.d. Codice dell’Ambiente), relativo ala scelta della forma di gestione e procedure di affidamento, segnatamente al servizio idrico integrato.
L’articolo definisce come uniche modalità di affidamento del servizio idrico la gara o la gestione attraverso Società per Azioni a capitale misto pubblico privato o a capitale interamente pubblico. L’abrogazione di questo articolo non consentirebbe più il ricorso né alla gara, né all’affidamento della gestione a società di capitali, favorendo il percorso verso l’obiettivo della ripubblicizzazione del servizio idrico, ovvero la sua gestione attraverso enti di diritto pubblico con la partecipazione dei cittadini e delle comunità locali. Darebbe inoltre ancor più forza a tutte le rivendicazioni per la ripubblicizzazione in corso in quei territori che già da tempo hanno visto il proprio servizio idrico affidato a privati o a società a capitale misto.

Terzo quesito: eliminare i profitti dal bene comune acqua
«Volete voi che sia abrogato il comma 1, dell’art. 154 (Tariffa del servizio idrico integrato) del Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 “Norme in materia ambientale”, limitatamente alla seguente parte: “dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”?»
Si propone l’abrogazione dell’’art. 154 del Decreto Legislativo n. 152/2006 (c.d. Codice dell’Ambiente), limitatamente a quella parte del comma 1 che dispone che la tariffa per il servizio idrico è determinata tenendo conto dell’ “adeguatezza della remunerazione del capitale investito”.
Poche parole, ma di grande rilevanza simbolica e di immediata concretezza. Perché la parte di normativa che si chiede di abrogare è quella che consente al gestore di ottenere profitti garantiti sulla tariffa, caricando sulla bolletta dei cittadini un 7% a remunerazione del capitale investito, senza alcun collegamento a qualsiasi logica di reinvestimento per il miglioramento qualitativo del servizio.Abrogando questa parte dell’articolo sulla norma tariffaria, si eliminerebbe il “cavallo di Troia” che ha aperto la strada ai privati nella gestione dei servizi idrici, avviando l’espropriazione alle popolazioni di un bene comune e di un diritto umano universale
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mercoledì 21 aprile 2010

LA SCUOLA PUBBLICA VA A ROTOLI

100 euro a persona per i corsi di recupero:
«La scuola non ha soldi»




Studenti sul piede di guerra, genitori che hanno votato sì «perché non c'era alternativa», e un preside che si giustifica prendendo in mano il bilancio degli ultimi tre anni: «Dunque, i nostri crediti nei confronti dello Stato arrivano a 100 mila euro. Cos'altro posso fare?». Istituto Enrico Fermi di Verona, un tecnico professionale di solida tradizione, che ha sfornato provetti odontoiatri e preparati bio-chimici. Ma da qualche anno le cose stanno franando, tanto che la scorsa settimana i genitori si sono visti recapitare una circolare con cui si informa che i corsi di recupero estivi, per chi ne avrà bisogno, saranno a pagamento. E saranno cari: 100 euro a persona. «Non esiste, il preside sbaglia non può far pagare a noi il problema che ha con lo Stato - si indigna Alessandro Sorio della Rete degli studenti - E mi chiedo: ma quanto costano questi corsi? Come vengono gestiti i soldi?». Stamattina è previsto un volantinaggio in istituto, poi l'idea degli studenti è mettersi in contatto con le altre scuole. Perché a Verona come altrove i «contributi volontari» a carico delle famiglie lievitano di mese in mese. Sabato scorso genitori e studenti sono scesi in piazza per denunciare che «la scuola pubblica va a rotoli». Prima i soldi chiesti all'atto di iscrizione, ora anche per i corsi durante l'estate. Corsi che la scuola deve attivare, ma a cui non è obbligatorio partecipare: «Gli studenti però li frequentano, è il modo migliore per prepararsi all'esame di settembre», dice Alessandro. Ma, certo, 100 euro è una bella cifra, non è detto che tutti possano permettersela, anche perché i crediti accumulabili sono tre prima della bocciatura. «Il contributo rappresenta un motivo in più per gli studenti per impegnarsi a raggiungere la sufficienza», si augura il dirigente Antonio Ciampini nella circolare inviata ai genitori. Ma non è difficile capire che chi accumula più crediti, spesso, è anche lo studente più debole socialmente, probabilmente quello che meno può permettersi di pagare i corsi.« Abbiamo detto sì a malincuore ma non c'era alternativa. La scuola soldi non li ha e francamente pagare il corso di recupero è il minimo - dice Elisabetta Dell'Aera, presidente del Comitato genitori - la mia preoccupazione è un'altra: che succede se si rompe una macchina dei laboratori? Chi paga? Quest'anno ho chiesto che venisse messo nero su bianco quanto dovrebbe essere il contributo volontario dei genitori perché la scuola possa vivere con agio. La risposta è stata: 400 euro a persona. Ho detto tutto». All'inizio dell'anno, invece, i genitori del Fermi pagano 270 euro, 210 chi si iscrive alla prima classe. «In questo modo recuperiamo 140 mila euro all'anno, tutti soldi che utilizziamo esclusivamente per acquistare materiale per i laboratori. Faccio presente che tenere in piedi una coltura di batteri costa 16 mila euro. - spiega il dirigente Ciampini - I conti sono questi: un corso di recupero costa 900 euro, i ragazzi sono in media 9 a corso. Ecco spiegati i 100 euro». Non gli piace questa storia, chiedere soldi alle famiglie pesa anche a lui: «Ma sono un servitore dello Stato, non voglio esprimere giudizi». I bilanci però sono lì, e gridano vendetta: la scuola aspetta ancora i soldi per gli esami del 2008. «Non per vantarmi, ma questa è una scuola che ha sfornato eccellenze - dice Ciampini - E per garantirle i soldi servono. Fino all'anno scorso spendevamo anche 50 mila euro per i nostri laboratori. Quest'anno 10 mila».
La storia del Fermi mette in evidenza la vera emergenza dei tecnici e dei professionali: gestire una scuola che deve offrire una formazione anche pratica costa di più. Proprio questi istituti, che tradizionalmente intercettano un'utenza più difficile, finiscono per chiedere contributi più salati alle famiglie. «Una vera e propria tassazione indiretta, che dovrebbe essere calcolata quando il governo dice di aver tagliato le tasse», sottolinea la responsabile Flc Cgil di Verona Anna Paola Marconi. Il ministro dell'Istruzione Maristella Gelmini aveva definito la pratica dei contributi volontari «lamentosa» e aveva annunciato per il prossimo anno lo stanziamento di 10 milioni di euro: peccato che i crediti delle scuole siano arrivati a circa 1 miliardo e mezzo.

martedì 20 aprile 2010

L'APPETITO VIEN MANGIANDO



Il 6 luglio 2009, un mese dopo le elezioni la giunta leghista di Asolo decide di «ritoccare» lo stipendio del sindaco e degli assessori che viene più che raddoppiato. Il precedente sindaco guadagnava 1394 euro, il nuovo 2928. Ecco la delibera.



