domenica 16 ottobre 2011

Noi indignati, loro indegni



La prima notizia è che a Roma sono scese in piazza 500.000 persone, di cui tantissimi giovani. E’ un numero enorme, che rappresenta la realtà di un Paese che ha da molto superato il livello di sopportazione rispetto al suo governo e – quel che è forse ancora più importante – rispetto alle politiche neoliberiste che oggi sta attuando Berlusconi ma che domani potrebbe mettere in pratica qualsiasi altro governo. Esiste cioè una insofferenza nei confronti di questo sistema, delle sue crisi e delle sue ingiustizie, della sua violenza (che è la vera violenza, non dimentichiamocelo mai, quella che uccide e rende difficile se non impossibile vivere, giorno dopo giorno) che è grande e che va valorizzata in tutta la sua eccezionalità.
La seconda notizia è che, ovviamente, di questo non si parla. Non se ne parla nelle televisioni, non se ne parla nelle radio e se ne parla in parte solo sulla rete dove, per fortuna, l’informazione è più libera e le menzogne hanno le gambe più corte. Non si parla delle nostre ragioni, della forza numerica con la quale le abbiamo sostenute. E si parla di altro: delle violenze, delle auto bruciate, dei bancomat assaltati, della camionetta dei carabinieri data alle fiamme.Voglio dire con estrema chiarezza che tutto quello che è successo mi ripugna perché penso sia distante anni luce dall’idea di società che abbiamo in mente e anche dall’idea di rivolta e di rivoluzione che vogliamo costruire. Non ha alcun senso agire in questa maniera, con i volti coperti e le bombe carta (una delle quali ha colpito alla mano un manifestante in via Cavour, provocandogli la perdita di due dita della mano).
Vorrei capire chi si nasconde dietro questi passamontagna e che, con i propri gesti vigliacchi, sta occultando le nostre ragioni, fornendo tutti i pretesti possibili e immaginabili alle destre, alla stampa e anche al ventre molle di questo Paese per tentare di cacciarci sempre più nell’angolo. E tanta più indignazione mi provocano queste persone quanto più vedo che provano ad associare alle loro violenze il nome di Carlo Giuliani, e cioè il nome di un ragazzo la cui vita e il cui sacrificio ci consegnano tutt’altri insegnamenti.
Ma voglio dire con altrettanta nettezza che quello che abbiamo visto in piazza questo 15 ottobre è inaccettabile sotto un altro punto di vista. La gestione dell’ordine pubblico è stata, da metà pomeriggio in poi, semplicemente vergognosa, indegna di un Paese civile.
Mi si deve spiegare con quale diritto i blindati della polizia possono sfrecciare a 80-100 km all’ora in piazza San Giovanni rincorrendo gruppi di ragazzi inermi. Con quale diritto in una di queste operazioni la polizia ha deciso di investire un ragazzo che, in queste ore, è al pronto soccorso in codice rosso. Mi si deve spiegare con quale diritto la polizia può entrare negli ospedali di Roma e identificare i feriti, manifestanti pacifici, scavalcando con la forza e l’arroganza i medici che provano ad opporsi.
Mi si deve spiegare come è possibile che le forze di polizia, che insieme ai servizi sicuramente erano al corrente da settimane di tutto quello che era in preparazione in tutta Italia, abbiano lasciato partecipare e scorrazzare liberamente nel corteo 500, 1000 persone incappucciate, tutte vestite nella stessa identica maniera, con le stesse spranghe e le stesse mazze.
Mi si deve spiegare come è possibile che – come hanno testimoniato numerosi compagni in queste ore – decine di squadristi di estrema destra, per esempio a via dei Serpenti, stazionassero a fianco delle forze di polizia mentre a pochi metri gli stessi incappucciati mettevano a ferro e fuoco, indisturbati, la città. Mi si deve spiegare come sia possibile che il compito di allontanare questi soggetti dal corteo sia stato totalmente demandato ai manifestanti stessi, a rischio della propria incolumità. Ma nel nostro Paese a cosa servono allora le forze dell’ordine se non a tutelare il diritto di manifestare pacificamente e liberamente come è garantito dalla nostra Costituzione? Penso che questo sia un problema di primo ordine, che andrebbe finalmente posto con forza nel dibatto pubblico del Paese, perché non ci meritiamo corpi e apparati di polizia e di sicurezza così lontani da uno Stato di diritto e da un regime democratico. Noi lo facciamo chiedendo immediatamente le dimissioni del ministro dell’Interno, primo responsabile di quello che è accaduto in piazza.
Detto questo dobbiamo guardare a noi stessi e pensare anche ai nostri limiti. Perché se un movimento così imponente si fa schiacciare e annullare, nelle sue ragioni e nella sua visibilità, da questa tenaglia mortifera di repressione e violenza, vuol dire che il movimento è fragile. Non ha una testa in grado di guidare una fase così delicata come quella nella quale ci stiamo avventurando ed evidentemente non ha un corpo in grado di espellere da sé le tossine che questa fase sta generando.
E ciò è ancora più drammatico se riteniamo, come io penso, che questo movimento debba giocare nei prossimi anni un ruolo importante nella rigenerazione e nel rinnovamento della sinistra italiana e mondiale. Perché, per sedimentare istituzioni permanenti di movimento, testa e corpo servono eccome. Interroghiamoci, facciamolo tutti insieme, creiamo nei prossimi giorni e nelle prossime settimane in ogni territorio momenti di incontro, di confronto e di riflessione collettiva, provando a mettere in fila quei punti fermi da cui vogliamo provare a ripartire.

Simone Oggionni, www.reblab.it

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