giovedì 3 giugno 2010

Lo spettro continua ad aggirarsi per l’Europa?

È davvero bizzarra la vicenda del comunismo, oscillante fra timore e ripulsa, fra forzato oblio e ricorrente presenza, reale o immaginaria. Fin dalla sua nascita, si sa, la bandiera rossa, presto ornata dei simboli del lavoro operaio e contadino – insomma, la falce e il martello – ha suscitato terrore, o addirittura raccapriccio. “Uno spettro si aggira per l’Europa”, esordiva il Manifesto di Marx ed Engels, che appariva – guarda le combinazioni! – nel fatidico 1848, mentre la rivoluzione incendiava il continente. Eppure, mentre da allora in poi le classi dominanti e i loro ideologi mettevano in guardia contro il pericolo rosso, e periodicamente si spingevano ad eccitare l’opinione pubblica moderata, agitando quel terrificante spettro, ed enumerando le catastrofi che i comunisti avrebbero provocato ove fossero giunti al potere; dal canto loro, altri ideologi, si premuravano di decretare il carattere, di volta in volta, germanico, ebraico, massonico, o addirittura “asiatico” del comunismo, e dunque a sentenziare la sua impossibilità di penetrare nei contesti euromediterranei.Ancor più degne di nota le innumerevoli sentenze di morte, o di archiviazione: mandato in soffitta, come ebbe a dire Giovanni Giolitti nel 1911, e si riferiva al fratello maggiore, il socialismo. Ci pensò poi Benedetto Croce a stilare altre irrevocabili sentenze di morte, salvo polemizzare a ogni piè sospinto, anche nel dopo-fascismo, con i comunisti, ai quali tentò persino di contrapporre Gramsci (ma con argomenti del tutto incongrui), anticipando un gioco ideologico che ha avuto fortuna anche in tempi recenti. Un secolo è passato da quelle condanne a morte, e in esso la falce e martello ha visto il trionfo e l’abominio. Eppure, malgrado il crollo del Muro, non solo esistono partiti, movimenti e Stati che si proclamano comunisti, ma, stando ad autorevoli, recenti sondaggi, non pochi cittadini dell’Est europeo, delusi della conquistata “libertà”, rimpiangono il vituperato “socialismo reale”; addirittura un berlinese su tre vorrebbe rimettere al loro posto, uno sull’altro, i mattoni del Muro. V’è dunque da chiedersi se non sia stata frettolosa, ancora una volta, la certificazione di morte del comunismo; anche se, com’è noto, v’è qualcuno ossessionato dal comunismo, chi vede (o finge di vedere) dappertutto “comunisti”: giudici, giornalisti, studenti, sindacalisti, e persino i Padri Costituenti, autori di una pericolosissima Costituzione “sovietica”. Comunisti, dunque? Con buona pace di Berlusconi, e della sua malattia senile, i comunisti sono probabilmente estinti, o in via di estinzione. Ma il comunismo non può estinguersi, in quanto esso è l’ombra che accompagna il capitalismo: simul stabunt, simul cadent. Su questa lunghezza d’onda, un valoroso storico, Luigi Cortesi, che del comunismo è stato anche militante tenace e orgoglioso, ha realizzato negli ultimi anni, mentre combatteva un male che lo avrebbe vinto, qualche mese fa, un’opera-monstre di oltre 800 pagine (Storia del comunismo, Manifestolibri). Una rivendicazione, problematica e appassionata, dei meriti di un fenomeno sociale universale “che non può essere rinchiuso… nelle mura del Cremlino”; e la sua storia “non può lasciare indifferente nessuno, perché nessuno è rimasto al di fuori di essa”. A Cortesi non sarebbe spiaciuta un’altra opera, di mole pari alla sua, uscita ora, e dedicata proprio al comunismo eretico , quello, appunto, rimasto fuori dalle mura del Cremlino: un comunismo sconfitto da quello egemonico, staliniano, o parastaliniano, ma, proprio perciò, oggi in grado di parlarci con parole più credibili (L’altro Novecento. Comunismo eretico e pensiero critico, I. L’età del comunismo sovietico, a cura di Pier Paolo Poggio, Jaca Book). E chi ne abbia desiderio potrà scovare qui tanti nomi di sconfitti, talora semidimenticati, da Camillo Berneri a Victor Serge, da Rosa Luxemburg a Lev Trotsky, fino naturalmente ad Antonio Gramsci, che giganteggia, rappresentando, pur in una concezione del tutto realistica, “l’altro comunismo”. Del resto, al di là dell’interna, complessa geografia del pianeta socialista e comunista, messo in subbuglio nel volgere del “secolo breve”, non possiamo non ricordare l’interrogativo ammonitore di Bobbio, dopo Tien an Men, nel giugno 1989: “O illusi, credete proprio che la fine del comunismo storico, abbia posto fine al bisogno e alla sete di giustizia?”. Pochi mesi più tardi, il crollo del Muro sembrò seppellire non solo i sistemi comunisti, ma la stessa idea del comunismo; in quel crollo furono gettati nella polvere non soltanto le icone dei leader, ma anche le opere teoriche dei pensatori. Si smise di pubblicare, di leggere, di diffondere i testi del marxismo. Eppure, da quell’ecatombe si salvò proprio il fondatore del “socialismo scientifico”: Marx, anzi, ne emerse con un nuovo vigore: nelle gioie della globalizzazione l’autore del Capitale (di cui non va dimenticato il sottotitolo: Critica dell’economia politica) appariva come un profeta biblico, indicando la catastrofe inevitabile del mondo capitalistico, con governi destinati ad essere null’altro che “comitati d’affari della borghesia”, mentre si sarebbe dilatata via via la forbice tra i più ricchi del Pianeta (sempre meno numerosi) e i più poveri (sempre più numerosi), fino a che un pugno di famiglie sarebbe arrivata a detenere la “quasi totalità della ricchezza sociale mondiale”.Guardiamoci intorno: la crisi in cui si dibatte il mondo capitalistico (che non può essere letta nei soli termini economico-finanziari, ma appare una vera crisi di civiltà) non dimostra che Marx colse con un anticipo impressionante gli sviluppi storici del capitale? Non è un caso che oggi il pensatore rivoluzionario di Treviri, ignorato dagli economisti accademici, sia diventato in un pubblico ampio di politici e di osservatori, a partire dalla mecca del capitale, gli Stati Uniti, un termometro essenziale per misurare la temperatura socioeconomica del mondo e per scoprire e magari denunciare l’altra faccia della globalizzazione, ossia la diffusione della miseria, in strati di ceti medi, che si aggiungono alla massa crescente dei dannati della terra. Ci sarà una ragione, se oggi tanti, a cominciare dall’ineffabile nostro Tremonti, ammettono che senza Marx non si può capire né governare il processo dell’economia mondiale. Che siano diventati tutti comunisti?


Amgelo D'Orsi, Il Fatto quotidiano

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