Nel 2009 il Veneto, che ha appena tributato un consenso elettorale record alla Lega, ha perso circa 52.000 posti di lavoro, il numero dei disoccupati ha raggiunto il livello di 126.500 persone. Secondo l’agenzia Veneto Lavoro il prodotto interno lordo in questa regione chiave dell’economia nazionale è calato del 4,8% lo scorso anno, il prodotto pro-capite è sceso ai livelli di dieci anni fa e un recupero sulla media del 2008 sarà possibile solo nel 2015, se tutto andrà per il meglio. I più colpiti, quelli che pagano gli effetti più duri della crisi, sono gli operai maschi, stranieri e con un contratto a tempo determinato. Sono stati licenziati, difficilmente troveranno un’occupazione nel breve-medio periodo.
Questa è la realtà sociale ed economica del Veneto. Una realtà difficile come in molte altre regioni italiane. Poi c’è la politica, ci sono le amministrazioni, ci sono i nuovi leader leghisti. Uno si aspetterebbe che davanti a una crisi spaventosa e dopo una vittoria elettorale senza condizioni gli amministratori di Bossi affrontassero questo momento delicato con piglio deciso e provvedimenti adeguati all’emergenza. Ma, per ora, bisogna aspettare. Anche gli uomini della Lega tengono famiglia e amano i piaceri del potere.
A Treviso i leghisti rifanno la sede della provincia come se fosse una reggia spendendo senza ritegno e comprando pure un tavolo di cristallo da 12mila euro ma poi negano i soldi alle scuole.
La presidente della provincia e sindaco di San Donà Francesca Zaccariotto, astro nascente della Lega, appena eletta si era aumentata lo stipendio. Altri amministratori e sindaci leghisti, ad esempio ad Asolo e in altri comuni del trevigiano, hanno pensato che, crisi o non crisi, è giunto il momento di arrotondare stipendi e indennità perché non si vive solo di aria e di gloria politica.Oggi che la Lega ha in mano la guida del Piemonte e del Veneto, e partecipa al governo in Lombardia puntando anche a Palazzo Marino a Milano, mostra sul territorio la sua faccia feroce coi più deboli e, su un livello più alto di potere, capitalizza il numero dei voti esigendo, come ha detto esplicitamente Bossi, «le banche del Nord, perché ce lo chiede il popolo» e punta a infilare i suoi uomini nei consigli di amministrazione delle grandi aziende di Stato e nelle municipalizzate. Come si può contrastare questa Vandea?

lunedì 19 aprile 2010

LIBERI DI CURARE ANCORA


Gli operatori di Emergency Matteo Dell'Aira, Marco Garatti e Matteo Pagani Guazzugli Bonaiuti, fino a oggi detenuti in una struttura dei servizi di sicurezza afghani, sono stati liberati, non essendo stato possibile formulare alcuna accusa nei loro confronti". È quanto si legge in un comunicato diffuso a Milano da Emergency, nel quale si ringrazia «tutti coloro che hanno lavorato insieme a Emergency per il rilascio, in Italia, in Afghanistan e nel mondo".
"Siamo molto, molto felici che i nostri tre operatori siano stati finalmente liberati e che abbiano potuto contattare le loro famiglie dopo otto giorni di angoscia": è il commento di Cecilia Strada, presidente di Emergency, pochi minuti dopo l'annuncio della liberazione a Kabul di Marco Garatti, Matteo Pagani e Matteo Dell'Aira. "Non avevamo dubbi sul fatto che tutto si sarebbe risolto bene - ha detto Cecilia Strada - perchè abbiamo sempre saputo che sono innocenti, così come lo sapevano le centinaia di migliaia di cittadini italiani che ci hanno sostenuto in questi giorni". I tre operatori, ha detto, stanno bene e sono felici di essere liberi. In questo momento si trovano nell'Ambasciata italiana a Kabul. Una liberazione, quella dei tre operatori arrestati nove giorni fa, che secondo Emergency è stata possibile «grazie al lavoro di tutti coloro che si sono adoperati in questi giorni". Non sa ancora, Cecilia Strada, se e quando i tre operatori potranno tornare in Italia: "Ora è il momento della gioia, poi si ragionerà su cosa fare".


Il responsabile della comunicazione di Emergency
Maso Notarianni

Caduta libera

Edward Luttwak, invitato da Michele Santoro alla trasmissione Anno Zero in qualità di esperto di politica estera americana, ha spiegato, di fronte ad un’esterrefatta platea, che Emergency, proprio in quanto votata a curare senza esclusioni tutti coloro, belligeranti o meno, che ne hanno bisogno, dunque anche i talebani, non fa che protrarre i tempi della guerra perché guarisce persone le quali, una volta ristabilite, tornano a combattere. Se invece fossero lasciate morire, la guerra si estinguerebbe, in virtù di una più rapida e definitiva eliminazione del nemico. Ecco spiegato, con raggelante cinismo, senza bisogno di ulteriore istruttoria, il motivo per cui i servizi di ogni Paese ingaggiato nel conflitto afgano, non meno delle gerarchie dei contingenti militari impiegati sul campo, considerano come fumo negli occhi l’attività umanitaria che i volontari prestano negli ospedali, assimilata - secondo lo schema binario, bianco/nero, amico/nemico - all’attività terroristica. Va da sè che a questa meritoria “opera di bene” si possa pagare qualche prezzo. Come occultare la verità, neutralizzare ogni testimonianza che possa dare conto dei delitti, delle violenze, anche le più efferate e gratuite che il conflitto genera quotidianamente. A partire dal massacro di inermi, in primo luogo bambini, che affollano (pardon: affollavano) l’ospedale di Lashkar Gah, da due giorni chiuso dai signori della guerra, plastica rappresentazione di un orrore senza fine. Un massacro che rende insopportabile l’ipocrita retorica somministrata per reclutare le truppe di occupazione fra i peacekeeper fra i portatori della democrazia, fra i difensori di una sicurezza internazionale che i «nostri ragazzi» generosamente difenderebbero dal flagello terroristico.
Presa a calci da Luttwak (e da un ministro come La Russa, al quale manca solo indossare stivali e camicia nera d’orbace per aderire, lombrosianamente, all’immagine del fascista d’annata), la verità, come abbiamo scritto qualche giorno fa, è la prima vittima della guerra.
Ma di essa si può fare poltiglia anche fuori dal contesto bellico. E, forse, è proprio lo sdoganamento della guerra a rendere tutto possibile.
Cambiamo scena, ma non spartito. Ieri l’altro, il caudillo che regna come un satrapo sull’Italia si è spinto oltre una soglia che sembrava insuperabile, quando nel corso di una conferenza stampa con ministri al seguito, ha spiegato che sono trasmissioni come La Piovra e libri come Gomorra a nuocere all’immagine del nostro Paese. Si è osservato con ragione che l’uomo non è nuovo a simili sproloqui. Questa volta, tuttavia, egli ha aggiunto una cosa in più, e cioè che l’opera di Saviano rappresenta un vero e proprio «supporto promozionale alla mafia».
Occorre superare il moto di ribrezzo che una simile affermazione suscita per comprenderne il senso profondo. Berlusconi crede che il problema non sia la mafia, ma chi la racconta. Che la verità, non sia condizione necessaria per la presa di coscienza, a sua volta premessa di una lotta alla mafia che per essere vincente deve divenire «movimento culturale e morale per rompere la catena dell’omertà e delle complicità». Berlusconi - da autocrate che guarda al popolo come ad una massa plebea ignorante, preda del suo populismo demagogico - non sa cosa sia la “società civile”, non ha la più pallida idea di cosa sia la democrazia. Anzi, egli ne teme la refrattarietà al comando unilaterale, egli aborre l’irriducibilità dei cittadini a volgo servile dominato da egoistici istinti. Il capo dell’esecutivo, impegnato a trasformare l’Italia in una repubblica presidenziale e a riassumere in se stesso un potere assoluto privo di contrappesi, pensa che i tempi siano maturi per una simile svolta. Occorrerà svegliarsi in fretta, affinchè questa stagione da incubo non si volga in tragedia. Per tutti noi. Perchè nel Pantheon di Berlusconi non troveremo combattenti per la libertà, ma Licio Gelli e Marcello Dell’Utri. Ieri, in piazza San Giovanni, abbiamo capito che, malgrado tutto, c’è speranza, sotto questo cielo grigio.
Dino Greco, Liberazione 18.04.2010

