domenica 27 maggio 2012

L’opposizione sindacale si organizza di Delegati e Rsu

La relazione introduttiva e l'Ordine del Giorno approvato all’assemblea nazionale di delegati e Rsu tenutasi al teatro AmbRa Jovinelli di Roma il 26 maggio.
(Per la relazione introduttiva vedi sotto) 
L’ordine del giorno approvato è il seguente:
L' assemblea convocata da RSU e RSA a Roma il 26 maggio ha raccolto la spinta di chi sta lottando contro l'aggressione scatenata dal governo verso il mondo del lavoro. Ma siamo soprattutto indignati per la rassegnazione o, perfino, l’assenso con cui le direzioni confederali CGIL, CISL e UIL hanno accompagnato e favorito questa aggressione.
L'Assemblea condivide quanto proposto nella relazione e raccoglie le indicazioni e i contributi emersi dal dibattito.
Le pensioni sono in via di essere ridotte a sussidi di sopravvivenza e l’età di quiescenza è stata portata a livelli inediti in Europa.
Centinaia di migliaia di lavoratori messi fuori dalle aziende con accordi spesso ricattatori vengono messi in condizione di non avere più né un salario, né una pensione, né un ammortizzatore sociale.
I salari sono fermi da almeno 20 anni, mentre i prezzi galoppano. I contratti nazionali sanciscono la riduzione delle retribuzioni, l’aumento degli orari di fatto e la regola delle deroghe.
La precarietà è diventata la forma generalizzata di assunzione: un esercito di milioni di giovani vive quotidianamente senza diritti e nell’incertezza più totale sul proprio futuro.
La disoccupazione tocca livelli inediti ed è destinata a crescere ulteriormente, per la chiusura di tante fabbriche ma anche attraverso la drastica riduzione dell’occupazione nel pubblico impiego.
I servizi sono stati privatizzati, peggiorandone la qualità e aumentandone i costi per l’utenza, mentre si faceva cassa sui diritti e sulle retribuzioni degli addetti.
Il padrone sceglie i sindacati da legittimare, mentre gli altri in particolare FIOM e sindacati di base, vengono cacciati dalla porta delle aziende.
Infine l’articolo 18, quella norma che giusto 42 anni fa ha posto un limite all’arbitrio e all’autoritarismo padronali, è in procinto di essere cancellata, sopprimendo la funzione deterrente della reintegra e ripristinando l’effetto intimidatorio della minaccia di licenziamento contro chi si attiva politicamente o sindacalmente o contro chi, comunque, ha un comportamento non gradito al padrone e ai capi.
In queste settimane in molte aziende c’è stata una massiccia reazione contro questo stravolgimento dell’articolo 18, con fermate, scioperi, picchettaggi, blocchi stradali e manifestazioni. Ma se stessimo all’azione del sindacalismo confederale di CGIL CISL e UIL tutto ciò sta passando senza una resistenza degna di questo nome o addirittura con un vero e proprio consenso, in nome della governabilità e della nuova “unità nazionale” che sostiene il governo dei “tecnici” diretta emanazione della Bce, dell' Unione Europea e del Fondo monetario internazionale, della Confindustria e del sistema bancario italiano. Noi non ci riconosciamo in questa unita' nazionale ma anzi ci battiamo per cacciare il governo Monti Fornero.
Il movimento di lotta nelle fabbriche e nei posti di lavoro a cui anche molti dei delegati e delle delegate qui presenti hanno dato vita nei giorni scorsi deve continuare, con l’obiettivo di impedire la trasformazione in legge del disegno Fornero. Siamo disponibili a valutare e sostenere ogni iniziativa di mobilitazione che persegua gli stessi obiettivi.
