lunedì 20 dicembre 2010

L'ipocrisia dei tre colonnelli

Quando Gasparri assaltò Montecitorio e fu indagato per turbativa dell'attività parlamentare, per lui fu solo goliardia?
Il primo aprile del 1993, Maurizio Gasparri, insieme a un gruppo di militanti del Movimento sociale italiano, assaltò Montecitorio e fu indagato, ai sensi dell’articolo 289 del codice penale, per turbativa dell’attività parlamentare insieme ad alcuni colleghi missini fra cui Teodoro Bontempo e Altero Matteoli. I ‘simpatici’ manifestanti, alla cui testa c’era lo stesso Gasparri fra cui diversi militanti del Fronte della gioventù e altri deputati dell’Msi, circondarono le esigue forze dell’ordine presenti in quel momento, indossando una maglietta con su scritto ‘Arrendetevi siete circondati’ e bloccarono l’accesso all’Aula con annessi insulti ai parlamentari. Alcuni militanti missini, inoltre, tentarono anche di aggredire fisicamente i deputati. Ci fu un lancio di monetine e il vetro dell’ingresso di Montecitorio fu incrinato.
Ci chiediamo se il Maurizio Gasparri di allora sia lo stesso che oggi definisce gli studenti come potenziali assassini e che chiede gli arresti preventivi in auge nel fascismo. Dopo le perquisizioni di rito a casa di alcuni di questi elementi furono trovati dei proiettili e tali personaggi non furono né arrestati, né denunciati. Gasparri, all’epoca, non solo non si stracciò le vesti ma presentò, insieme al suo gruppo parlamentare, un’interrogazione in cui si dichiarava ingiustificato e arbitrario l’intervento dei poliziotti. Tutti questi fatti sono riportati in maniera dettagliata nelle cronache dei giornali dell’epoca. Per Gasparri l’assalto al Parlamento fu solo una goliardata: quando la coerenza è un optional.

ALEMANNO-MOLOTOV E QUEGLI 8 MESI UN CARCERE
Che Gianni Alemanno protesti contro la scarcerazione di tutti i fermati durante i disordini di Roma del 14 dicembre è comprensibile. È pur sempre il sindaco della città, e quei venti milioni di danni sono difficili da digerire. Lui nel 1990, quando ai margini della “Pantera” prendeva parte da destra alla protesta studentesca contro la riforma Ruberti, si limitava a tuonare contro
“il portato tecnocratico e privatizzante della riforma sull’autonomia universitaria, che favorisce l’omologazione dei nostri atenei ai modelli economicistici pienamente funzionali al sistema neocapitalistico”. Ma forse – chissà – gli saranno tornati in mente anni più lontani, quando uscire di galera non era mica così facile. Nel maggio 1988 Alemanno fu eletto segretario nazionale del Fronte della Gioventù e ai cronisti tornarono subito in mente quegli otto mesi di carcere che il trentenne futuro sindaco di Roma si fece quando di anni ne aveva soltanto ventitré.
Correva l’anno 1982, il Muro di Berlino era ancora ben saldo e l’allora giovane militante del Msi, avuta notizia del colpo di Stato del generale Jaruzelski in Polonia, espresse tutta la sua indignazione lanciando una molotov contro l’ambasciata dell’Unione Sovietica a Roma. Sarà poi prosciolto, ma a nessun magistrato venne in mente di scarcerarlo immediatamente; forse per via di quel precedente dell’anno prima. Il 21 novembre 1981 Alemanno fu bloccato da due carabinieri di fronte al bar “La Gazzella” nel rione Castro Pretorio, assieme all’allora segretario del Fronte della Gioventù di via Sommacampagna Sergio Mariani, per aver partecipato all’aggressione dello studente Dario D’Andrea di 23 anni. Il gruppo di missini, giunto al bar con l’intento di aggredire D’Andrea, a causa della presenza dei militari, dovette accontentarsi di lanciare al suo indirizzo, colpendolo, una pesante spranga di ferro. Alemanno non riuscì a dileguarsi e finì dentro, rischiando l’imputazione di tentato omicidio. Incidenti di gioventù, figli di un’epoca in cui la violenza politica era pane quotidiano per una buona fetta di quella generazione. Forse il sindaco ha a cuore che i giovani d’oggi non ripetano gli stessi errori. In fondo fu lui stesso, nel 1988, a dichiarare di aver imparato dal carcere “che la violenza deve essere assolutamente rigettata come mezzo di azione politica”. Rinunciare alla violenza sicuramente, evitare di scontrarsi con le oggi tanto amate forze dell’ordine, forse. Il 29 maggio 1989 Alemanno ci ricasca: assieme ad altri dodici militanti viene arrestato con l’accusa di “resistenza aggravata a pubblico ufficiale, manifestazione non autorizzata, e tentativo di blocco di corteo ufficiale”. A Nettuno, infatti, è atteso il presidente degli Stati Uniti George Bush e al trentunenne segretario del Fronte della Gioventù, con il Muro di Berlino ancora in piedi seppur scricchiolante, gli Stati Uniti non vanno molto a genio. I giovani missini intendono impedire che il corteo presidenziale raggiunga il cimitero americano di Nettuno, visita ritenuta offensiva “alla memoria di migliaia di caduti che si sono battuti per la dignità della patria, mentre altri pensavano solo a guadagnarsi i favori dei vincitori”. I cittadini di Nettuno, che attendono con ansia il presidente Usa, non la prendono granché bene, ma a disperdere i manifestanti ci pensano polizia e carabinieri. Questa volta Alemanno viene scarcerato dopo poche ore, non senza che l’organizzazione giovanile missina critichi con durezza l’operato delle forze dell’ordine, colpevoli di aver “aggredito brutalmente i manifestanti, colpendoli con calci e pugni, con la bandoliera usata come frusta fino a colpire alcuni giovani con le radio in dotazione”. Il giorno dopo, a Milano, si tiene un comizio in piazza Oberdan per esprimere solidarietà ai tredici camerati arrestati. Tra i relatori c’è il segretario regionale del Msi, Ignazio La Russa.

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