domenica 18 aprile 2010

“Lo giuro, non tacerò mai”

L’autore di “Gomorra” scrive una lettera aperta in cui annuncia, fra l’altro, che forse lascerà la Mondadori, casa editrice del presidente del Consiglio

Una risposta veemente, quella di Roberto Saviano, indirizzata al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, dopo le accuse lanciate contro l’autore di “Gomorra” che ha descritto per la prima volta agli italiani la violenza della camorra nel casertano e scoperto il volto dei boss casalesi che hanno martoriato un’intera Regione per decenni nel silenzio e nell’omertà più assoluti.
Accuse assurde, che soltanto Silvio Berlusconi poteva partorire e, nello stesso tempo, un attacco alla libertà di pensiero e di cronaca, in un mondo che dovrebbe essere, per il nostro premier, silenziato, per non fare pubblicità alla criminalità organizzata. Ma ora è lo stesso Saviano a rispondere con una razionale e argomentata lettera pubblica. «Si fermi un momento a pensare a cosa le sue parole significano. A quanti cronisti, operatori sociali, a quanti avvocati, giudici, magistrati, a quanti narratori, registi, ma anche a quanti cittadini che da anni, in certe parti d'Italia, trovano la forza di raccontare, di esporsi, di opporsi, pensi a quanti hanno rischiato e stanno tutt'ora rischiando, eppure vengono accusati di essere fiancheggiatori delle organizzazioni criminali per il solo volerne parlare. Perché per lei è meglio non dire» scrive e attacca: «Io credo che solo e unicamente la verità serva a dare dignità a un Paese. Il potere mafioso è determinato da chi racconta il crimine o da chi commette il crimine?».
Saviano ricorda che il boss mafioso Michele Greco (detto il papa, messo a capo della cupola dallo stesso Totò Riina) attribuiva a libri come “Il padrino” di Mario Puzo la responsabilità per il carcere cui erano soggetti dei “galantuomini” come loro e che i casalesi hanno sempre negato alla radice i fatti raccontati da “Gomorra”, accusando l’autore di essere il vero camorrista. «Il silenzio è ciò che vogliono – scrive Saviano – Vogliono che tutto si riduca a un problema tra guardie e ladri. Ma non è così. E' mostrando, facendo vedere, che si ha la possibilità di avere un contrasto. Lo stesso Piano Caserta che il suo governo ha attuato è partito perché è stata accesa la luce sull'organizzazione dei casalesi prima nota solo agli addetti ai lavori e a chi subiva i suoi ricatti».
D’altronde, nulla di nuovo sotto il sole, ricorda Saviano. Da sempre i libri di accusa come il suo suscitano polemiche, vengono accusati di “diffamare” un’intera popolazione, un’intera terra di persone oneste. «Guardando a chi ha pagato con la vita la lotta per la verità, trovo assurdo e sconfortante pensare che il silenzio sia l'unica strada raccomandabile» aggiunge Saviano. Eppure, continua rivolgendosi direttamente a Berlusconi, «avrebbe potuto dire molte cose per dimostrare l'impegno antimafia degli italiani. Avrebbe potuto raccontare che l'Italia è il paese con la migliore legislazione antimafia del mondo. Avrebbe potuto ricordare di come noi italiani offriamo il know-how dell'antimafia a mezzo mondo. Le organizzazioni criminali in questa fase di crisi generalizzata si stanno infiltrando nei sistemi finanziari ed economici dell'occidente e oggi gli esperti italiani vengono chiamati a dare informazioni per aiutare i governi a combattere le organizzazioni criminali di ogni genealogia. E' drammatico - e ne siamo consapevoli in molti - essere etichettati mafiosi ogni volta che un italiano supera i confini della sua terra. Certo che lo è. Ma non è con il silenzio che mostriamo di essere diversi e migliori».
Saviano ricorda i martiri dell’antimafia, Giovanni Falcone, don Peppe Diana, perché è soprattutto a loro che il premier dovrebbe chiedere scusa. Poi, ricordando di aver pubblicato per le sue case editrici (Mondadori, Einaudi) si chiede se sia mai possibile continuare a farlo, dopo le accuse che il suo proprietario ha lanciato. «La cosa che farò sarà incontrare le persone nella casa editrice che in questi anni hanno lavorato con me, donne e uomini che hanno creduto nelle mie parole e sono riuscite a far arrivare le mie storie al grande pubblico. Persone che hanno spesso dovuto difendersi dall'accusa di essere editor, uffici stampa, dirigenti, "comprati". E che invece fino ad ora hanno svolto un grande lavoro. E' da loro che voglio risposte». Ed infine, una solenne promessa: «Lo giuro Presidente, anche a nome degli italiani che considerano i propri morti tutti coloro che sono caduti combattendo le organizzazioni criminali, che non ci sarà giorno in cui taceremo”

