sabato 15 maggio 2010

E' ancora vero che l'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro? (1)

Il sangue di una lavoratrice.
Muore l'infermiera in lotta per la sanità.


Mariarca protestava. Protestava perché la sua Asl, dove lavorava, non le aveva pagato lo stipendio. Un gesto estremo il suo: farsi togliere ogni giorno, lei infermiera tra gli infermieri, 150 ml al giorno di sangue. Al quarto giorno, per complicazioni cardiache, Mariarca è entrata in coma e dopo tre giorni è morta. Aveva 45 anni, e lascia due figli piccoli: 10 e 4 anni. E’ una storia straziante, devastante e che dovrebbe innestare i nostri pensieri e le nostre riflessioni proprio sull’estremizzazione massima, quasi impossibile di una lotta fatta con un altissimo rischio per la propria vita. “Voglio dimostrare che giocano sulla nostra pelle, sulla pelle di tutti, sul sangue di tutti”, aveva detto Mariarca in un video pubblicato anche su Internet e che oggi è il suo testamento sociale verso chiunque non si rassegna a vedere i propri diritti calpestati con quella disinvoltura che diviene tanto abituale quanto crudele.
Il libero mercato concede a tutti i grandi investitori, a tutti i consiglieri di amministrazione di operare speculazioni e di trarre da queste profitti che vengono definiti illeciti.Ma dovremmo tornare a parlare non con la retorica delle parole di un movimento operaio che oggi fatica ad emergere, ma con la schiettezza di chi sa come definire ciò che accade, ciò che ci circonda e ciò che ci sta innanzi. Nessun profitto è lecito. E questa non è una lezione di marxismo, di economia micro o macro. Questo è il crudo dato di fatto che emerge se si guarda all’economia capitalistica con gli occhi della giustizia sociale e se si ritiene che ciò che viene prodotto nell’umanità sia e debba essere di questa umanità e non di una microbica parte di essa. Microbi che si sono avocati il diritto di tramandarsi quella proprietà privata dei mezzi di produzione che se viene nominata così viene vissuta come un fastidioso disvelamento di una incontrovertibile verità: chi fa profitto deruba i lavoratori, e chi ottiene un salario è il derubato, colui che lavora sempre e solo per creare la ricchezza di e per altri. Non certo per sé medesimo, né tanto meno per la comunità tutta in cui si trova a vivere.
Nella sua terribile forma di protesta, Mariarca ha detto parole veramente semplici, quasi banali se volete. Ma ha detto, in questa bella semplicità, che lei aveva prestato il suo lavoro alla sua azienda (ed è sempre urticante dover parlare di una struttura sanitaria pubblica come di una azienda…) e che, quindi, chiedeva niente di meno e niente di più che di avere il suo stipendio.Molto spesso le problematiche sociali che viviamo sono così complesse che anche una affermazione di questo tipo diventa quasi irriverente per la sua disarmante e ininterpretabile concezione del diritto: un diritto che nell’essere calpestato, disatteso e represso trova sovente la ragione non tanto della sua rivendicazione, ma di una passiva accettazione delle condizioni date. Per cui si ascoltano i discorsi di brillanti economisti liberisti che elucubrano sui dati di crescita del Prodotto interno lordo, sulle movimentazioni monetarie da borsa a borsa, sulle oscillazioni delle quotazioni di grande e medie imprese e su mille altri fattori che non sono materiali se non quando si concretizzano nella monetizzazione, nel dover distribuire i soldi ai lavoratori, nel dover pagare chi è fonte della produttività e quindi della ricchezza del capitalista.
Parole vecchie, concetti desueti. Molti la pensano così. Ma intanto i lavoratori e le lavoratrici sono stritolati dai debiti che i governi fanno in nome dei trattati internazionali per la polarizzazione delle economie, e devono assistere alla generosità pelosa del Fondo Monetario Internazionale che riequilibra le crisi capitalistiche foraggiando di prestiti quei paesi condannati a divenire servitori assoluti di quanto decideranno gli organismi di Bretton Woods.
La Grecia è lì a dimostrare, come avrebbe detto Marx, il futuro delle altre nazioni. Non tanto in ricchezza… ma questa volta in grande, vistosa povertà sociale, declino e caduta di un mondo che si crede ricco e che si scopre fragile e miserevole.
E il costo non lo potranno pagare ad infinitum i poveracci, quelli più deboli, i meno tutelati. Prima o poi ne verrà fuori un disastro economico, quindi una anti-economia, una sollevazione spontanea che travolgerà questo sistema che è la peggiore creazione che l’uomo abbia mai potuto mettere in essere. Compito nostro dovrebbe essere, anzi è quello di individuare un percorso di sempre maggiore presa di coscienza dei diritti davanti allo strangolamento capitalistico delle vite di tutti i lavoratori. Ma per fare questo occorre ritrovare oltre alla coscienza anche una passione, una vivida passione che faccia dell’altruismo un pilastro della lotta e che veda nello sviluppo sociale, civile ed economico di tutti quella “condizione” per il libero sviluppo sociale, civile ed economico per ognuno. Mariarca, senza troppi giri di parole, ce lo ha in fondo detto. Con il suo sangue, fino all’ultima stilla.




I colleghi la ricordano con dolore: «Era sempre in prima fila nelle battaglie per difendere i diritti di tutti». Per il popolo del web, dove il video di Mariarca rimbalza di sito in sito, non ci sono dubbi: è stata la protesta estrema a stroncare l'esistenza dell'infermiera.
Su Facebook è nato subito il gruppo «Io ricordo la lotta di Mariarca Terracciano», con in bacheca l'ultimo video della donna e la bandiera italiana listata a lutto. Mille iscritti e decine di post esprimono tutta la rabbia di lavoratori, amici e parenti. «Non si può morire così maledetti! Ma quanto ancora dovremmo sopportare? fino a dove si dovrà arrivare? quanta disperazione per arrivare ad un simile gesto, ma questi bastardi dormono la notte?» , scrive Caterina Fedi; «Io mi vergogno di questo paese e mi vergogno anche di me che come tutti sono responsabile ad averlo voluto così», risponde Ivana De Benedictis; «Ed ora la magistratura perché non indaga sulle consulenze d'oro e sulle nomine a pioggia dei dirigenti? Di certo il buco nella sanità non è dato dal pagamento delle competenze» , incalza Marco Bocchino.
È di ieri la notizia di un ulteriore aumento dell'Irap e dell'Irpef per tentare di sanare il buco nei conti della sanità regionale: in regione si tradurrà con un aumento di 57 euro a testa e 2 mila per le imprese.

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