Ma questa mobilitazione dovrà rimettere in campo non solo la difesa dell’articolo 18 e la sua estensione ai milioni di lavoratrici e di lavoratori che non ne sono tutelati (i precari e i dipendenti delle piccole aziende), ma anche una piattaforma complessiva, per invertire la tendenza a far pagare la crisi ai lavoratori e alle classi popolari. intendiamo elaborare questa piattaforma in maniera compiuta in un prossimo appuntamento assembleare analogo a questo. In ogni caso gia' da oggi proponiamo alcuni punti irrinunciabili:
- Il blocco dei licenziamenti;
- Il rinnovo di tutti i contratti attraverso piattaforme costruite con la partecipazione democratica dei lavoratori;
- La riduzione degli orari di lavoro a parità di salario;
- Un aumento dei salari e delle pensioni generalizzato e consistente;
- Il ripristino di una scala mobile dei salari e delle pensioni per tutelarli dalla nuova inflazione;
- La riconquista del pensionamento di vecchiaia a 60 anni di importo adeguato;
- No ai fondi pensione privati;
- La definitiva abolizione di tutte le forme contrattuali precarie;
- Il blocco delle privatizzazioni e la ripubblicizzazione dei servizi gia' privatizzati;
- Una politica fiscale di forti sgravi sul lavoro dipendente e sulle pensioni compensati dall'aumento della progressività delle aliquote e da una patrimoniale sulle rendite e sulle ricchezze;
- Il diritto al reddito, alla casa e alla gratuita' di tutti i servizi pubblici per precari e disoccupati;
- La elezione libera dei propri rappresentanti sindacali, senza alcuna limitazione da parte del padrone e senza riserva per nessuno;
- L'abolizione della Bossi/Fini e uguali diritti per i migranti.
Si tratta delle rivendicazioni minime e essenziali per preservare livelli di vita e di dignità basilari in un paese civile. Se sembrano incompatibili con il pagamento del debito, diciamo: è il debito che non va pagato.
Per questi motivi, e per difendere l’articolo 18 nel suo valore di fondo e nella sua essenza simbolica, noi invitiamo tutte le RSU, le RSA, le organizzazioni e le aree sindacali che condividono queste esigenze a organizzare nelle prossime giornate dell’8 e del 9 giugno momenti di lotta: fermate, scioperi, azioni di protesta, presidi.
Indiciamo per il pomeriggio dell’8 maggio, a partire dalle 16,00 a piazza Montecitorio un presidio della Camera dei deputati che sta dibattendo del futuro dei nostri diritti
Invitiamo tutte e tutti, RSU, RSA, organizzazioni e aree sindacali a rendere permanente la lotta anche nei giorni successivi, fino all’ultimo giorno utile per impedire l’approvazione parlamentare della controriforma Fornero e ancora oltre nei prossimi mesi.
RELAZIONE INTRODUTTIVA
Siamo lavoratrici e lavoratori, delegati e delegate, precari e disoccupati, militanti di diverse storie, esperienze, organizzazioni e movimenti. Abbiamo lanciato un appello per discutere e decidere tutti insieme come agire, perché non possiamo più continuare così.
Questo è il primo passaggio dell'appello che in pochi giorni ha raccolto più di un migliaio di adesioni di RSU, delegati e attivisti di sindacati conflittuali e di base. Adesioni all'appello che provengono da realtà del pubblico impiego e del lavoro privato, da uffici e fabbriche, da tutte le regioni italiane, da rappresentanti della Fiom e di altre categorie della Cgil, di USB e del sindacalismo di base.
La significativa presenza numerica e la qualità dei partecipanti che registriamo in questa Assemblea ci dice che l'esigenza di discutere, di confrontarsi e di decidere insieme è forte tra chi ritiene che il sindacato e la difesa collettiva dei diritti è il bene primario del mondo del lavoro.