L'IMMAGINE DELL'ITALIA

Se interpreto correttamente il pensiero del nostro presidente del consiglio, il guaio italiano non è avere la camorra, ma scrivere che esiste la camorra. Così non ha esitato a prendersela con Roberto Saviano e il suo Gomorra (Mondadori). E’ una vergogna. Per una volta sono d’accordo con lui: vorrei proprio sapere chi è quell’editore cinico, avido e senza scrupoli che ha pubblicato il libro di Saviano, chi è il padrone della casa editrice che ha fatto un sacco di soldi sputtanando il paese nel mondo. Naturalmente non si può ridurre il problema a un libro e a un autore. Così Silvio Berlusconi se l’è presa anche con le fiction televisive sulla mafia, quelle che fanno pubblicità a cosa nostra. Tipo La piovra, per esempio. Citazione datata, a dire il vero. Il presidente del consiglio avrebbe dovuto indirizzare i suoi strali su prodotti televisivi più recenti, come Il capo dei capi, (Canale 5) che racconta la storia di Totò Riina, oppure L’Ultimo Padrino (Canale 5), oppure Squadra antimafia, Palermo oggi (Canale 5) che va in onda proprio in questi giorni. Comunque, ha ragione: vorrei sapere chi è quel disfattista che possiede l’emittente televisiva che fa pubblicità alla mafia e ci guadagna pure dei soldi. Ma un certo fiuto giornalistico ce l’abbiamo, e ci è bastata una breve indagine per conoscere la verità. L’editore che ha fatto i soldi con Gomorra si chiama Silvio Berlusconi. L’editore televisivo che ha fatto i soldi con le fiction sulla mafia si chiama Silvio Berlusconi. Ora il caso è molto semplice. O, per uno straordinario caso di omonimia, esiste più di un Silvio Berlusconi, minimo due, forse addirittura tre, e questo è più di quanto possa sopportare un paese; oppure ci troviamo di fronte al più grave caso di schizofrenia che si ricordi. Silvio Berlusconi attacca duramente Silvio Berlusconi. Se lo incontrasse lo prenderebbe a calci. Se potesse lo arresterebbe per propaganda anti-italiana. Insomma Silvio Berlusconi questo Silvio Berlusconi non lo sopporta proprio. Come dargli torto?

Tariffe, boom rincari in 5 anni

Dal 1996 al 2009 i prezzi delle assicurazioni sono saliti del 131,3%.Tra il 2005 e il 2009 il rialzo per l'acqua potabile è stato del 31,8


Dalle poste ai pedaggi autostradali, dai trasporti al canone tv: è boom di rincari per le tariffe pubbliche. L'Osservatorio prezzi e mercati di Unioncamere, ha infatti elaborato nuovi dati secondo i quali le tariffe postali sono rincarate del 13% circa, quelle autostradali del 15%, quelle ferroviarie del 26%, mentre per i trasporti marittimi l'impennata è stata di oltre il 38%. Tirando le somme, l'aumento registrato nel 2009 porta l'incremento complessivo delle tariffe pubbliche negli ultimi cinque anni al più 15%.
Tariffe locali. Ma ad aumentare in maggior misura sono le tariffe locali: tra il 2005 e il 2009, per i rifiuti solidi urbani il rincaro è stato del 29,1% e del 4,5% lo scoro anno. Per l'acqua potabile invece il rialzo è stato del 31,8% nel quinquennio e del 7,6% solo 2009.
Gli aumenti sono dovuti alla tendenza a portare le tariffe a livelli compatibili con la totale copertura dei costi del servizio, "secondo un processo di ristrutturazione che - stando a quanto riferito dall'Unioncamere - implica per il settore dei rifiuti il passaggio dalla tassa (Tarsu) alla tariffa (Tia), e per quello dell'idrico il passaggio al Metodo normalizzato previsto dalla legge Galli. E' evidente - denuncia l'associazione - che questi aumenti contribuiscono a erodere il potere d'acquisto delle famiglie e ad accrescere i costi che gravano sui bilanci delle imprese, in particolare piccole e medie: una maggiore moderazione in questo senso sarebbe auspicabile, soprattutto in una fase come quella attuale in cui gli equilibri economico-finanziari degli uni e degli altri sono già messi a dura prova dalla debolezza del mercato del lavoro e dall'aumento delle materie prime". Rispetto a Eurolandia. E in Italia, l'andamento dei rincari è superiore alla media europea e a quello degli altri Paesi. Il prezzo dei servizi finanziari (più 89,9%), comparto nel quale rientrano anche quelli bancari, viaggia a un ritmo doppio rispetto a Eurolandia, dove l'aumento è del 43%, e quadruplo rispetto alla Francia (più 22,2%). In Germania l'aumento è del 31%, mentre nel Regno Unito si registra addirittura un calo (meno 22%). Peggio dell'Italia va soltanto la Spagna (più 97,2%). Rincari record anche per gli affitti: il più 49% dell'Italia è secondo solo al più 72,9% della Spagna e superiore al più 28,1% della media, mentre tutti gli altri registrano aumenti molto più contenuti (appena più 16,7% la Germania). L'acqua potabile è invece cresciuta del 68,4% contro il 41% di Eurolandia, i rifiuti del 68,3% (più 55,4% in Europa), l'elettricità del 36,2% (più 31,9%), i trasporti marittimi dell'86,2% (più 47,2%) e i servizi postali del 37,6% (più 27,3%).Assicurazioni. Dal 1996 al 2009 i prezzi delle assicurazioni in Italia sono aumentati del 131,3%, contro il più 35,3% della zona euro. A certificare la galoppata di Rc auto e altri prodotti assicurativi è il Quaderno dei prezzi del Dipartimento del Tesoro del Ministero dell'Economia relativo a dicembre 2009.
Shopping. Anche per il classico shopping in Italia la spesa è aumentata ben più che altrove: per l'abbigliamento si registra un rincaro del 22,4%, che è più del doppio dell'aumento europeo (più 8,9%); il più 29,8% delle calzature si confronta con il più 18,1% di Eurolandia; per i libri in Italia si spende il 34,2% in più, contro il più 24,6% dell'eurozona. Molto minore è invece il distacco nel carrello della spesa: gli alimentari dal 1996 a oggi sono aumentati del 32,6% in Italia e del 30% in Europa.Benzina. Si registrano invece aumenti inferiori alla media della zona euro nel caso della benzina: la voce carburanti e lubrificanti in Italia è cresciuta del 36,1%, meno degli aumenti registrati in tutti gli altri Paesi presenti nello studio e anche meno della media europea (più 54,9%).

