domenica 18 marzo 2012

18 marzo 1871. La Comune di Parigi


Il 18 marzo del 1871 il proletariato di Parigi si solleva e dichiara la Comune. Un big bang da cui è nato oltre un secolo di "lotta di classe cosciente" tra avversari costitutivamente irriducibili: lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e la lotta per la sua iiberazione.
141 anni appena, in cui è sucesso di tutto. L'ascesa del movimento operaio e comunista, la Rivoluzione d'Ottobre, la lotta vittoriosa al nazifascismo, le conquiste del movimento operaio a livello globale.
Ma anche un trentennio di rovesci fin qui inarrestabili, che sembrano riportare la ruota della Storia esattamente al punto di partenza. Per questo l'anniversario dell'insurrezione di Parigi non è un omaggio rituale, ma un invito alla riflessione coletiva. Non abbiamo bisogno di gente che ci ripete formule prese dai libri e mai capite da chi le pronuncia. Ci serve ri-vedere, con gli occhi e la mente svegli, dietro il velo del senso comune e la cecità delle ricette ideologiche. Vedere la realtà dei rapporti di classe e dei rapporti di forza. Vedere le vie che portano alla costruzione del movimento e dei soggetti politici adeguati ai tempi.

Il riportare qui i testi di Lenin e Marx dedicati alla Comune, quindi, non hanno .significato liturgico. E' l'invito a leggerli davvero, ascoltando il rumore del confitto in carne e ossa dietro un  racconto e un'analisi che, necessariamente, deve estrarre e astrarre insiegnamenti dai fatti. Indicazioni per il fututo, insomma, non celebrazioni del passato.