E ci dice anche che è necessario un sempre più ampio e concreto coinvolgimento che parta dalla difesa degli interessi e dei diritti dei lavoratori e che costruisca le basi di un sindacato conflittuale nella teoria e nelle enunciazioni ma soprattutto nella pratica; un sindacato indipendente dai padroni, dai partiti e dai governi; un sindacato generale e di massa che sappia parlare a tutti, ai giovani disoccupati e precari come ai pensionati ed a chi perde il posto di lavoro a cinquanta anni, alle donne come agli uomini, agli studenti come ai migranti.
Siamo immersi in una crisi che sta devastando l'intero pianeta e che, soprattutto in Europa, sta producendo una trasformazione strutturale del modo di vivere e di produrre, delle relazioni industriali e di quelle umane. Lo vediamo chiaramente in Grecia dove la crisi sta assumendo la sua espressione di massima tragicità e criticità, dove la disoccupazione e le riduzioni di salario e di diritti stanno esplodendo e mettendo in discussione dogmi economici e consuetudini internazionali ritenute intoccabili.
I risultati elettorali in Grecia dicono che la gente comune è stanca di subire le imposizioni interne, quelle della BCE e del Fondo Monetario Internazionale e che possono produrre un reale cambiamento di rotta nelle politiche di quel paese, indicando a tutti i popoli europei una diversa uscita dalla crisi. In Italia la devastazione sociale generata dalla crisi e dalle misure del governo Monti parte da una ridefinizione strutturale dei rapporti di forza nel mondo del lavoro a tutto vantaggio dei padroni, delle banche e della finanza, continuando a estorcere soldi e diritti dei lavoratori che ormai da anni non rinnovano i contratti di lavoro, subiscono gli effetti dell'inflazione, dell'aumento delle tariffe e della riduzione delle spese sociali con una conseguente e sempre più insopportabile riduzione del potere d'acquisto.
Se poi si considerano le centinaia di migliaia di licenziamenti, di lavoratrici e lavoratori messi in cassa integrazione e mobilità e di altrettanti tagli occupazionali derivanti dai contratti precari non rinnovati in questi ultimi anni, si ricostruisce un quadro sempre più drammatico che non può essere interpretato ed affrontato con i consueti strumenti di lettura che da anni siamo abituati ad utilizzare.
Alla religione dello spread e del dio mercato è indispensabile rispondere con un nuovo e rinnovato protagonismo del mondo del lavoro che non abbia paura di sostenere la necessità da una parte di misure generali che vadano nella direzione di un cambiamento radicale del sistema che ha prodotto l'attuale crisi e dall'altra punti ad una pratica e ad un progetto sindacale che superi l'ormai arida, inutile e dannosa azione di Cgil, Cisl, Uil e Ugl subalterna al potere dei partiti e dei governi e allo stesso tempo vada anche oltre l'opera meritoria, importante ma oggi inadeguata del
sindacalismo dei base, di categoria e di quei settori di opposizione che all'interno della Cgil da anni lavorano per costruire un sindacato conflittuale.
Ed è proprio dal sindacato di base, conflittuale ed indipendente e dall'opposizione in Cgil che si deve ripartire con un rinnovato protagonismo delle delegate e dei delegati che nei posti di lavoro fanno vivere un sindacalismo di classe.
L'attacco all'articolo 18 è soltanto l'ultimo di una lunga serie di colpi durissimi dati al mondo del lavoro negli ultimi anni.
Il collegato lavoro e l'aggressione al diritto del lavoro, l'accordo del 28 giugno che ha aperto la strada ai provvedimenti dell'estate scorsa del governo Berlusconi che hanno di fatto cancellato il contratto nazionale, l'odioso aumento dell'età pensionabile attuato senza un'ora di sciopero da parte di Cgil, Cisl e Uil, una tassazione iniqua che scarica sul lavoro e sulle pensioni il grosso del reperimento di denari che servono poi a salvare le banche.
Invece di applicare una vera patrimoniale che faccia pagare quel 10% che possiede il 50% della ricchezza, con l'introduzione dell'IMU si spreme ancor di più chi è stato costretto a comprarsi la casa e oggi non riesce neanche più a pagare il mutuo.