Nucleare. La folle scelta del governo

A Parigi il Governo ha assunto impegni molto pesanti sul nucleare, nell'ambito degli accordi italo-francesi. Quanti ancora si illudono che questo governo non tenterà di procedere per reintrodurre il nucleare in Italia debbono ricredersi. Solo una ferma opposizione e una risposta forte dell'opinione pubblica possono fermare la folle scelta nucleare del Governo.
Non sarà facile, ma ci si può riuscire perchè nell'opinione pubblica le contrarietà o almeno le perplessità sono molto forti. Tanto è vero che i candidati della destra alla Presidenza delle Regioni, durante la recente campagna elettorale, hanno tutti dichiarato: nucleare si ma non in questa regione. Per di più ora Berlusconi ha dichiarato che si impegnerà personalmente a fare propaganda per il nucleare per farlo accettare dagli italiani, confermando implicitamente che fino ad ora non lo è.
Il ricorso delle Regioni
E' molto importante il ricorso che hanno fatto le Regioni alla Corte Costituzionale contro la legge 99/2009 che reintroduce il nucleare, contestando il mancato rispetto del titolo V della Costituzione e dei poteri che assegna alle Regioni. Per di più il primo decreto legislativo di attuazione della legge 99/2009 - riguardante la localizzazione delle centrali nucleari - ha peggiorato ulteriormente la situazione perchè è stato adottato dal Governo senza il previsto parere delle Regioni e per di più con la previsione che senza accordo il Governo deciderà comunque sostituendosi alle Regioni e - per completare il quadro - imponendo la costruzione delle centrali alle comunità locali anche con la militarizzazione dei siti.
Una legge di iniziativa popolare
Per questo nel riconoscere il valore dell'iniziativa delle 11 Regioni che hanno impugnato la legge occorre guardare oltre. Per fermare il Governo e la lobby nuclearista capeggiata in Italia da Enel occorre mettere in campo tutte le iniziative possibili. In questa direzione nelle prossime settimane il "Comitato Si alle energie rinnovabili No al nucleare" promuoverà una legge di iniziativa popolare per rilanciare l'uso delle energie da fonti rinnovabili e il no al nucleare.
Italia dei Valori ha deciso di promuovere per conto proprio - purtroppo - un referendum abrogativo della legge 99/2009 e del decreto legislativo 8/3/2010. Questa iniziativa unilaterale e solitaria dell'IdV purtroppo mette a rischio l'esito del referendum perchè nell'attuale situazione italiana solo un fronte largo e unitario può sperare di fare il quorum e quindi di vincere il referendum abrogativo. Non è in questione il referendum. Anzi avevamo proposto all'IdV semmai di promuoverlo insieme costruendo un largo consenso all'inizitiva. A questo punto sarebbe importante avere da almeno 5 Regioni (numero minimo per promuoverlo) l'impegno a promuovere il referendum abrogativo. Infatti anche per le Regioni si pone non solo il problema di difendere il loro ruolo costituzionale e le loro prerogative ma anche di contestare il merito della scelta nucleare.
Un errore clamoroso
Il nucleare assorbirà interamente le poche risorse disponibili in Italia, bloccherà nei fatti lo sviluppo delle energie da fonti rinnovabili, ricadrà sui cittadini con le bollette e sulle finanze dello Stato.
Per di più anche dal punto di vista dello sviluppo e dell'occupazione è un errore clamoroso. Uno studio rivela che a parità di energia prodotta (1TWh) il nucleare crea 75 posti di lavoro mentre l'eolico 980 e il fotovoltaico addirittura 76.000.
Non è più conveniente come dimostrano ormai molti studi. Del resto per far tornare i conti i costi di costruzione sono stati calcolati alla metà del reale e ignorati quelli dello smantellamento e poi della gestione delle scorie che da soli fanno più che raddoppiare ulteriormente i costi finali.
Il nucleare è pericoloso per la salute e l'ambiente, produce scorie che rimarrano pericolose anche per centinaia di migliaia di anni. E' questa l'eredità che vogliamo lasciare alle future generazioni ? Perchè l'Italia dovrebbe scegliere una via energetica costosa e pericolosa? Per questo le Regioni dovrebbero - come chiede loro il Comitato - mettersi alla testa di un'iniziativa referendaria per abrogare la legge 99/2009 e il relativo decreto legislativo 8/3/2010

mercoledì 14 aprile 2010

Io sto con Emergency

FERRERO (FEDERAZ SINISTRA): EMERGENCY, ADERIAMO A MANIFESTAZIONE DEL 17. GOVERNO ITALIANO PROTEGGA NOSTRI CONNAZIONALI INVECE DI INFANGARE STRADA.

Siamo vicini a Gino Strada e all’associazione Emergency, e vogliamo esprimere ai familiari del personale medico arrestato dai servizi segreti afghani, la nostra più totale solidarietà. La Federazione della Sinistra dà la propria totale e convinta adesione alla manifestazione convocata da Emergency per sabato prossimo 17 aprile a Roma. Accogliamo ed estendiamo l’invito a sottoscrivere la petizione di solidarietà con i tre medici lanciata da Emergency sul suo sito web. Troviamo incredibile ed irresponsabile il comportamento del governo italiano che dopo aver avvallato menzogne infamanti nei confronti di medici che prestano la loro opera in una situazione difficilissima, non sta facendo nulla. Il governo italiano deve proteggere i nostri connazionali e deve chiedere al governo afghano che rispetti le sue leggi e la sua costituzione, liberando quindi chi è illegalmente trattenuto da oltre 48 ore nelle carceri afgane.L’Afghanistan ha bisogno di scuole, case, ospedali, medici non certo di armi e truppe. Emergency rappresenta in Afghanistan l’Italia migliore e non permetteremo a nessuno d’infangarla

Noi stiamo con Emergency

La cifra morale dei governanti di questo nostro sfortunato Paese è ben rappresentata dal ministro degli esteri, tale Franco Frattini, il quale, di fronte al sequestro dei tre operatori di Emergency da parte dei servizi afghani in combutta con l’Isaf, con l’accusa di terrorismo, non ha trovato altre parole che queste: «Se fosse vero sarebbe una vergogna». Sarebbe, appunto. Dove quel condizionale, che sfiora la presunzione di colpevolezza, così imprudentemente ostentato, tradisce l’ostilità per l’organizzazione che ha scelto per se stessa, come missione incondizionata, l’assistenza sanitaria, per salvare vite nei luoghi più disgraziati e per le persone più povere. Ma secondo l’ineffabile ministro degli esteri italiano, c’è una macchia indelebile - confermata dalle parole del sottosegretario Alfredo Mantica - sull’organizzazione di Gino Strada: «Fanno troppa politica», dice. Dove per “fare politica” si intende la professione pacifista, la condanna senza appello della guerra, dell’inutile ferocia, della disumanità e dei danni irreparabili di cui essa si rende responsabile. Più in là di tutti si spinge Maurizio Gasparri, per il quale è la “linea” di Emergency a costituire «un grave danno per l’Italia». La convinzione di Emergency che l’occupazione militare e il sempre più attivo coinvolgimento italiano nelle operazioni militari rappresentino un errore gravissimo è motivo più che sufficiente per innescare l’odio di chi invece - abbandonati ogni remora e paravento umanitario - nel conflitto ha immerso il nostro Paese sino al collo. E si sa che quando ci sono due parti in conflitto, anche la più disinteressata iniziativa, proprio perché orientata, come nel caso di Emergency, ad offrire cure e assistenza a 360 gradi, senza esclusione alcuna, viene vissuta e spacciata per collusione con il nemico. Dove la disumanità e la violenza più efferata regnano sovrane, dove è bandito ogni sentimento di pietà, dove il gesto solidale, che richiama ad una fratellanza dimenticata, quotidianamente presa a cannonate, è considerato un pericolo. Come pericolosi, per la cattiva coscienza di chi nasconde i propri crimini dietro la propaganda di guerra, sono gli occhi di quanti, in quel teatro, sono in grado non soltanto di curare, ma anche di vedere, di capire, di testimoniare. Perché, come è noto, la prima vittima della guerra è la verità, sottoposta alla contraffazione, piegata artatamente nel suo opposto per offrire uno straccio di giustificazione a ciò che giustificazione non può avere. Abbiamo iniziato da qui perché, con tutta evidenza, il pregiudizio politico dei titolari dei dicasteri degli Interni e della Difesa, il loro sentirsi, sopra e prima di tutto, parte politica in gioco, prevale su ogni altra considerazione e giunge sino a travolgere i loro primari doveri istituzionali di ministri della Repubblica. Prendono per buone informazioni di fonte giornalistica e si preoccupano unicamente di commentarne il contenuto per dichiarare che «Emergency non fa parte della rete di organizzazioni umanitarie patrocinate dalla cooperazione italiana»; non protestano per non essere stati direttamente messi a conoscenza di un’operazione svoltasi con il palese coinvolgimento dell’Alleanza; trascurano di intervenire (o lo fanno tiepidamente e con grave intempestività) al fine di pretendere il rispetto dei diritti delle persone tuttora (illegalmente) fermate e di cui nulla è dato più sapere. Dovrebbero dimettersi, se fossero provvisti di un brandello di dignità. E qualcuno, dalla cloroformizzata opposizione parlamentare, dovrebbe chiederlo.
Dunque, il Times di Londra ha accreditato la notizia, rivelatasi falsa, di una mai avvenuta confessione dei tre uomini di Emergency prelevati dall’ospedale di Lashkar Gah: la confessione di essere terroristi impegnati in un complotto per uccidere il governatore della provincia afghana di Helmand. Ebbene, Il Giornale, nella edizione di ieri mostra di conoscere l’una e l’altra notizia: la falsa ammissione di colpevolezza e la totale infondatezza della circostanza. Dell’una e dell’altra il quotidiano di Feltri dà conto nell’articolo, ma in prima, il titolo di testa continua a recitare: «Gli amici di Strada: confessione shock». E il sottotitolo: «Preparavano agguati kamikaze». Libero batte tutti e si aggiudica lo sproloquio più clamoroso, suggerendo un sillogismo il cui senso è questo: Strada è amico dei Talebani, i Talebani sono terroristi, quindi... Piuttosto indecente. Ma perché lo fanno? Diceva un saggio che raccontare un diluvio di menzogne è come vuotare un sacco di piume: per quanto tu ti sforzi di raccoglierle, qualcuna resta sempre in giro. Vale forse la pena di aggiungere che un estremo per quanto residuo soprassalto morale dovrebbe impedire di gettare fango su persone integre. Di varcare quella soglia. Ma temo che questo limite sia stato ormai ampiamente superato e che chiedere ascolto, almeno in questo, sia una passione inutile.Noi stiamo con Emergency.

