giovedì 2 settembre 2010

RIDIAMO FIATO ALLA DEMOCRAZIA ITALIANA

Nelle moderne democrazie i sistemi elettorali svolgono due funzioni. La prima è quella di trasformare in seggi i voti avuti dalle forze politiche, la seconda riguarda la scelta dei candidati da eleggere. I due aspetti non vanno confusi.
In particolare, il collegio uninominale può servire al funzionamento maggioritario del sistema, ma può anche essere usato in un sistema proporzionale (come ad esempio la legge elettorale italiana per il Senato prima della riforma del 1993). Nell'Italia della seconda Repubblica si è adottato il sistema maggioritario; dapprima, con la legge Mattarella, attraverso i collegi uninominali; successivamente, con la legge Calderoli (approvata nel 2005), con il premio di maggioranza e la lista bloccata. In entrambe le versioni, questo sistema non ha prodotto nessuno dei benefici auspicati dai suoi proponenti: non vi sono state maggioranze stabili e coese, non vi è stata riduzione della frammentazione partitica, non vi è stata un'effettiva scelta degli eletti e il corrispondente radicamento nel territorio.
Sotto quest'ultimo profilo, chi auspica il ritorno alla legge Mattarella dovrebbe ricordare la spartizione che ciascuna delle due coalizioni faceva dal centro, con i conseguenti candidati paracadutati dall'alto. Abbiamo avuto insomma i danni del maggioritario, ma nessuno degli attesi benefici.
Per passare dal discorso sistemico a quello politico, è per effetto del sistema maggioritario che Berlusconi e Bossi hanno trasformato la maggioranza relativa di voti in maggioranza assoluta (che nel paese non hanno). Basta fare quattro conti. L'impressione di un'Italia nella quale Pdl e Lega hanno un largo e invincibile consenso tra i cittadini è un effetto distortivo dovuto appunto al sistema maggioritario. Nelle ultime elezioni regionali il Pdl ha avuto il 30 per cento e la Lega il 12 per cento. Con un sistema di impianto proporzionale, non avrebbero in Parlamento la maggioranza per governare. La legge maggioritaria grava sulla politica italiana come una gabbia di forza, comprime il pluralismo politico e ideale presente tra i cittadini prima ancora che tra le forze politiche, tende ad espellere della rappresentanza i punti di vista diversi da quelli dominanti.
Da tempo sono convinto che una legge elettorale simile a quella tedesca sia la via da seguire per ridare vitalità alla democrazia italiana, anche incentivando la partecipazione al voto. Quel sistema ha un impianto proporzionale corretto dalla clausola di sbarramento. Sulla base dei dati delle elezioni più recenti (parlamento europeo e regionali) entrerebbero in Parlamento i cinque partiti di adesso nonché la sinistra, se unisse le sue forze. All'obiezione che così i governi non li scelgono i cittadini, si può rispondere (oltre che citando i danni che tale idea ha introdotto in un sistema che rimane parlamentare), che nessun sistema maggioritario, tranne la legge Calderoli, che è un unicum mondiale, garantisce al partito o alla coalizione che arriva prima la maggioranza assoluta in parlamento; e ciò nonostante sono già in crisi.
Anche per quanto riguarda la possibilità dei cittadini di scegliere i propri rappresentanti, il sistema tedesco offre una buona soluzione. La metà dei parlamentari è eletta con il collegio uninominale, l'altra metà, ai fini del riequilibrio della rappresentanza, su liste bloccate molto corte. Questo meccanismo è migliore del voto di preferenza, che non dà una buona prova di sé nelle elezioni regionali e delle grandi città, sul piano della trasparenza e della qualità della politica.
Giusto complemento della riforma elettorale sarebbe una legge di attuazione dell'articolo 49 della Costituzione (quante giuste intuizioni rimaste disattese nei nostri padri costituenti!) che preveda, come appunto in Germania, l'onere dei partiti di adottare metodi democratici nella propria vita interna, anche e soprattutto per la scelta dei candidati.
Si giungerà in Italia, in questo Parlamento o nel prossimo, a nuove regole elettorali che contrastino la crescente degenerazione della politica? Non è facile essere ottimisti. Ma credo questo sia un tema che richieda un impegno anche culturale: come si diceva un tempo, una battaglia delle idee.

Cesare Salvi, portavoce FdS

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