martedì 31 maggio 2011

Ora si può (e si deve) cambiare rotta


Evviva! Come non esultare per il vento che è cambiato? Ora soffia decisamente a sinistra con una forza tale da riaprire il cielo. Tale da travolgere anche il governo ed offrire importanti spazi alla domanda di un reale cambiamento.
Che questa sia la sua chiara direzione ce lo dimostrano in primis, come sgargianti “galletti segnavento” i nuovi sindaci di Milano, Napoli e Cagliari, il loro inequivocabile profilo, la riconoscibilità della proposta di governo ed il carattere delle campagne elettorali che li hanno portati alla vittoria. Essi non nascono certo nei laboratori degli apprendisti stregoni del centro sinistra che da anni sfornano proposte indistinte e candidati sbiaditi, nell’inutile rincorsa di un presunto centro moderato. Democrazia, solidarietà, legalità, giustizia sociale, accoglienza, beni comuni, ecologia: sono queste le parole chiave, i contenuti riconoscibili, chiari, alla base del loro successo e del nostro successo. Potranno dire ciò che vogliono ma sono proprio questi i pezzi del nostro Dna, i contenuti del patrimonio genetico di una sinistra che si voleva “superata dalla storia” e quindi bistrattata, censurata ed esclusa dai luoghi della rappresentanza da un bipolarismo del “pensiero unico”.
Se la direzione di questo vento nuovo appare chiara a tutti, non si può ancora dire altrettanto del contesto politico e sociale e delle prospettive generali. Non è certo cambiata d’incanto questa Italia socialmente disgregata, culturalmente ed eticamente degradata da almeno due terribili decenni di liberismo incontrastato e di Berlusconismo. Così come è innegabile la varietà e la diversità dei molteplici fattori che hanno generato questa spinta. Hanno inciso certamente l’impresentabilità dei “mostri” oggi al comando, la loro disgregazione interna, la crisi dello stesso blocco sociale che li ha espressi.
Ma come non riconoscere che è fondamentale, dentro questo dato, il peso della collera della crescente povertà, di chi subisce l’ingiustizia dilagante, la privazione del lavoro e dei suoi diritti, la negazione di futuro e del presente stesso? C’è dentro l’indignazione per le discriminazioni ed i soprusi di ogni tipo, il saccheggio dei beni comuni, lo spreco e la distruzione delle risorse naturali e dell’ambiente. C’è la consapevolezza, anche di chi non è morso così forte dalla crisi, che questo modello di economia e di società debba necessariamente imboccare una vera alternativa.
E allora, se questo è il vento, non si tratta semplicemente di cambiare il timoniere, come già avvenuto infruttuosamente nel passato, ma di lavorare per invertire decisamente rotta! Altro che le ricette, riproposte proprio in questi giorni, da Emma Marcegaglia ad una platea plaudente, larga e trasversale! Proprio le medesime ricette velenose che ci hanno condotto in questa “macelleria sociale” e che sappiamo essere care da sempre a larga parte dello stesso fronte del centrosinistra che ha sostenuto in queste elezioni i nostri stessi candidati vittoriosi. Tagli alle tasse per le imprese ed alla spesa sociale, privatizzazioni e grandi infrastrutture.
No. Oggi è necessario più che mai il coraggio di un netto cambiamento, di dare avvio ad una vera “alternativa di società” che, in vista dell’imminente e inesorabile cacciata del sultano da palazzo Chigi, questi nuovi sindaci possono iniziare a far vivere nei loro rispettivi territori. Stoppando, per fare qualche esempio, grandi infrastrutture speculative, privatizzazioni, poli logistici, centri commerciali, inceneritori di rifiuti, inutili consumi di territorio. Puntando invece su una nuova economia basata sulla conoscenza, la sostenibilità, la qualità e soprattutto sulla giustizia e l’equità sociale. Un cambiamento che, per essere tale, faccia leva sul conflitto sociale e sulla partecipazione. Perché non basta e non funziona l’affidarsi a nuovi timonieri, magari esperti e illuminati. Bisogna farlo ricorrendo a un modo nuovo di “navigare”. Un modo basato appunto sulla socializzazione delle conoscenze e sulla più larga partecipazione.
Anche questo ci dicono i risultati di ieri, scaturiti non a caso da coinvolgenti percorsi partecipativi in cui, tanto Pisapia quanto De Magistris e Zedda, non sono apparsi come leader carismatici o nuovi messia ma quali garanti dell’unica vera pratica del cambiamento: quella democrazia che chiama in causa la società e la spinta innovatrice dei suoi conflitti.
Ma siccome, avrebbe detto Seneca, «non c’è buon vento per marinaio che non conosce la rotta», c’è una bussola pronta ad indicarla. Sono i referendum sull’acqua e il nucleare. La loro vittoria, che non possiamo mancare, può affermare l’indisponibilità dei beni comuni e la necessità di ricostruire attorno ad essi una comunità partecipante che se ne prende cura collettivamente con scienza e con coscienza, per garantirne i benefici per tutti e per ognuno. Che poi tradotto in due parole vuol dire: bene comune. Senza dimenticare il quesito sul legittimo impedimento per dare voce a quell’indignazione nei confronti dell’arroganza del potere che è componente essenziale dell’ondata di Milano e Napoli. C’è da ricostruire la res pubblica. L’esatto contrario del neoliberismo in salsa italiana, con i suoi insopportabili privilegi, le sue cricche corrotte, la sua prepotenza nel cancellare diritti, la sua volontà famelica di accaparrarsi i beni comuni.
Per chi come noi della Federazione della Sinistra, da posizioni minoritarie e scomode, da tempo indica e lavora in quella direzione si riaprono pertanto spazi politici ed ambizioni nuove. Nuove responsabilità di lavorare ad un’ampia ed unitaria sinistra d’alternativa, capace di progettare e praticare quella diversa rotta economica e sociale, opposta al berlusconismo ma anche alle sirene della Marcegaglia ed ai ricatti di Marchionne. Si offrono inedite opportunità di praticare questa rotta con una diversa idea partecipata di “navigazione” che il vento nuovo ci consente.

Massimo Rossi,
Portavoce nazionale della Federazione della Sinistra

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