Altro che equità: ci stanno svuotando le tasche riducendo milioni di donne e uomini alla povertà, ad una precarietà che ormai non è soltanto riferibile alla tipologia del contratto di lavoro ma si estende al sociale, al quotidiano, al fatto di non riuscire ad arrivare non più alla terza settimana come si diceva qualche anno fa ma alla prima quindicina del mese.
E' notizia di questi giorni riportata da Il Sole 24 ore che sono stati ben 38 i miliardi di Euro di cui l'80% è riferito alle famiglie di bollette e rate di mutui che gli italiani non sono riusciti a pagare soltanto nel 2011.
Equitalia è uno dei principali strumenti utilizzati per spremere i cittadini italiani con tasse inique. Lo diciamo con chiarezza: non accettiamo le strumentalizzazioni verso chi manifesta contro Equitalia e non certo contro chi ci lavora. Il nostro saluto e la nostra solidarietà va a quei sette compagni che qualche giorno fa a Napoli sono stati denunciati perché avevano espresso la propria rabbia nei confronti di Equitalia dopo l'ennesimo suicidio.
Ed ora si arriva all'articolo 18, a quella tutela che abbiamo conquistato con decenni di lotta, che abbiamo difeso dagli assalti della Confindustria e di svariati governi negli ultimi anni e che ora rischia di essere cancellato con il consenso della maggioranza dei partiti presenti in parlamento e con l'ok di Cgil, Cisl, Uil e Ugl.
Un articolo 18 che, lo ribadiamo, ha rappresentato e continua a rappresentare un ostacolo non soltanto all'arbitrio delle aziende, ma anche al ricatto dei padroni nei confronti di chi non si adegua all'ordine aziendale, a chi fa attività sindacale sul proprio posto di lavoro, a chi difende i propri diritti e quelli di tutto il mondo del lavoro. Come sarà possibile alzare la testa, dire no e organizzarsi sindacalmente in modo adeguato in presenza di una situazione ricattatoria e intimidatoria?
Un attacco quindi che colpisce il potere contrattuale e aumenta la precarizzazione sui posti di lavoro e liberalizza le discriminazioni di carattere politico, sindacale, ma anche di genere e sessuali.
La risposta sindacale di questi ultimi anni è stata assolutamente assente da parte di Cisl, Uil e Ugl che hanno abbracciato la filosofia e la strategia della “complicità”, come la definì l'ex ministro Sacconi. L'abbandono cioè di qualsiasi ruolo di reale cambiamento, di conflitto sociale, di pratica sindacale che tenda a modificare i rapporti di forza tra azienda e lavoratori, per sostenere invece la necessità di essere interni alle logiche del capitale, della Confindustria, del mondo economico delle
banche e della finanza, al solo scopo di perpetuare la loro esistenza, di affermare di essere soggetto che si siede nelle stanze del potere mentre invece si è soltanto “portatori di consenso”, soldatini di piombo nelle mani di chi il potere in mano lo ha veramente.
La Cgil in questo ultimo anno ha imboccato la strada del progressivo riavvicinamento alla Cisl di Bonanni e alla Uil di Angeletti. Certo le contraddizioni della Camusso e del suo gruppo dirigente al vertice della Cgil sono tante e non facilmente risolvibili, ma se le cose e gli eventi devono essere letti ed interpretati sotto la lente degli obitettivi raggiunti, delle condizioni oggettive del mondo del lavoro e delle reazioni agli attacchi subiti, non si può non convenire che il vertice Cgil non ha fatto nulla di diverso da Cisl e Uil.
L'aver sottoscritto il 6 settembre dello scorso anno quanto già deciso con l'accordo del 28 giugno, il balbettio rispetto alle pensioni, l'accettazione della controriforma del lavoro e le bugie dette sull'art. 18, non possono non confermare l'evidente subalternità politica della Cgil nei confronti del Governo Monti e del PD e la vicinanza ormai strutturale con le politiche e le pratiche sindacali di Cisl e Uil.