Dino Greco, Liberazione

IO NON CI STO! LA TETTERA DI UN CITTADINO DI ANDRO

Pago io la mensa ai bambini esclusi. Sono figlio di un mezzadro che non aveva soldi ma un infinito patrimonio di dignità. Ho vissuto i miei primi anni di vita in una cascina come quella del film "L'albero degli zoccoli". Ho studiato molto e oggi ho ancora intatto tutto il patrimonio di dignità e inoltre ho guadagnato soldi per vivere bene. E' per questi motivi che ho deciso di rilevare il debito dei genitori di Adro che non pagano la mensa scolastica

A scanso di equivoci, premetto che:
- Non sono «comunista». Alle ultime elezioni ho votato per Formigoni. Ciò non mi impedisce di avere amici di tutte le idee politiche. Gli chiedo sempre e solo da condivisione dei valori fondamentali e al primo posto il rispetto della persona.
- So perfettamente che fra le 40 famiglie alcune sono di furbetti che ne approfittano, ma di furbi ne conosco molti. Alcuni sono milionari e vogliano anche fare la morale agli altri. In questo caso, nel dubbio sto con i primi. Agli extracomunitari chiedo il rispetto dei nostri costumi e delle nostre leggi, ma lo chiedo con fermezza ed educazione cercando di essere il primo a rispettarle. E tirare in ballo i bambini non è compreso nell'educazione. Ho sempre la preoccupazione di essere come quei signori che seduti in un bel ristorante se la prendono con gli extracomunitari. Peccato che la loro Mercedes sia appena stata lavata da un albanese e il cibo cucinato da un egiziano. Dimenticavo, la mamma è a casa assistita da una signora dell'Ucraina.
Vedo attorno a me una preoccupante e crescente intolleranza verso chi ha di meno. Purtroppo ho l'insana abitudine di leggere e so bene che i campi di concentramento nazisti non sono nati dal nulla, prima ci sono stati anni di piccoli passi verso il baratro. In fondo in fondo chiedere di mettere una stella gialla sul braccio agli ebrei non era poi una cosa che faceva male.
I miei compaesani si sono dimenticati in poco tempo da dove vengono. Mi vergogno che proprio il mio paese sia paladino di questo spostare l'asticella dell'intolleranza di un passo all'anno, prima con la taglia, poi con il rifiuto del sostegno regionale, poi con la mensa dei bambini, ma potrei portare molti altri casi.
Quando facevo le elementari alcuni miei compagni avevano il sostegno del patronato. Noi eravamo poveri, ma non ci siamo mai indignati. Ma dove sono i miei compaesani, ma come è possibile che non capiscano quello che sta avvenendo? Che non mi vengano a portare considerazioni «miserevoli». Anche il padrone del film di cui sopra aveva ragione. La pianta che il contadino aveva tagliato era la sua. Mica poteva metterla sempre lui la pianta per gli zoccoli. (E se non conoscono il film che se lo guardino).
Ma dove sono i miei sacerdoti. Sono forse disponibili a barattare la difesa del crocifisso con qualche etto di razzismo. Se esponiamo un bel rosario grande nella nostra casa, poi possiamo fare quello che vogliamo? Vorrei sentire i miei preti «urlare», scuotere l'animo della gente, dirci bene quali sono i valori, perché altrimenti penso che sono anche loro dentro il «commercio»
Ma dov'è il segretario del partito per cui ho votato e che si vuole chiamare «partito dell'amore». Ma dove sono i leader di quella Lega che vuole candidarsi a guidare l'Italia. So per certo che non sono tutti ottusi ma che non si nascondano dietro un dito, non facciano come coloro che negli anni 70 chiamavano i brigatisti «compagni che sbagliano».
Ma dove sono i consiglieri e gli assessori di Adro? Se credono davvero nel federalismo, che ci diano le dichiarazioni dei redditi loro e delle loro famiglie negli ultimi 10 anni. Tanto per farci capire come pagano le loro belle cose e case. Non vorrei mai essere io a pagare anche per loro. Non vorrei che il loro reddito (o tenore di vita) venga dalle tasse del papà di uno di questi bambini che lavora in fonderia per 1.200 euro al mese (regolari).
Ma dove sono i miei compaesani che non si domandano dove, come e quanti soldi spende l'amministrazione per non trovare i soldi per la mensa. Ma da dove vengono tutti i soldi che si muovono, e dove vanno? Ma quanto rendono (o quanto dovrebbero o potrebbero rendere) gli oneri dei 30.000 metri cubi del laghetto Sala. E i 50.000 metri della nuova area verde sopra il Santuario chi li paga? E se poi domani ci costruissero? E se il Santuario fosse tutto circondato da edifici? Va sempre bene tutto? Ma non hanno il dubbio che qualcuno voglia distrarre la loro attenzione per fini diversi. Non hanno il dubbio di essere usati? E' già successo nella storia e anche in quella del nostro paese.
Il sonno della ragione genera mostri.
Io sono per la legalità. Per tutti e per sempre. Per me quelli che non pagano sono tutti uguali, quando non pagano un pasto, ma anche quando chiudono le aziende senza pagare i fornitori o i dipendenti o le banche. Anche quando girano con i macchinoni e non pagano tutte le tasse, perché anche in quel caso qualcuno paga per loro. Sono come i genitori di quei bambini. Ma che almeno non pretendano di farci la morale e di insegnare la legalità perché tutti questi begli insegnamenti li stanno dando anche ai loro figli.
E chi semina vento, raccoglie tempesta!
I 40 bambini che hanno ricevuto la lettera di sospensione del servizio mensa, fra 20/30 anni vivranno nel nostro paese. L'età gioca a loro favore. Saranno quelli che ci verranno a cambiare il pannolone alla casa di riposo. Ma quel giorno siamo sicuri che si saranno dimenticati di oggi? E se non ce lo volessero più cambiare? Non ditemi che verranno i nostri figli perché il senso di solidarietà glielo stiamo insegnando noi adesso. E' anche per questo che non ci sto.
Voglio urlare che io non ci sto. Ma per non urlare e basta ho deciso di fare un gesto che vorrà pure dire poco ma vuole tentare di svegliare la coscienza dei miei compaesani.
Ho versato quanto necessario a garantire il diritto all'uso della mensa per tutti i bambini, in modo da non creare rischi di dissesto finanziario per l'amministrazione. In tal modo mi impegno a garantire tutta la copertura necessaria per l'anno scolastico 2009/2010. Quando i genitori potranno pagare, i soldi verranno versati in modo normale, se non potranno o vorranno pagare il costo della mensa residuo resterà a mio totale carico. Ogni valutazione dei vari casi che dovessero crearsi è nella piena discrezione della responsabile del servizio mensa.
Sono certo che almeno uno dei quei bambini diventerà docente universitario o medico o imprenditore, o infermiere e il suo solo rispetto varrà la spesa. Ne sono certo perché questi studieranno mentre i nostri figli faranno le notti in discoteca o a bearsi con i valori del «grande fratello».
Il mio gesto è simbolico perché non posso pagare per tutti o per sempre e comunque so benissimo che non risolvo certo i problemi di quelle famiglie. Mi basta sapere che per i miei amministratori, per i miei compaesani e molto di più per quei bambini sia chiaro che io non ci sto e non sono solo.Molto più dei soldi mi costerà il lavorìo di diffamazione che come per altri casi verrà attivato da chi sa di avere la coda di paglia. Mi consola il fatto che catturerà soltanto quelle persone che mi onoreranno del loro disprezzo. Posso sopportarlo. L'idea che fra 30 anni non mi cambino il pannolone invece mi atterrisce.
Ci sono cose che non si possono comprare. La famosa carta di credito c'è, ma solo per tutto il resto.