Lenin
In memoria della Comune
Quarantanni sono passati dalla proclamazione della Comune di Parigi. Con comizi e manifestazioni il proletariato francese ha commemorato, come d'uso, gli artefici della rivoluzione del 18 marzo 1871. Negli ultimi giorni di maggio, esso andrà nuovamente a deporre corone sulle tombe dei comunardi fucilati, vittime dell'orribile «settimana di maggio» e a giurare ancora una volta di combattere senza tregua fino al trionfo completo delle loro idee, fino alla completa realizzazione dell'opera che ci hanno affidata.
Perché il proletariato, e non solo il proletariato francese, ma di tutto il mondo, onora negli artefici della Comune di Parigi i suoi precursori? Qual è l'eredità della Comune?
La Comune nacque spontaneamente. Nessuno l'aveva preparata coscientemente e metodicamente. Una guerra disgraziata con la Germania, le sofferenze dell'assedio, la disoccupazione del proletariato, la rovina della piccola borghesia, l'indignazione delle masse contro le classi superiori e contro le autorità, che avevano dato prova di assoluta inettitudine, un fermento confuso nella classe operaia che malcontenta della propria situazione, aspirava a. un nuovo regime sociale, la composizione reazionaria dell'Assemblea nazionale, che suscitava timori per la sorte della Repubblica: tutti questi fattori e molti altri concorsero a spingere il popolo di Parigi alla rivoluzione del 18 marzo. Questa rivoluzione fece passare improvvisamente il potere nelle mani della guardia nazionale, della classe operaia e della piccola borghesia che si era unita agli operai.
Fu un avvenimento senza precedenti nella storia. Fino allora, il potere era stato sempre generalmente nelle mani dei grandi proprietari fondiari e dei capitalisti, cioè dei loro uomini di fiducia formanti il cosiddetto governo. Dopo la rivoluzione del 18 marzo, dopo la fuga da Parigi del governo del signor Thiers, delle sue truppe, della sua polizia e dei suoi funzionari, il popolo rimase padrone della situazione e il potere passò al proletariato. Ma, nella società attuale, il proletariato è economicamente asservito al capitale, non può dominare politicamente senza spezzare le catene che lo avvincono al capitale. Ecco perché il movimento della Comune doveva inevitabilmente assumere un colore socialista, tendere cioè all'abbattimento del dominio della borghesia, del dominio del capitale, e alla demolizione delle basi stesse del regime sociale dell'epoca.
All'inizio, il movimento, fu estremamente eterogeneo e confuso. Vi aderirono anche i patrioti con la speranza che la Comune avrebbe ripreso la guerra contro i tedeschi e l'avrebbe condotta a buon fine. Il movimento era anche sostenuto dai piccoli commercianti minacciati da rovina se il pagamento delle cambiali e degli affitti non fosse stato prorogato (ciò che il governo aveva rifiutato di fare e che invece la Comune accordò). Infine, nei primi tempi, il movimento ebbe, in parte, la simpatia dei repubblicani borghesi i quali temevano che l'Assemblea nazionale reazionaria (i «rurali», i rozzi e brutali grandi proprietari fondiari) restaurasse la monarchia. Ma la funzione principale fu evidentemente assolta dagli operai (soprattutto dagli artigiani di Parigi), fra i quali, durante gli ultimi anni del secondo Impero, era stata svolta un'attiva propaganda socialista, e molti appartenevano anche all'Internazionale.
Gli operai furono i soli a restare fino alla fine fedeli alla Comune. I repubblicani borghesi e i piccoli borghesi se ne staccarono presto; gli uni furono spaventati dal carattere proletario, rivoluzionario e socialista del movimento, gli altri si ritirarono quando videro il movimento destinato a una sicura disfatta. Soltanto i proletari francesi sostennero senza paura e senza stanchezza il loro governo Combatterono e morirono per la sua difesa, cioè per la causa dell'emancipazione della classe operaia, per un avvenire migliore di tutti i lavoratori.
Abbandonata dai suoi alleati della vigilia e priva di qualsiasi appoggio, la Comune era destinata alla disfatta. Tutta la borghesia francese, tutti i grandi proprietari fondiari, tutti gli uomini della Borsa, tutti i fabbricanti, tutti i ladri grandi e piccoli, tutti gli sfruttatori, si unirono contro di essa. Questa coalizione borghese, sostenuta da Bismarck (che liberò 100.000 prigionieri di guerra francesi per sottomettere Parigi rivoluzionaria), riuscì a sollevare i contadini ignoranti e la piccola borghesia provinciale contro il proletariato di Parigi e a chiuderne la metà in un cerchio di ferro (l'altra metà era bloccata dall'armata tedesca). In qualche grande città della Francia (Marsiglia, Lione, Saint-Etienne, Digione, ecc.) gli operai tentarono anch'essi di prendere il potere, di proclamare la Comune e di correre in aiuto di Parigi, ma i loro tentativi fallirono rapidamente. E Parigi che, prima, aveva levato lo stendardo dell'insurrezione proletaria, ridotta alle sole sue forze, si trovò votata alla catastrofe inevitabile.
Due condizioni, almeno, sono necessarie perché una rivoluzione sociale possa trionfare: il livello elevato delle forze produttive e la preparazione del proletariato. Nel 1871, queste due condizioni mancavano. Il capitalismo francese era ancora poco sviluppato, e la Francia era ancora un paese prevalentemente piccolo-borghese (di artigiani, contadini, piccoli commercianti, ecc.). D'altra parte, non esisteva un partito operaio, la classe operaia non era né preparata né lungamente addestrata e, nella sua massa, non aveva un'idea chiara dei suoi compiti e dei mezzi per assolverli. Non esistevano né una buona organizzazione politica del proletariato, né grandi sindacati, né associazioni cooperative...