Il sindacalismo di base e le esperienze di categorie e settori della Cgil che hanno sicuramente avuto il merito di mantenere vivo il conflitto e esperienze democratiche ed aperte di rappresentanza dei lavoratori, non sono stati però sino ad ora sufficienti ad imprimere una forte e decisiva spinta nella direzione del cambiamento e della tutela dei diritti e delle condizioni di lavoro. Ciò soprattutto da una parte per la frammentazione del sindacalismo di base, anche se le spinte all'unificazione di esperienze diverse si sono concretizzate negli ultimi anni soprattutto con la nascita di USB e dall'altra parte per la condizione della Fiom in termini di categoria e non di sindacato generale.
I lavoratori, schiacciati dal peso della ristrutturazione complessiva attuata dalla Confindustria, dal Governo Monti e dai partiti che lo sostengono, dalla ferocia e l'ingordigia del mondo economico e finanziario che continua a fare profitti sulla pelle di chi lavora e di chi il lavoro non lo ha o lo ha perso e indifesi a causa dell'assenza di un forte sindacato in grado di riattivare il conflitto e le lotte, si trova oggi in una condizione di estrema difficoltà dalla quale è possibile e doveroso uscire attraverso l'individuazione di un progetto sindacale complessivo e generale e di una risposta che dimostri la vitalità e le concrete possibilità di praticare il conflitto.
Conflitto che non va solo evocato ed indicato come obiettivo a medio lungo termine, ma praticato ora e subito, per tentare di modificare oggi quel che sta accadendo, per dimostrare di esserci e di essere vivi, per dare forza e gambe a ciò che saremo chiamati a costruire nei prossimi mesi in termini di mobilitazioni e di strumenti necessari a difendere e rappresentare adeguatamente il mondo del lavoro.
E come abbiamo detto e scritto sull'appello, è indispensabile anche costruire una piattaforma unificante che, partendo dal mondo del lavoro e proprio attorno al mondo del lavoro, sia in grado di ricomporre anche le lotte sui beni comuni, le lotte degli studenti e quelle dei migranti, quelle dei disoccupati, dei precari e dei pensionati.
Da mesi e mesi e soprattutto dalla grande vittoria sul referendum per l'acqua pubblica, in tanti, in troppi a nostro avviso, si riempiono la bocca con la frase “difesa dei beni comuni”. Forze politiche e sociali, sindacali e istituzionali e persino le aziende e le banche utilizzano, a sproposito, il temine “bene comune”. Ma i beni comuni non sono un marchio registrato, non sono una trovata pubblicitaria: sono semplicemente ciò che serve alle donne e agli uomini di questo paese per continuare a vivere in termini sociali, per non abdicare completamente al “privato e bello”, alla privatizzazione dei servizi pubblici e alle feroci leggi del mercato, per pensare ancora in termini di welfare e stato sociale, di supremazia dell'uomo sull'economia, dell'ambiente sul profitto.
Questo vuol dire “bene comune”. E che cosa c'è di più importante del lavoro quale “bene comune” in un paese che nella sua carta costituzionale afferma di essere una “repubblica fondata sul lavoro”?
E allora diciamo che la lotta per i “beni comuni” comprende e al tempo stesso è compresa nel conflitto sociale che dobbiamo continuare a praticare, che dobbiamo sviluppare sui posti di lavoro come nella lotta per i servizi sociali, per la casa, per la sanità, per la tutela dell'ambiente e per tutto ciò che serve per vivere in modo adeguato.
