mercoledì 29 giugno 2011

Il golpe contro il lavoro

Non ci sono altri termini per definire quello che è avvenuto ieri: un golpe. Silenzioso, “concertato”, senza spargimento di sangue (per ora). Ma un golpe.
Quello firmato da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil, infatti, non è un accordo come tanti altri. Cambia in radice la natura delle relazioni industriali in questo paese, i rapporti tra imprenditori e lavoratori; insomma il fondamento della lotta fra classi sociali con interessi differenti e divergenti.
In estrema sintesi, il dispositivo che presto il ministro anti-lavoro Maurizio Sacconi tramuterà in legge stabilisce che esistono soltanto tre organizzazioni titolate a “rappresentare” i lavoratori e a firmare contratti; che i contratti nazionali non decidono quasi nulla, mentre quelli aziendali tutto; che i lavoratori non possono votare mai – in pratica – per approvare o bocciare gli accordi che fissano le condizioni di lavoro e salariali che dovranno subire, né per scegliere i propri delegati di fiducia.
Come dice con drammatica sintesi Gianni Rinaldini, “non sottoporsi al voto e al giudizio dei lavoratori vuol dire affermare il concetto che i contratti sono proprietà delle organizzazioni sindacali, e non fanno capo all'espressione della volontà dei soggetti interessati”. E' il punto decisivo, da cui dipende tutto. Si ripristina insomma il cuore del sistema corporativo fascista, quello per cui – visto che non viene ammessa una differenza di interessi concreti tra impresa e lavoratore – i “dipendenti” non hanno alcun diritto di parola su organizzazione del lavoro, salario, ritmi, inquadramento professionale, turni, straordinari, e qualsiasi altro tema decisivo.
I “sindacati ammessi”, in questa cornice, “rappresentano” i lavoratori meno di un avvocato d'ufficio in tribunale. Non esiste più alcuna continuità di interessi materiali tra chi effettua la prestazione lavorativa e chi ne gestisce la contrattazione.
Ma c'è di più. Non è più ammesso che i lavoratori possano scegliere un “rappresentante” diverso o autonomamente organizzarsi per crearlo. Chiarissime le spiegazioni fornite dal comunicato Usb sulla “soglia di sbarramento” e la “certificazione degli iscritti”, con cui il compito decisivo di stabilire “chi” effettivamente “rappresenta” qualcosa è attribuito alle stesse imprese. Le conseguenze pratiche sono abbastanza chiare, afferma chi ha ormai una esperienza ultratrentennale di sindacato conflittuale: “è prevedibile che si darà vita a un mercato del tesseramento, teso a favorire le organizzazioni più disponibili a certi accordi. Non mi sorprenderebbe che arrivassero pacchi di iscritti a questa o quell'organizzazione. Sta nelle cose”.
In questo sistema “l'iscrizione” a un “sindacato” cessa di essere – per principio legale – una scelta libera del singolo e diventa merce di scambio tra impresa e “sindacato complice”. Finisce persino l'epoca in cui ci si poteva iscrivere a un sindacato “giallo” nella speranza – o nella certezza – di ottenere qualche vantaggio sul posto di lavoro (turni, straordinari, favoritismi vari, ecc). Dal punto di vista del singolo lavoratore, infatti, la mancata iscrizione a uno dei tre Moloch “sindacali” diventa un rischio, un sospetto di opposizione morale, un dissenso potenziale. Si è spinti a iscriversi per non essere eventualmente discriminati. Il sistema corporativo fascista è esattamente questo: avere la tessera per mettersi al riparo, lasciar scambiare il proprio silenzio per un assenso al regime. Perché di regime si deve parlare.
Può sorprendere l'osservatore superficiale che Susanna Camusso abbia firmato, obbligando così la Cgil a piegarsi o a sfiduciarla. La craxiana espulsa alla fine degli anni '90 insieme a Gaetano Sateriale dalla Fiom di Paolo Sabattini (“per manifesta incapacità sul campo” fu dichiarato, perché sembrava poco onorevole per tutti indicare la vera ragione: “intelligenza con la controparte”, anche in quel caso, e non per caso, la Fiat), aveva già allora dimostrato di essere tutt'altro che un sindacalista.
Ma la selezione del personale dirigente, all'interno di una grande organizzazione sociale, non avviene mai per caso. La logica della “concertazione” ha fatto il suo fetente lavoro. Sono state potenti, in questi anni, le spinte all'emarginazione dei sindacalisti “puri” da parte di quelli “politici”. La cui carriera è orientata da un partito – il Pd, in genere.
Sta di fatto che il quadro istituzionale dell'attività sindacale ora è definitivamente mutato. Vale per il sindacato di base, da sempre in lotta per l'emersione a soggetto unitario di dimensioni nazionali. Ma vale anche per la Fiom e quel che c'è di opposizione autentica all'interno della Cgil.
Contro questa componente è scontato prevedere un attacco frontale continuo, uno stillicidio di espulsioni, ritiro di deleghe e “licenziamenti” (funzionari rispediti nell'azienda di provenienza, se pure esiste ancora). Già da qualche mese ci sono stati i primi casi e altre avvisaglie.
Mentre sul fronte teoricamente opposto le aziende pretenderanno di negare i permessi sindacali e il ritiro delle quote in busta paga ai “non firmatari di contratto” o di accordo (vale per la Fiom, ma al momento anche per pubblico impiego, scuola, università e ricerca, commercio).
In un sistema corporativo fascista non è possibile esser riconosciuti come “componente” libera di giocare per la conquista della maggioranza. Al massimo, come avveniva nel ventennio, si può restare “clandestini” a coltivare la relazione con i lavoratori. Ma per i delegati che si sono schierati “a sinistra” fin qui nel conflitto interno alla Cgil, non c'è nemmeno questa possibilità.
Il problema riguarda però anche i movimenti che fin qui hanno accompagnato, con diversi gradi di partecipazione e consapevolezza, le mobilitazioni del sindacato di base come della Fiom, che hanno dato vita a forme di autorganizzazione dei precari come alle prime forme di “sindacato metropolitano”.
La svolta del “28 giugno” obbliga tutti a misurarsi immediatamente con la nuova situazione. L'illusione che ogni componente dell'opposizione di classe possa intanto sopravvivere da sola, ben chiusa nelle proprie convinzioni, riti, tematiche, è per l'appunto un'illusione.
Siamo nel vortice di una crisi globale che sta per aumentare di intensità. Nessuno potrà resistere se resta “un'isola”. Il messaggio che arriva dall'attacco militare alla Val di Susa spiega fin nei dettagli anche questo.
di Dante Barontini, www.contropiano.org

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