Ma, soprattutto, la Comune non ebbe il tempo, la libertà di orientarsi, e di dar principio alla realizzazione del suo programma. Non aveva ancora potuto mettersi all'opera, e già il governo che sedeva a Versailles, appoggiato da tutta la borghesia, apriva le ostilità contro Parigi. La Comune dovette, prima di tutto, pensare a difendersi. E fino ai suoi ultimi giorni, che vanno dal 21 al 28 maggio, essa non ebbe il tempo di pensare seriamente ad altro.
Del resto, malgrado le condizioni cosi sfavorevoli, malgrado la brevità della sua esistenza, la Comune riuscì a adottare qualche misura che caratterizza sufficientemente il suo vero significato e i suoi scopi. Essa sostituì l'esercito permanente, strumento cieco delle classi dominanti, con l'armamento generale del popolo, proclamò la separazione della Chiesa dallo Stato, soppresse il bilancio dei culti (cioè lo stipendio statale ai preti), diede all'istruzione, pubblica un carattere puramente laico, arrecando un grave, colpo ai gendarmi in sottana nera.
Nel campo puramente sociale, essa potè far poco; ma questo poco dimostra con sufficiente chiarezza il suo carattere di governo del popolo, di governo degli operai. Il lavoro notturno nelle panetterie fu proibito; il sistema delle multe, questo furto legalizzato a danno degli operai, fu abolito; infine, la Comune promulgò il famoso decreto in virtù del quale tutte le officine, fabbriche e opifici abbandonati o lasciati inattivi dai loro proprietari venivano rimessi a cooperative operaie per la ripresa della produzione. Per accentuare il suo carattere realmente democratico e proletario, la Comune decretò che lo stipendio di tutti i suoi funzionari e dei membri del governo non potesse sorpassare il salario normale degli operai e in nessun caso superare i 6000 franchi all'anno (meno di 200 rubli al mese).
Tutte queste misure dimostrano abbastanza chiaramente che la Comune costituiva un pericolo mortale per il vecchio mondo fondato sull'asservimento e sullo sfruttamento. Perciò, finché la bandiera rossa del proletariato sventolava sul Palazzo comunale di Parigi, la borghesia non poteva dormire sonni tranquilli. E quando, infine, le forze governative organizzate riuscirono ad avere il sopravvento sulle forze male organizzate della rivoluzione, i generali bonapartisti, sconfitti dai tedeschi, ma valorosi contro i compatrioti vinti, questi Rennenkampf e Möller-Zakomelski francesi compirono una carneficina quale Parigi non aveva mai visto. Circa 30.000 parigini furono massacrati dalla soldataglia scatenata, circa 45.000 furono arrestati; di questi ultimi molti furono uccisi in seguito; a migliaia furono gettati in carcere e deportati. In complesso, Parigi perde circa 100.000 dei suoi figli, e fra essi i migliori operai di tutti i mestieri.
La borghesia era soddisfatta. «Ora il socialismo è finito per molto tempo», diceva il suo capo, il mostriciattolo sanguinario Thiers, dopo il bagno di sangue che egli e i suoi generali avevano fatto subire al proletariato parigino. Ma i corvi borghesi gracchiavano a torto. Sei anni circa dopo lo schiacciamento della Comune, quando molti dei suoi combattenti gemevano ancora nella galera e nell'esilio, il movimento operaio rinasceva in Francia. La nuova generazione socialista, arricchita dall'esperienza dei suoi predecessori, e per nulla scoraggiata per la loro sconfitta, impugnava la bandiera caduta dalle mani dei combattenti della Comune e la portava avanti con mano ferma e coraggiosa al grido di «Evviva la rivoluzione sociale! Evviva la Comune!». Due-quattro anni più tardi il nuovo partito operaio e l'agitazione che esso scatenava nel paese obbligavano le classi dominanti a restituire la libertà ai comunardi rimasti nelle mani del governo.
Il ricordo dei combattenti della Comune è venerato non solo dagli operai francesi, ma dal proletariato di tutti i paesi. Perché la Comune non combattè per una causa puramente locale o strettamente nazionale, ma per l'emancipazione di tutta l'umanità lavoratrice, di tutti i diseredati e di tutti gli offesi. Combattente avanzata della rivoluzione sociale, la Comune si è guadagnata le simpatie dovunque il proletariato soffre e combatte. Il quadro della sua vita e della sua morte, la visione del governo operaio che prese e conservò per oltre due mesi la capitale del mondo, lo spettacolo della lotta eroica del proletariato e delle sue sofferenze dopo la sconfitta, tutto questo ha rinvigorito il morale di milioni di operai, ha risvegliato le loro speranze, ha conquistato le loro simpatie al socialismo. Il rombo dei cannoni di Parigi ha svegliato dal sonno profondo gli strati sociali più arretrati del proletariato e ha dato ovunque nuovo impulso allo sviluppo della propaganda rivoluzionaria socialista. Ecco perché l'opera della Comune non è morta; essa rivive in ciascuno di noi.
La causa della Comune è la causa della rivoluzione socialista, la causa dell'integrale emancipazione politica ed economica dei lavoratori, è la causa del proletariato mondiale. In questo senso essa è immortale.
Rabociaia Gazieta, n. 4-5, 15 (28) aprile 1911
da Lenin, Opere Complete, vol. 17, Editori Riuniti, Roma, 1966, pp. 123-127

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