martedì 2 novembre 2010

BEPPE GRILLO E LO SPETTRO DEL QUALUNQUISMO

I grillini dovrebbero stare in guardia contro lo spettro del qualunquismo che nel comiziare clownesco, ora felice, ora greve, del "capo", affiora pericolosamente. La massa (o folla) viene sempre contrapposta in quanto entità buona alle entità cattive: le istituzioni, i partiti, i sindacati. Nel messaggio comico - così come nel messaggio pubblicitario - le sfumature, le analisi, le differenze sono ridotte al minimo: tutto viene azzerato in un Armageddon tra il popolo dei fedeli e la massa degli infedeli.

Qualunquismo? In un certo senso. Antipolitica? Sicuro. Populismo? Lampante. Leaderismo?
In costruzione. In fondo, se si riflette su questi quattro elementi, solo uno, il primo (che rinvia al movimento fondato da Guglielmo Giannini nell'Italia che usciva dalla guerra, e inopinatamente giunto a esiti elettorali di rilevo, per poi inabissarsi di colpo), è relativamente estraneo ai caratteri essenziali della leadership politica del tempo presente.
Che cosa accomuna gli homines novi dell'opposizione oggi? Il fatto che Di Pietro, Vendola e lo stesso Grillo, sono capi, e capi assoluti di un movimento o partito; capi che non soltanto nella gestione dei loro partiti (loro anche in senso proprietario), ma anche nei simboli, nei messaggi, esprimono, da punti diversi della mappa dell'azione politica (compresa l'antipolitica, che è naturalmente una forma di politica, e tra le più insidiose ed efficaci, oggi), il nuovo leaderismo. Il quale è di tipo neopopulistico, e cerca un contatto diretto con la massa (che nel caso di Grillo sembra essere piuttosto la folla, in carne ed ossa, ai suoi comizi-spettacoli, o virtuale, attraverso il web o il video).
La massa (o folla), da Grillo in particolare, viene sempre contrapposta in quanto entità buona alle entità cattive: le istituzioni, i partiti, i sindacati e quant'altro. Elemento tipico del populismo: popolo buono versus istituzioni malvagie. Su questa folla Grillo si erge come un egoarca, che fa e disfa, che tiene in pugno i suoi, che determina le scelte politiche in modo univoco e indiscusso, che viene seguito e addirittura adorato come capita non alle divinità da parte dei fedeli, ma ai succedanei del divino, i divi dello spettacolo, da parte dei fans. Nella contrapposizione radicale, che nel corso del tempo Grillo ha esacerbato, immergendo sempre più il suo lessico nelle acque di una torbida volgarità, la stessa politica esaltata e praticata dai seguaci, e ovviamente indicata dal leader, è presentata deliberatamente come una politica contro, come una politica rovesciata, come una politica che se ne frega, che manda "aff", i suoi avversari, ma, ahimé, anche tutti coloro che possano apparire, al grande capo, come ostacoli sul suo cammino.
Ma dove mena quel cammino? Ricordo - se non sbaglio - che non troppo tempo fa, sollecitato da più parti, Grillo aveva escluso un suo candidarsi, in nome di una democrazia più autentica, di un rifiuto di essere come "loro". Nulla di male se ci ha ripensato, nulla di male se decide di partecipare in prima persona alla lotta politica, anche nelle istituzioni: ben venga. In fondo egli non è un comico che fa politica, bensì un politico che usa l'arma della satira, pesantissima, condita di volgarità, appunto.
Sta qui la vera differenza tra lui e i suoi competitors, che non sono in grado di far ricorso a quel genere di strumento. Di Pietro o Vendola sono lontanissimi, anche se ciascuno a suo modo sanno affabulare, sanno persuadere, sanno talora anche trascinare. Grillo sollecita il senso del comico nella sua forma più profonda e anche greve; che sa far arrivare il messaggio in modo diretto, senza mediazione alcuna: non occorre essere "di sinistra", non necessita neppure un grado di istruzione elevato, né una formazione o una qualsivoglia esperienza politica. Anzi, il "grillismo" sembra fatto per acchiappare i delusi della politica, e coloro che dalla politica si sono sempre tenuti alla larga. In tal senso, pur nell'antipolitica e nel populismo, pur nel leaderismo, pur nella spettacolarizzazione del messaggio, Grillo ha svolto una funzione positiva, che nondimeno appare tante volte ambiguamente gestita, sia dal cesarismo del capo carismatico, sia dal fideismo dei seguaci.
Non considero Grillo un avversario, né i grillini degli estranei agli obiettivi per i quali io sono disposto a battermi: anzi, li considero potenziali alleati. Ma li inviterei sommessamente a stare in guardia contro lo spettro del qualunquismo che nel comiziare clownesco, ora felice, ora greve, del "capo", affiora pericolosamente. Nel messaggio comico, così come nel messaggio pubblicitario le sfumature, le analisi, le differenze sono ridotte al minimo: tutto viene azzerato in un Armageddon tra il popolo dei fedeli - qui mi sia consentito - e la massa degli infedeli. Da una parte i "giusti", sicurissimi di essere nel vero, armati dell'arma stessa del capo, l'ingiuria, la blasfemia, l'urlo, lo sberleffo; dall'altra, coloro che non seguono quel messia, e che perciò stesso sono denunciati come servi dei padroni: vecchi o nuovi, questo poco importa.
La politica è arte di guardare lontano, ma è arte che si fonda sulla capacità di analizzare, momento per momento, le situazioni, di individuare di volta in volta le forze in campo, di distinguere contraddizioni principali e secondarie, di stabilire alleanze, sulla base di princìpi e/o di programmi; di non confondere tutto in una sola, comoda, ma fallace categoria: i cattivi, che magari, addirittura, possono essere visti nella Fiom e nella sua dirigenza.
Capisco l'esasperazione dello scontro, ma la necessità di distinguere amici e nemici ce lo ha insegnato Carl Schmitt; e pur senza giungere alla sua drammatica concezione della lotta politica, forse vale la pena tutti di riflettere meglio, con maggior attenzione, ai soggetti sociali che sono dietro certe parole d'ordine, certi movimenti, certe azioni concrete. Guardare verso di loro con il dovuto rispetto, pronti ad apprendere, ma disposti altresì a muovere critiche, con la franchezza dovuta all'interno di uno schieramento di cui, per ora, ancora, fanno pienamente parte pure Grillo e i suoi seguaci, anche se la strada che pare intrapresa non incoraggia il dialogo né il confronto.
Ma nella politica come nella vita, occorrono due virtù, che ci vengono suggerite da Giacomo Leopardi e, un secolo più tardi, da Antonio Gramsci: pazienza e ironia.
di Angelo D'Orsi
(dal sito della rivista Micromega - 27 ottobre)

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