venerdì 2 aprile 2010

«Biodegradabili»

«I radicali non sono biodegradabili, con Vendola invece vedo una prospettiva comune tra lui e noi». Esattamente così si è espresso Pierluigi Bersani nell’intervista concessa a l’Espresso in questi giorni in edicola. Il distillato del suo pensiero politico, al presente, sta tutto in questa formuletta dal sen fuggita: «biodegradabili», vale a dire, smaltibili nell’ambiente, assimilabili. Dove l’ambiente è già dato e permane nel suo equilibrio stabile. Stabile: non alterabile. Bersani pensa, come prima di lui D’Alema, che la sinistra sia sdoganabile solo se imbozzolata dentro il Pd, come frangia ininfluente cui è concesso unicamente mulinare qualche utopica illusione, purché la politica, quella vera, come arte di un “possibile” privo di vere ambizioni trasformative, sia rigorosamente consegnata nelle mani della moderatissima e traccheggiante leadership democratica. Bersani non riconosce alla sinistra alcuna autosufficienza progettuale e la intende - al massimo - come tendenza culturale, come soffio romantico che può persino far bene all’immagine, altrimenti troppo prosaica ed opaca, del Pd e conferirgli una patina di seduttività che può attrarre quanti, fra gli elettori, pensano ancora che nella politica debba vivere una narrazione, un’idealità forte e non solo un pragmatico tirare a campare, tassativamente dentro il perimetro del già visto, del già dato. Tutto qui. Bersani pensa che una siffatta sinistra, anche se promossa col nome vincente di Vendola, non rappresenti alcun pericolo per il fulcro centrista del Pd e che essa può essere con profitto e senza scossoni digerita, assimilata, «biodegradata», appunto, come dice senza perifrasi Pierluigi Bersani. Il quale - così è parso - ha annacquato anche il proposito, dichiarato nella fase del duello per la leadership democratica, di sbloccare il sistema elettorale con una correzione proporzionale di cui si è persa ogni traccia. La tentazione di rendere permanente la coazione bipolare e strutturale la rendita del voto utile, non ultima causa della disaffezione elettorale e della dilagante passivizzazione, sta potentemente riaffiorando nel Pd. Della riforma elettorale («la legge attuale fa schifo», ha ribadito Bersani) resta soltanto la reintroduzione delle preferenze e la riduzione del numero dei parlamentari. Sfuma, fino all’invisibilità, l’obiettivo di restituire significato democratico al pluralismo della rappresentanza politica.
Si dà per scontato, si vuole, che una parte dei cittadini continui ad orientare il proprio voto non già verso le forze politiche ed i candidati a sé più prossimi, ma verso coloro che in partenza hanno più possibilità di successo: non si vota il più vicino, ma il meno lontano o, perlomeno, quello che si suppone tale. Una parte dell’elettorato non ci sta, non si tappa più il naso, e non va più a votare. La politica si separa vieppiù dalla società reale e gli schieramenti che si contendono il potere risultano sempre meno alternativi facendosi sponda l’uno con l’altro in un gioco asfittico che è sempre più la parodia della democrazia. E all’ombra del quale fioriscono i populismi, quelli di destra e quelli di sinistra.
Esattamente lo stesso avviene nel campo dell’informazione. La semplificazione duopolistica ha raggiunto, quest’anno, limiti estremi. Il polo opposto all’impero mediatico del presidente del Consiglio ha efficacemente denunciato la sistematica saturazione di ogni spazio comunicativo da parte del premier, giunto sino allo spegnimento delle voci ostili o non allineate. Il caso di Annozero, emerso dalle intercettazioni telefoniche della procura di Trani, ha proposto, in tutta la sua gravità, il tema della censura e della manipolazione dell’informazione. Quello che invece non emerge è che la malattia ha ampiamente contagiato i tycoon mediatici dell’area di centrosinistra. Lo abbiamo constatato - macroscopicamente - guardando gli spazi, pressoché nulli, concessi alla Federazione della Sinistra nelle trasmissioni elettorali ma, prima ancora e da molto tempo, nella estromissione di essa dalle trasmissioni di approfondimento e confronto politico. In questo totale ostracismo informativo si sono solidalmente uniti alle ammiraglie della Rai anche il Tg3 e La7. Sicché quando Michele Santoro, a conclusione della storica trasmissione di Annozero allestita nel PalaDozza di Bologna, ha recitato la formula-giuramento: «Noi continueremo a farla fuori dal vaso», ci è venuto in mente che, fuori da quel vaso non c’è la libera e pluralistica informazione, bensì un altro contenitore, anch’esso dal perimetro ben delimitato, dove si praticano con lo stesso metodo altre esclusioni, altre discrezionali prevaricazioni. Certo, meno visibili, in quanto i soggetti che le subiscono sono troppo deboli per denunciarle e per trovare spazi alternativi. Se la democrazia si misura dalla capacità di tutelare i diritti delle minoranze, bisogna concludere che la “convenzione ad escludere”, è una pratica bipartisan in pieno dispiegamento. Certo è che è urgente riprendere - insieme al tema non svolto della ricomposizione di una moderna sinistra di classe e di un radicamento territoriale sino ad ora più predicato che praticato - la questione delle forme della politica e dei modi della comunicazione, non meno che dei suoi contenuti. La circostanza che le liste Grillo, ove si presentano, riscuotano consensi eguali e superiori, talvolta largamente superiori, ai voti dell’insieme delle sinistre, è cosa che deve suscitare la più seria riflessione. Lì si raccoglie non piccola parte del voto giovanile, secondo una per noi inedita forma di impegno politico e civile. Non è concepibile che ci si rassegni al fatto che le nuove generazioni guardino alla sinistra con incomprensione o, peggio, con manifesta diffidenza.
Per questo e su questo dobbiamo avere l’intelligenza di suscitare un dibattito franco, senza preconcette esclusioni, capace di cogliere quanto di positivo si muove dentro e fuori dalle nostre file, aprendo nuove interlocuzioni, abbandonando la preliminare pretesa di cooptarle dentro i nostri schemi culturali ed organizzativi. Ciò comporta l’investimento di tutte le energie disponibili. Per non restare sui colpi o limitarsi a qualche debole esercizio consolatorio. La brutta realtà che (non solo) l’esito del voto descrive ci chiede un di più di capacità critica. Per imparare a parlare (e ad ascoltare) su una lunghezza d’onda molto più ampia di quella che oggi copriamo.

Dino Greco, Liberazione

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