lunedì 28 febbraio 2011

La “buona politica”

La “buona politica” secondo le Fabbriche di Nichi. Luoghi dove si discute ma non si decide

Come tutti i "fenomeni estremi" (Baudrillard docet), le Fabbriche di Nichi sono cartina di tornasole dello spirito del tempo. Ci rivelano cose preziose sul destino della modernità, della democrazia, della sinistra. In particolare, esse mostrano il legame profondissimo che esiste tra l'ideologia dell'autodeterminazione e il dilagare del leaderismo. Non un fenomeno marginale, dunque, ma un prototipo delle nuove forme di soggettività politica che promettono di superare la crisi conclamata dei partiti. Se ne può comprendere la natura, analizzandole alla luce del rapporto che esse istituiscono con il Potere.
Occorre, per questo, ripercorrere alcune tappe recenti del pensiero politico di Vendola, che rivelano il suo deciso sbilanciamento verso una specifica declinazione culturale della sinistra postideologica. Già all'epoca della sua militanza in Rifondazione Comunista, Nichi aveva manifestato ufficialmente (anche attraverso documenti congressuali) la sua convinzione che dovesse essere superata la forma partito e che il Prc avrebbe dovuto fare in questo senso da battistrada, mettendo a rischio tutto, anche la propria stessa esistenza. Più recentemente, egli ha più volte sostenuto che Rifondazione andasse sciolta già dopo il G8 di Genova del 2001. Dal suo punto di vista, solo il "movimento" ha cittadinanza, quello che resta permanentemente nella dimensione dell'orizzontalità e il cui obiettivo unico deve essere, foucaultianamente, la "critica del potere", a ogni livello e in ogni circostanza. Il potere può essere solo criticato, giammai riformato. Convergono chiaramente in questa impostazione gli influssi continentali del radicalismo post-strutturalista e le ispirazioni "americane" della cultura della civicness. Il massimo dell'autodeterminazione coinciderebbe, di fatto, con l'evacuazione dei luoghi del Potere.
Si può fare buona politica solo se, paradossalmente, viene sciolto ogni legame tra i soggetti politici e il Potere. E' per questo che le Fabbriche devono star fuori da competizioni elettorali e questioni di palazzo, per dedicarsi al "fare", alle buone azioni, a testimoniare il bene e a elaborare idee per un mondo migliore. Solo così la politica viene ad essere distillata nella sua purezza, oltre ogni strumentalità e interesse. Questa ideologia rende inutile il codice democratico (in questo senso, piuttosto che postdemocratiche, la Fabbriche sono a-democratiche). La democrazia è necessaria per assicurare l'equa rappresentazione di ciascuno nella gestione del Potere. Ma se questo viene meno come posta in gioco, della democrazia non c'è più bisogno, né all'interno (nella gestione della comunità-Fabbrica), né all'esterno (nel rapporto che il soggetto intrattiene con il livello istituzionale).
Questa ininfluenza della democrazia coincide, se si preferisce, con la massima realizzazione del principio sotteso all'ideologia democratica: la possibilità che a ciascuno venga data sovranità esclusiva sul proprio mondo, senza che egli debba scendere a patti con chicchessia. L'individualizzazione integrale. La Fabbrica assicura, infatti, il massimo di autodeterminazione. Un'istanza di democratizzazione all'interno delle Fabbriche sarebbe irricevibile poiché nessuno impedisce alcunché, ciascuno è libero di manifestare (via web, nelle assemblee, ecc.) qualsiasi idea e di realizzare qualsivoglia iniziativa (anche in contrasto con quelle suggerite dallo staff centrale). Ognuno è libero di attivarsi, in ossequio allo spirito volontarista. La Fabbrica Zero (il dominus dell'organizzazione collocato a Bari) viene raffigurata come un mero coordinamento "tecnico", in quanto tale abitato da "esperti" di organizzazione, marketing e comunicazione. Non si tratta più di definire discorsivamente un destino collettivo, assicurando che tutti abbiano le stesse opportunità di parteciparvi. La Fabbrica è solo uno spazio liscio in cui ciascuno può deporre la propria azione.
