venerdì 4 febbraio 2011

Federalismo, Napolitano dice di no


Il decreto legge licenziato ieri dal Consiglio dei ministri dopo la bocciatura in Bicamerale, viene considerato "irricevibile" dal Colle. Prima di approvarlo il governo doveva presentarsi in Parlamento

La legge delega sul Federalismo prevedeva che in caso di bocciatura da parte della commissione la norma potesse essere lo stesso approvata. Ma era necessario che il governo si presentasse in aula per illustrare i motivi per cui aveva deciso di non tenere conto del parere della Bicamerale. Berlusconi, invece, ieri sera, visto che Bossi aveva promesso di staccare la spina in caso di bocciatura del federalismo, lo ha convinto a dire sì al decreto. Una rottura istituzionale calcolata da parte del Cavaliere per far ricadere sul Quirinale la responsabilità di aver bocciato la legge bandiera del Carroccio. Ora tra i militanti e i funzionari leghisti il malumore è fortissimo. Il senatur ha chiamato il presidente della Repubblica e lo vedrà la prossima settimana. La situazione è sempre più confusa: se non si va a elezioni, l'altra possibilità è che l'esecutivo torni indietro e rispetti l'iter previsto dal regolamento della Bicamerale. In questo modo, per la gioia del Caimano, trascorrerebbero almeno due mesi. E di voto si riparlerebbe eventualmente in autunno

Al di là di come andrà a finire la legge delega, questa vicenda illustra bene cosa intende per federalismo il centrodestra. Finora infatti si è molto parlato di riforma federale ma erano state approvate solo norme quadro, insomma principi generici, senza un numero o una sola scelte concreta.

Il federalismo municipale era il primo vero banco di prova per capire cosa intende il centro destra con il “federalismo”. Il giudizio non può che essere negativo. Infatti la riforma toglie, se è possibile, ancora più autonomia ai Comuni e centralizza ancora di più nella mani dello Stato le scelte tributarie. Non c’è nessuna possibilità di controllo degli elettori sugli eletti, nessuna speranza di responsabilizzazione degli amministratori, in quanto non si è scelta la strada trasparente d’istituire un’unica imposta comunale, nella quale far confluire tutte le entrate, ma, al contrario, si è accentuato l’attuale spezzatino, per cui ai Comuni spetteranno compartecipazioni in decine d’imposte statali, senza che i cittadini possano minimamente capire quanti soldi ha incassato il Comune e come li ha spesi.
Ma non basta. Smentendo clamorosamente la promessa ventennale che con il federalismo le tasse sarebbero scese, questo decreto prevede nuove e maggiori tasse, a valanga, per tutti.
L’
ICI sulle attività produttive raddoppia e sulle seconde case aumenta, e di molto.
L’
addizionale Irpef aumenta.
In più viene introdotta una
tassa di scopo, che ogni Comune potrà applicare, come e quando vorrà.
Viene introdotta una nuova tassa di soggiorno e così il turismo italiano, che sconta la fiscalità più punitiva d’Europa, verrà ulteriormente penalizzato.
Gli unici a venire avvantaggiati sono i proprietari immobiliari, ma non quelli proprietari della casa in cui vivono, bensì solo quelli che ne hanno tante altre e che le affittano, e che su questi redditi non pagheranno più l’Irpef, ma un’imposta fissa del 21%. Insomma si penalizzano le attività produttive e si premiano le rendite socialmente improduttive. Complimenti!
Qualcuno potrebbe obiettare che quasi tutti gli aumenti d’imposta sono facoltativi e che i Comuni potrebbero decidere di non applicarli. Peccato però che, con la manovra finanziaria del 2010, lo Stato abbia tagliato loro i fondi per 6 miliardi di euro solo nel 2011. Sicché, se vorranno chiudere i bilanci e non presentare i libri in tribunale, gli aumenti d’imposta avranno bisogno di usarli tutti, fino all’ultimo. Ecco, in sintesi, in cosa consiste l’imbroglio che chiamano federalismo.

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