Un cittadino di Andro

Niente mensa per i bambini poveri, ma dialetto

Deve essere il nuovo corso del Carroccio trionfante: pane e acqua per i bambini poveri, soprattutto se figli di immigrati, e corsi di vernacolo per gli stranieri che aspirano a "integrarsi". Ad Adro, nel bresciano, dove la Lega Nord governa, sola, col 61% dei voti, il sindaco, quel tal Oscar Lancini tristemente noto alle cronache per la taglia sui "clandestini" (500 euro ai vigili urbani per ogni sans papier portato in questura), ne ha pensata un'altra per rendere difficile la vita ai non autoctoni: niente pasti agli alunni i cui genitori, in gran parte immigrati, non ce la fanno a pagare la retta per la mensa. Qualche settimana fa, la stessa cosa a Montecchio Maggiore, in provincia di Vicenza: la sindaca leghista ha punito i bambini "morosi" mettendoli, letteralmente, a pane e acqua. A ben riflettere, i due episodi hanno qualche nesso, politico e simbolico, con un'altra trovata: quella dell'assessore al lavoro e all'istruzione della Provincia di Belluno, il leghista - ça va sans dire - Stefano De Gan, che ha destinato all'insegnamento del dialetto locale il 35% dei fondi per l'integrazione sociale e lavorativa degli stranieri. Se gli abitanti autoctoni della sua provincia non conoscono la lingua madre né altra lingua, non è che li si aiuta con corsi d'italiano (e magari perfino d'inglese o francese): questo succederebbe in un paese civile. No, nelle plaghe amministrate dagli spiriti illuminati del Carroccio non s'incrementa l'apprendimento dell'italiano; si propone, invece, la regressione al dialetto anche di coloro (i migranti) che di lingue, di solito, ne conoscono due o tre. Fra i tre fatti, dicevamo, c'è un nesso politico e simbolico: è il razzismo plebeo e populista del "padroni a casa nostra", che usa perfino i bilanci e il welfare state per tracciare una netta linea di confine fra "noi" e "loro". Davvero un bel progresso. E io che pensavo che arretrato fosse il piccolo mondo antico della mia infanzia. Quando si riteneva che l'apprendimento della lingua italiana fosse strumento di emancipazione e d'integrazione nazionale. Quando alle elementari la refezione gratuita era garantita agli orfani e ai figli d'indigenti, ma solo a loro (così che io li invidiavo, quei bambini che potevano pranzare in allegra compagnia e mangiare ciò che mi era proibito).
Davvero un bel progresso: il paternalismo compassionevole di società in cui ognuno doveva stare al posto che gli era destinato dalla gerarchia di classe non è stato sostituito da uno Stato sociale universalista, efficiente, capillare, indifferente alle origini dei cittadini; ma dalla ferocia verso i poveri coniugata con la regola della discriminazione e con il culto dell'ignoranza.