E infine c'è il problema della democrazia sul lavoro. Sicuramente l'analisi del livello di democrazia che viviamo sui posti di lavoro non può e non deve essere scissa dal più generale decadimento dei livelli democratici che si vivono nel paese. Quando le contraddizioni sociali aumentano, quando esiste il pericolo di un conflitto sociale esteso e difficilmente controllabile, è in quel momento che il potere riduce gli spazi democratici e aumenta la repressione.
Questo è ciò che sta accadendo anche nelle fabbriche e negli uffici di questo paese: la paura che esploda il dissenso e che si trasformi in organizzazione del conflitto è talmente alto che governi, aziende, partiti e sindacati complici stanno facendo a gara per ridurre gli spazi democratici di rappresentanza sindacale, già limitati da almeno due decenni per il sindacalismo di base ed ora imposti anche a quei soggetti che, come la Fiom, stanno contrastando l'esclusione avviato anche nei suoi confronti dalla Fiat e da altre aziende metalmeccaniche.
I lavoratori non possono neanche più discutere liberamente delle proprie condizioni, decidere democraticamente del proprio futuro. Ogni decisione è demandata a confronti di vertice e, in definitiva, all'accettazione ed alla condivisione dell'impostazione delle aziende, dei governi e dei potentati economici.
Per tutto ciò e per dare un senso concreto a ciò che diciamo e che enunciamo, anche se con sfumature ed impostazioni diverse anche all'interno di chi “non ci sta” …. e magari in parte anche all'interno di questa Assemblea, è assolutamente necessario un confronto aperto e chiaro, è indispensabile che da questa assemblea emerga la voce del mondo del lavoro che vuole discutere liberamente su come mobilitarsi e come costruire una risposta adeguata all’offensiva padronale che stiamo subendo.
Come per la grande manifestazione del 31 marzo scorso che ha unito forze diverse a livello sindacale, sociale e politico, così sul lavoro e sulla rappresentanza dobbiamo costruire iniziative che siano includenti e che coinvolgano sempre più soggetti, settori, categorie e realtà di lavoro.
Ed è bene essere chiari.......... è fondamentale costruire una nuova alleanza tra i lavoratori che sia in grado di pensare e realizzare una risposta complessiva e duratura, perché la crisi e le sue conseguenze saranno di lunga durata, perché saranno necessarie una informazione sempre più accurata, mobilitazioni e scioperi, sino allo sciopero generale su obiettivi concreti:
vogliamo difendere ed estendere l’articolo 18;
vogliamo un reddito generalizzato che tuteli dalla disoccupazione e dalla precarizzazione;
vogliamo mettere in campo una risposta alla devastazione sociale sui diritti, anche più elementari, sulla casa, sulla sanità, sui servizi, sui beni comuni, sull'occupazione, sulle politiche dei migranti e sulle pensioni;
vogliamo dire no, tutti insieme, all’Imu sulla prima casa e a tutto il sistema di tassazione che oggi colpisce prima di tutto i poveri, il lavoro dipendente, i pensionati;
vogliamo dire no alla distruzione dei beni comuni e alla privatizzazione dei servizi pubblici;
vogliamo una radicale revisione delle politiche fiscali che colpisca quel 10% della popolazione che detiene la maggioranza della ricchezza del paese;
vogliamo mettere in discussione i vincoli e gli accordi dettati dalla Bce, che ci legano alla finanza e alla speculazione italiana, europea e internazionale;
vogliamo dire no con forza al Governo Monti ed alle politiche dei ministri Passera e Fornero;
vogliamo democrazia e diritti e per questo dobbiamo rimetterci in movimento;
non vogliamo continuare a pagare una crisi che noi lavoratrici e lavoratori non abbiamo determinato;
non vogliamo pagare il debito che serve a per finanziare banche, padroni finanza e speculatori;
vogliamo protestare e rialzare la testa, vogliamo metterli in crisi, vogliamo scioperare e mobilitarci ed è quello che proponiamo a questa assemblea, alle RSU, ai delegati e alle strutture sindacali conflittuali

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