sabato 23 ottobre 2010

Liscia, gassata o «democratica»? A Bersani piace l'acqua industriale

LA PROPOSTA DI LEGGE: Acquedotto pubblico, ma gestione affidata alle società di capitale modello Acea. Ora il testo sarà discusso tra gli iscritti



La proposta del Partito democratico in materia di acqua mi sembra una buona base di discussione». Il plauso della Federutility a Pierluigi Bersani arriva subito dopo la presentazione della piattaforma del Pd sul servizio idrico integrato. Nulla di nuovo, in realtà, e non sorprende l'approvazione da parte dell'associazione che riunisce i colossi dell'acqua e dell'energia. Pubblico - secondo il Pd - deve rimanere solo l'acquedotto, ovvero le reti, mentre la gestione potrà, anzi, dovrà essere affidata a chi garantisce la gestione industriale. In altre parole alle società di capitale, soprattutto quelle miste pubblico private, sul modello Acea e Acqualatina.Il Partito democratico ha formalizzato l'idea di gestione dell'acqua - sponsorizzata dagli ecodem - con una proposta di legge che verrà discussa tra gli iscritti. Un testo in sedici articoli che in sostanza riporta la situazione a prima del decreto Ronchi, con qualche piccolo aggiustamento. L'articolo nove entra nel merito dell'affidamento del servizio. Tre le opzioni: società a capitale interamente pubblico, società mista publico privata e società interamente privata. Nulla di nuovo, in sostanza, rispetto al modello nato nel 1994 con la legge Galli.Anche sul tema delicato della tariffa la proposta del Pd ricalca la legge che per prima privatizzò il servizio idrico, mantenendo la remunerazione del capitale investito, ovvero quel profitto garantito per legge che i referendum del Forum vogliono abrogare. All'articolo 10 si legge che la tariffa sarà composta dai costi d'investimento, dai costi operativi e da una percentuale da stabilire di utile. L'unica novità riguarda la tutela del territorio e delle risorse idriche, con costo sempre a carico dei cittadini, attraverso le bollette. L'articolo 11 del testo tende a risolvere il problema dei gestori che non sono riusciti a creare le fognature. La questione era stata affrontata lo scorso anno dalla Consulta, che aveva stabilito come non fosse dovuto il pagamento della depurazione in quei territori senza fognature a norma. In altre parole se nella mia città ci sono fogne a cielo aperto, non ha senso pagare per un servizio inesistente. Il Pd ci mette una toppa: «La quota di tariffa riferita ai servizi di pubblica fognatura e di depurazione è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi». Il Pd, dunque, sposa in pieno il modello industriale, basato sulla gestione dell'acqua da parte delle ricchissime società multinazionali multiutility. Il modello Bersani cerca di attuire i lati più duri e spigolosi dell'ultraliberismo della legge Ronchi - che impone come unico modello la gestione privata - ma si oppone decisamente alla riforma radicale voluta da un milione e quattrocento mila cittadini. E' bene ricordare come il movimento per l'acqua pubblica - dove per pubblica si intende anche la gestione - sia cresciuto negli ultimi anni soprattutto grazie alle battaglie sul territorio contro il modello misto pubblico-privato che finora ha governato le risorse idriche. Oltre al caso eclatante di Acqualatina - dove Veolia controlla il 49% e dove siede nel cda uno dei tecnici del Pd in tema di acqua, Luigi Besson - ci sono le gestioni toscane, divise tra Acea, Suez e la stessa Veolia. La stessa situazione è presente in Calabria, con la Sorical, in Sicilia con Sicilacque (sempre Veolia), in Campania con la Gori (la romana Acea) e nel Lazio con la gestione in provincia di Frosinone e di Roma (Acea, posseduta per il 51% dal comune di Roma e oggi partecipata in buona parte dal gruppo Caltagirone). Nel nord domina l'emiliana Hera, oltre all'A2A, presente in Lombardia. Tutte società figlie di quella «gestione industriale» che tanto piace al Pd.


Andrea Palladino, Il Manifesto

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