martedì 6 marzo 2012

Un gioco autolesionista di Norma Rangeri, Il Manifesto


Un partito che alle primarie di una sindacatura cruciale, come quella di Palermo, si divide sui nomi di tre candidati non è un partito spaccato: è spappolato. E se il candidato sponsorizzato dal segretario non solo non appartiene al suo partito (che gliene oppone un altro) ma esce anche sconfitto dalla sfida, l'immagine del leader non ne esce ammaccata: si squaglia.
Rita Borsellino, una donna simbolo dell'antimafia, per pochi voti ha perso la pole position per la corsa elettorale di maggio. Bersani era volato a Palermo per sostenerla, nella surreale contesa con un pezzo dello stesso Pd che appoggiava il candidato dell'antimafia di Beppe Lumia, e contro l'unico politico targato Pd, un fan del rottamatore Renzi. Sciascia non avrebbe saputo immaginare di peggio.
Come è spesso accaduto in passato, l'alambicco siciliano distilla scenari nazionali. La vittoria del globetrotter Ferrandelli (dagli umanisti agli ambientalisti, all'Idv) allude a future alleanze con il terzo polo, e consente al numero due del Pd, Enrico Letta, di prendere la foto di Vasto (Bersani, Vendola, Di Pietro) e buttarla nel cestino. Come se, viceversa, la vittoria di Marco Doria, a Genova, dovesse suonare come il de profundis dei piddini neocentristi.
Le primarie, usate come arma di annientamento del nemico interno, sono la parodia dello scissionismo d'antan. Ma in questa guerra di tutti contro tutti, con il vicesegretario che smentisce il segretario, vive l'infelice anomalia di una forza politica che non sa dove andare, né con chi.
L'involuzione del sistema politico italiano è pesante, andare contro il vento liberista europeo non è semplice e il futuro si presenta denso di incognite. Dopo Monti ancora Monti e una legge elettorale fintamente proporzionale in realtà cucita su misura per Pd, Pdl e Terzo Polo? Il segretario balbetta un timido «no», poi smussa e rinvia la scelta di una rotta alternativa. Se sulle poltroncine di un talk-show mettessero uno di fronte all'altro Veltroni e Bersani, lo spettacolo dell'autolesionismo sarebbe perfettamente rappresentato.
Ma del destino di questo litigioso, inverosimile gruppo dirigente potrebbe interessare poco o nulla. Purtroppo però le divisioni sono tanto forti, e così determinati appaiono i capi-corrente nella contesa della golden-share del partito, quanto poco alternativi si rivelano, tutti, rispetto al montismo e alle scelte strategiche di fondo (il sì al Tav, il profilarsi di una maggioranza parlamentare sulla riforma costituzionale del pareggio di bilancio).
In questo guado paludoso a tenere il Pd a galla è l'assenza di convincenti alternative di governo.

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