venerdì 5 novembre 2010

Il mercato, ovvero come un'azienda competitiva finisce in mano agli squali

L’Industria dolciaria Piselli nasce a Perugia nel 1946, per il territorio non si tratta di un’azienda qualsiasi, sia in città che nella provincia la colazione di ogni perugino è targata Piselli. E’ l’azienda leader del settore dolciario, con circa 300 dipendenti, il punto di riferimento sia per il consumatore che per le altre aziende concorrenti.

Non ci troviamo davanti alla succursale di una grande multinazionale, ma ad un’azienda unica nel settore che ha sviluppato la cultura dell’artigianato della pasticceria che si trova nel forno di quartiere moltiplicandola e portandola alle dimensioni di un’industria. Ma non solo, negli anni novanta ha cercato il lancio nel mercato della grande distribuzione con i prodotti secchi e lievitati, lavorando anche per grandi marchi nazionali, introducendo quindi il vero e proprio lavoro industriale all’interno del processo produttivo.
Proprio per le caratteristiche così particolari dell’azienda l’operaio Piselli diventa un operaio atipico: vive la dimensione del lavoro artigianale nella piccola azienda di famiglia anche lavorando in un grande industria con un fatturato che si aggira intorno ai quaranta milioni di euro annui. Oggi l’azienda vive il momento più difficile della sua storia, con trattative di vendita, minacce di tagli e delocalizzazioni, ma questa crisi, soprattutto per gli operai, non è arrivata tutta insieme. Già nel 2005 è partito il trasferimento degli impianti a circa 40 km di distanza dal vecchio stabilimento, lo spostamento ha portato a disagi pratici ed economici, da una parte un aumento delle ore dedicate al lavoro durante la singola giornata, dall’altra, visto che non sono stati concessi né rimborsi chilometrici né incentivi economici, è come se avessero sottratto in media cento euro dalla busta paga di ogni dipendente, abbattendone bruscamente il potere d’acquisto. Non solo, per far fronte alla politica espansionista dell’azienda nel mercato della grande distribuzione, agli operaio sono state richieste in media trenta ore di straordinari mensili, festivi e notturni compresi fino a portare a circa cinquanta i giorni di ferie arretrati per persona. Nonostante la crisi, quindi, la fabbrica fino a ieri funzionava a piena produzione, tanto che fino al primo semestre del 2010 sono continuate le assunzioni di nuovi dipendenti. La situazione atipica è proprio questa, da una parte una massiccia produzione, con sacrifici richiesti ad ogni singolo operaio, dall’altra i primi scricchiolii cominciati circa un paio d’anni fa, con stipendi arretrati e Natali arrivati a marzo. Fino ad arrivare alla situazione odierna, la proprietà deve cedere l’azienda, per far fronte ai debiti contratti durante il trasferimento e l’espansione degli stabilimenti, ma l’unico compratore che si è fatto avanti per il momento propone la dismissione del settore pasticceria e la diminuzione del 40 percento della produzione del settore industriale, con pari taglio dei dipendenti, escludendo dal conto i dipendenti interinali e gli apprendisti, come se si trattasse solo di numeri su carta, e non di persone che hanno tutto il diritto alla loro dignità di lavoratori. Questo conferma ancora una volta che la libera concorrenza non è competizione, perché la competizione premia la qualità, la libera concorrenza, invece, il prezzo più basso, ne è riprova il fatto che gli imprenditori che hanno fatto la storia industriale delle città (come Piselli) lasciano agli squali. Squali che ben lontani dal voler incentivare il lavoro, quando funziona come in questo caso, arrivano per comprare e smembrare quello che c’è, dopo anni in cui si era parlato solo di “datori di lavoro”, oggi con questi atteggiamenti torna a circolare la parola “padroni” che ci fa ricordare chi all’interno dei luoghi di lavoro ha il coltello dalla parte del manico e di sicuro non è disposto a dividere con i dipendenti il costo della concorrenza. Intanto i lavoratori della Piselli si stanno organizzando, venerdì 15 ottobre l’azienda si è fermata per 24 ore per uno sciopero generale, che è stato ripetuto il 19 ottobre con un presidio sotto la Confindustria durante un incontro tra gli acquirenti e i rappresentanti dei lavoratori. La crisi che sta investendo Piselli non può non avere ripercussioni sulla città intera: 150 famiglie rischiano di rimanere senza sostentamento, vista anche l’alta presenza di interi nuclei familiari tra i dipendenti. A questo punto è evidente chi paga la crisi e chi no, chi va in rovina e chi addirittura ci guadagna anche sulle disgrazie altrui, non ci si meravigli, pertanto, se il livello di scontrosi innalza, se le azioni dei lavoratori si faranno più convinte.

da www.umbrialeft.it

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