sabato 10 aprile 2010

Di Pietro forza la mano e rompe con il Forum

Antonio Di Pietro nello stanzone del comitato acqua pubblica di Aprilia non ha mai messo piede. Non conosce le tante storie che sono cresciute dietro i tanti comitati spontanei nati negli ultimi cinque anni in Italia, per contrastare - spesso da soli - l'avvio della privatizzazione dell'acqua. Anzi, spesso l'Italia dei Valori - soprattutto in provincia di Latina - si è trovata dall'altra parte della barricata. Sarà forse per questo che sulla questione dei referendum per la ripubblicizzazione ieri ha sbattuto la porta in faccia al Forum italiano dei movimenti per l'acqua pubblica, presentando in Cassazione un proprio quesito referendario su due temi delicatissimi: acqua e nucleare.«Un vero scippo», commenta Paolo Ferrero. «Una cannibalizzazione dei movimenti», spiega un furioso Angelo Bonelli. E una spaccatura tutta interna all'Italia dei Valori, visto che la decisione Antonio Di Pietro l'ha presa il giorno prima di un esecutivo che - oggi - dovrà discutere del tema. Con una posizione dichiaratamente contraria di Luigi De Magistris e di Sonia Alfano, che hanno chiesto pubblicamente di rispettare l'autonomia del movimento per l'acqua pubblica.Ieri il Forum italiano dei movimenti per l'acqua ha ricevuto la risposta alla lettera che qualche giorno prima era stata recapitata al leader dell'Italia dei Valori, dopo l'annuncio della promozione di un secondo - e contrapposto - referendum sull'acqua. Una lettera dai toni glaciali, quasi formali, rifiutando l'incontro chiarificatore e confermando la presentazione di un proprio quesito. Il Forum aveva cercato nei giorni scorsi in tutti i modi di recuperare i rapporti con Di Pietro, inviando centinaia di email agli eletti nelle liste dell'Idv. Una prima risposta, positiva, era arrivata da De Magistris, contraddetto però da Di Pietro. La chiusura della lettera suona poi come una beffa: siamo disponibili ad ospitare anche i vostri moduli nei nostri banchetti.
Il tema dello scontro è in realtà molto profondo. I due quesiti referendari si differenziano sul modello di gestione delle risorse idriche che viene proposto. Per il Forum - e per il comitato di giuristi come Rodotà e Mattei - l'acqua dovrà ritornare pubblica, escludendo la gestione privata o quell'ibrido ancora più pericoloso che è la partnership pubblico-privata, elaborata nei think-tank delle multinazionali francesi alla fine degli anni '90. Con il quesito presentato ieri in Cassazione Antonio Di Pietro riconferma, invece, la sua posizione del 2006: nessuna preclusione alla gestione privata, va solo abolita l'obbligatorietà della scelta introdotta dal decreto Ronchi. «Ricordo bene la posizione di Di Pietro durante il governo Prodi - racconta Angelo Bonelli, presidente dei Verdi - quando in consiglio dei ministri, assenti i rappresentanti della sinistra - passò una prima bozza del decreto Lanzillotta, che prevedeva l'affidamento ai privati della gestione dell'acqua». Il progetto venne poi bloccato grazie all'opposizione di Verdi e di Rifondazione comunista, che imposero l'esclusione dei servizi idrici dalle liberalizzazioni.
È il senatore Paolo Brutti, responsabile ambiente dell'Italia dei Valori, a spiegare qual è il vero senso dell'iniziativa referendaria proposta da Di Pietro: «È vero, la nostra proposta è vicina a quella del Pd - racconta - perché per noi è prioritario respingere il decreto Ronchi». Ovvero l'obiettivo sembra essere più la politica anti Berlusconi che l'acqua pubblica. «Vogliamo riportare lo stato delle cose a prima del decreto Ronchi, lasciando scegliere i comuni tra le tre forme di gestione, quella pubblica, quella mista e quella privata, come aveva già stabilito il governo Prodi», spiega. Brutti va poi oltre nell'analisi dello strappo con i movimenti, spiegando quali saranno i prossimi passi: «La Corte costituzionale di fronte a due quesiti sullo stesso tema potrà convocare i due comitati per farli convergere su un unico referendum. E la nostra proposta è più vicina alla sensibilità del Pd, che sui referendum del Forum ha qualche perplessità». Dunque un assist a Bersani, con in mano lo scalpo del movimento per l'acqua pubblica, rafforzando così un'alleanza che Di Pietro oggi ritiene sempre più importante, soprattutto in vista delle elezioni del 2013. Una partita comunque aperta, dove i comitati e le associazioni del Forum potranno giocare un ruolo da protagonisti, soprattutto dopo la vittoria di Aprilia.

Italiani più poveri, giù redditi e consumi

Le chiacchiere stanno a zero. Per verificare se «gli italiani» stanno meglio o peggio c'è un sistema antico quanto il mondo: la dinamica dei consumi. Quando guadagni di meno, tendi a controllare molto di più le tue uscite. Anche per beni indispensabili.
I dati diffusi ieri dall'Istat - e in contemporanea quelli di Adiconsum e Federconsumatori - non permettono giochi di prestigio con le parole. Nel quarto trimestre del 2009 il reddito disponibile delle famiglie è diminuito del 2,8% rispetto allo stesso periodo del 2008, mentre la spesa è calata dell'1,9). Di conseguenza, è diminuita anche la «propensione al risparmio», anche se nella misura dello 0,7%. Brutalmente: non riesci più a risparmiare nemmeno volendo.
Ancora più interessanti i dati relativi al «tasso di investimenti delle famiglie» (acquisto di abitazioni o di beni strumentali per le imprese fino a 5 dipendenti, racchiuse nello stesso indice): -8,8% rispetto allo stesso periodo del 2008. Segno certo che l'atteggiamento prevalente è quello di chi aspetta «che passi la nottata», senza scommettere più sul futuro.
A chiudere il cerchio arrivano poi altri due dati, relativi alle «società non finanziarie» (società di persone e di capitale con oltre cinque addetti). Il primo riguarda la quota di profitto (40,3%), peggiorata di quasi due punti percentuali in un anno, ma sopravvissuta grazie a risultati di gestione che hanno parzialmente compensato la contrazione del valore aggiunto. In parole povere: i guadagni sono stati mantenuti solo ricorrendo a «economie gestionali». La riprova arriva dal tasso di investimento di questa fascia di società, sceso del 2,6% rispetto al 2008. A pesare è stato il crollo degli investimenti fissi lordi, ben 15 punti in meno dell'anno precedente.
Fin qui l'Istat. Se la parola passa alle associazioni di categoria la situazione prende corpo anche più concretamente. Confcommercio piange per una caduta dei consumi calcolata -1,4%, che imputa senza giri di parole all'aumento della disoccupazione e alla riduzione della produzione industriale. Al punto da decretare immediatamente «il secondo inciampo consecutivo della ripresa». A pagare dazio sono i prodotti più comuni (surgelati, cibi pronti, bevande, prodotti per la cura della casa e della persona, tabacchi, ecc); mentre l'auto è rimasta il bene privilegiato fin quando sono stati in vita gli incentivi. In lieve controtendenza solo tv e telefonini, ma anche qui solo grazie a generosi sconti praticati dalle catene di distribuzione più grandi.
Scendendo ulteriormente nei dettagli, l'Adoc sostiene che «il calo dei prodotti alimentari sarebbe stato del 5% senza l'apporto dei discount». Una famiglia su tre ormai fa la spesa soltanto qui. Mentre, dovendo mantenere un certo volume di acquisti, si preferisce abbassare la qualità dei prodotti per ridurre l'esborso monetario. Stessa sorte per scarpe e vestiti. Non sembra più nemmeno provocatoria la proposta del Codacons: «incentivi all'acquisto di prodotti alimentari». Appena due giorni fa, sparando in prima pagina una lunga fila di auto ferme in autostrada, Il Giornale - diretto da Belpietro e posseduto da un Berlusconi minore (Paolo) - titolava «la crisi è andata in vacanza». Ora sappiamo che «quattro famiglie su 10 hanno tagliato il contenuto del carrello della spesa». Il segretario generale della Cgil coglie questo dato come «la dimostrazione che non siamo fuori dalla crisi». Per Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione, la radice del calo dei consumi va invece trovata nelle «politiche di moderazione salariale e di estensione della precarietà del lavoro».



Francesco Piccioni, Il Manoifesto