lunedì 28 maggio 2012

L'antipolitica - Compiacerla non serve di Leonardo Caponi, www.umbrialeft.it

PERUGIA -  Non sono affatto convinto che quello che in Italia va oggi sotto il nome di antipolitica sottintenda, in tutto o in parte (in parte almeno significativa) una domanda di “cambiamento” (in senso “positivo”), che si serve degli strumenti culturali “disponibili” sul mercato. L’antipolitica mi sembra semplicemente l’altra faccia della cattiva politica, ad essa complementare e funzionale. Del resto si può ben vedere come la critica feroce e il rifiuto della politica e dei “politici” conviva, il più delle volte, con un atteggiamento riverente e questuante nei loro confronti e, anzi, tanto più accentuati sono i primi, tanto più lo diventa il secondo.
Da cosa nasce l’antipolitica? A mio giudizio, fondamentalmente, dalla caduta della idea che possa esistere una alternativa al modello economico e all’organizzazione sociale oggi dominante, che è quella del liberismo e del capitalismo (da questo punto di vista il “crollo” del comunismo ha avuto un effetto devastante). In queste condizioni è evidente che il conflitto si sposta, come dire?, dall’”idea alla persona”, cioè l’insoddisfazione, la critica, la protesta non si rivolgono più verso il sistema, ritenuto intangibile o comunque il migliore possibile, ma verso i suoi “gestori” e interpreti materiali, cioè governanti e politici e, di conseguenza, verso gli aspetti più appariscenti, detestabili e invidiati della loro condizione. Nel contesto di un rapporto non più collettivo, ma “individuale”, la critica alla politica e ai politici diventa una sorta di sfogatoio in cui frustrazioni anche di carattere personale si aggiungono a problemi di disagio sociale ed “economico”. Emblematica, da questo punto di vista, la tragica catena di suicidi di imprenditori e di lavoratori, che sembra solo oggi scoperta dall’apparato mediatico, ma che in realtà, come è stato ricordato, accompagna tutte le fasi di acuta crisi sociale.
A delineare il quadro si aggiungono due altri importanti elementi: il pessimo esempio e le pessime prove di se che offre la cosidetta “classe politica” (coinvolta in toto, nel senso comune e forse anche nella realtà, nelle pratiche di decadimento etico e di malcostume) e il fatto che forze economiche, politiche e mediatiche potentissime hanno lavorato e lavorano per minare la fiducia nella politica come strumento del cambiamento e della risoluzione dei problemi individuali e collettivi
Da questo punto di vista con il governo Monti siamo “dentro”, ed in parte credo, “oltre” i fenomeni del “diciannovismo” e del “sovversivismo delle classi dirigenti” analizzati da Antonio Gramsci. Negli anni ’20 del secolo scorso l’ondata di sfiducia nella politica e nelle istituzioni fu funzionale a sbarrare la strada all’avanzata del movimento operaio e l’avvento al potere del fascismo ne fu lo strumento “operativo” finale; oggi, periodo nel quale il pericolo della “rivoluzione” è accantonato, l’antipolitica viene usata per affermare la dittatura dei mercati e il compito di polo di riferimento, destinato a “riempire” il vuoto istituzionale conseguente, è affidato non più ad un regime politico reazionario “classico”, ma alla “tecnica”, che assume, in questo momento, le sembianze del governo Monti.
Io non credo che l’antipolitica e i suoi protagonisti vogliano in realtà moralizzare e cambiare la politica e le istituzioni. Questo naturalmente non vuol significare ignorare queste esigenze e non comportarsi di conseguenza, con denunce quando è necessario, programmi e atti politici conseguenti e, soprattutto, comportamenti ed esempi positivi, che sono quanto mai necessari e urgenti a “sinistra”.
Mi parrebbe però sinceramente inutile accodarsi alla campagna denigratoria e alle già sovrabbondanti posizioni ed espressioni di critica e discredito della politica e delle istituzioni che, ad ogni piè sospinto in una sorta di moda esagerata e dissolvente, riempiono le pagine dei giornali e gli schermi delle tv. Così come mi pare del tutto superfluo proporsi e insistere sulla “apertura al dialogo” con forze, come quella del cosiddetto “grillismo”, che il dialogo non lo vogliono e annegano in una marea qualunquista proposte o programmi originariamente “di sinistra” e che andranno, semplicemente, giudicate sui fatti concreti, cioè sostenuti sulle scelte giuste, criticati su quelle sbagliate.
Il punto mi pare un altro: il consenso e la fiducia nella politica si recuperano e si ottengono, come sempre, sul terreno, per così dire, delle condizioni materiali. Oggi la sinistra registra e paga una pesante caduta di credibilità che è, fondamentalmente, all’origine delle sue difficoltà elettorali. Questa credibilità può essere recuperata non certo compiacendo, in tutto o in parte, le suggestioni dell’antipolica. La strada è un’altra: i comunisti e la sinistra devono resistere e combattere, per così dire, su due fronti: uno “interno”, unendosi, in prospettiva unificandosi, mettendo in discussione e rinnovando il proprio modo di essere ed operare, ripristinando un “costume” esemplare, aprendo le organizzazioni e rendendole democratiche e inclusive; l’altro rivolto verso l’esterno, avanzando e praticando programmi e proposte realistiche e credibili, che parlino ad un fronte largo e complesso di forze e che mirino a suscitare e ad assumere, come interlocutori primari, movimenti “strutturali”, cioè ancorati a solide radici nella società e, in quanto tali, in grado di trasformarla .
E’ una strada lunga, complessa, forse incerta, ma che non ha alternative.
 

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