Questo assetto è, tuttavia, problematico. Ci si chiede, innanzi tutto: se si tratta davvero di uno spazio liscio di autodeterminazione e se l'organismo collettivo non viene definito discorsivamente dai partecipanti (dal legein, direbbe Magatti), dove sta il "collante comunitario"? In assenza di un'auto-istituzione collettiva (cfr. Castoriadis), chi determina la comunità-Fabbrica? Che cos'è che ri-lega i partecipanti? Due cose, essenzialmente: la tecnica e l'emozione (il teukein e il pathos, direbbe sempre Magatti). Il teukein si materializza in diverse forme: la piattaforma web che connette le esternazioni degli "operai" (attraverso il sito e le pagine Facebook delle Fabbriche e dello stesso Nichi), il nucleo dei professionisti della comunicazione collocati nella Fabbrica Zero, i quali conferiscono coerenza stilistica alla comunità, attraverso la costruzione di un vero e proprio brand ecc. Il pathos coincide con l'emozione collettiva suscitata dal prodotto-Fabbrica ma, soprattutto, con l'attaccamento alla figura carismatica del leader, Nichi Vendola.
E qui giungiamo al secondo problema: se il faro è l'auto-determinazione e lo stigma sul potere sovrano, come si fa a giustificare il servizio reso dalle Fabbriche al Potere? E' indubbio, infatti, che esse nascono apposta per sostenere un attore politico e promuoverne l'ascesa dentro le istituzioni. La loro stessa esistenza è legata a filo doppio alla vicenda politico-istituzionale di un singolo soggetto, nominativamente identificato. Esse però, per statuto, non possono avere voce in capitolo sulle scelte politiche adottate da questo soggetto e dalla compagine di governo che egli guida. Le Fabbriche servono un soggetto e un progetto politico sui quali, tuttavia, non possono esercitare alcuna forma di sovranità o di mero controllo. Ma tutto questo viene giustificato proprio grazie alla specifica configurazione carismatica di Vendola. La "superiorità" del Presidente non si deve alle doti di condottiero, bensì alla sua peculiare capacità di resistere al Potere. Una sorta di rovesciamento semantico della legittimazione carismatica. Le Fabbriche (buone, perché aliene al Potere) servono un soggetto che a sua volta è buono in quanto soggettivamente impermeabile alle lusinghe del Potere. Grazie a questa "credenza fondativa", a questa garanzia personale, gli operai possono disoccuparsi di quanto avviene nel Palazzo. Nichi è un roditore infiltratosi nelle istituzioni per svuotarle dall'interno e assicurare così ai cittadini il massimo grado di autodeterminazione. E' così che, paradossalmente, il massimo dispiegamento della logica di autodeterminazione conduce diritto al massimo di etero-determinazione, ossia ad un assetto di potere tendenzialmente sciolto dal controllo e dalle scelte di una comunità democraticamente istituita.
Né vale obiettare che a questa funzione risponde Sinistra Ecologia e Libertà, se è vero, come ricorda Claudio Bazzocchi, che Nichi Vendola: «alla convention barese di luglio delle Fabbriche ha avanzato la propria candidatura alle primarie del centrosinistra, senza passare al vaglio degli organismi dirigenti del partito. Ed è con i suoi ragazzi che prepara la piattaforma programmatica ("C'è un'Italia migliore" ndr). Partito e organismi dirigenti vengono scavalcati, tanto da far sorgere il dubbio che il vero gruppo dirigente non sia quello uscito democraticamente eletto dal congresso di Firenze dell'ottobre scorso, bensì quello riunito attorno al capo nella sua associazione personale, che nessuno ha eletto, nemmeno nelle stesse Fabbriche».
Onofrio Romano. Liberazione

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