martedì 1 maggio 2012

Primo Maggio, la battaglia in difesa della democrazia passa dal lavoro di Dino Greco

Se non vi sono ragioni per festeggiare, in questo 1° maggio di lacrime e sangue, ve ne sono e molte, per provare a riorganizzarsi e a lottare. Innanzitutto fronteggiando - con una chiarezza di obiettivi, una concretezza ed una continuità di iniziativa che da tempo si sono persi - l’attacco furibondo al lavoro, al diritto di vivere dignitosamente del proprio lavoro, alle condizioni in cui esso si esercita, alla stessa facoltà dei lavoratori di coalizzarsi, di scioperare, senza subire sopraffazioni o ignobili ricatti quando essi provino a difendersi dalla schiacciante asimmetria di forze che li ha quasi ovunque ridotti a merce, reperibile sul mercato a costi sempre più bassi.
L’avvio del processo di annichilimento di tutte le fondamentali conquiste del lavoro e dello stesso impianto costituzionale che doveva garantirne la progressiva attuazione data da oltre trent’anni. Precisamente, dalla sconfitta operaia degli anni Ottanta che ha aperto la strada al decennio craxiano. La caduta di Craxi, maturata nella crisi economica dei primi anni Novanta e in pieno disarmo politico e culturale della sinistra, si è sublimata nell’avvento al potere del “caudillo” di Arcore. 
Poi, nell’arco di due decenni, Berlusconi ha trasformato il Paese in un sultanato, ha cooptato la destra fascista fin nelle sue propaggini estreme, dentro un sistema di potere corrotto e profondamente inquinato da collusioni mafiose, ha plasmato un senso comune nutrito dall’individualismo proprietario e alimentato da uno strabordante potere mediatico e ha costruito un meccanismo elettorale fraudolento che ha ridotto ad un simulacro la stessa dialettica parlamentare.
La devastante crisi dei giorni nostri, questa volta di proporzioni planetarie, ha indotto infine la grande borghesia e il capitale finanziario transnazionale a liberarsi dell’“uomo che volle farsi re” per assumere direttamente, senza intermediari, senza infingimenti, senza paludamenti “paleo-democratici”, il governo del Paese. 
Millantando una fuorviante neutralità tecnocratica, Monti e il suo governo, forgiato nell’ideologia della Trilateral Commition e impregnato delle teorie della Scuola di Chicago, vantando un surreale sostegno bipartisan di quasi tutto l’arco parlamentare, sta applicando senza tentennamenti le ricette del Fondo monetario internazionale e della Banca centrale europea: privatizzazione di tutto ciò che nel mercato può avere un valore di scambio, riduzione ai minimi termini dello stato sociale, diminuzione dei salari, marginalizzazione sino all’ininfluenza dei sindacati, affermazione della supremazia del capitale sul lavoro ed elevazione della competitività dell’impresa a variabile indipendente a cui ogni altro fattore deve piegarsi. E’ il passaggio, senza se e senza ma, dalla repubblica democratica fondata sul lavoro alla repubblica autoritaria fondata sulla finanza e sull’impresa capitalistica.
Dalla crisi più radicale e violenta del capitalismo si rischia dunque di uscire con una drastica amputazione della democrazia, con l’evocazione dell’uomo forte, ritenuto capace di spazzare via la corrotta farragine burocratica che ammorba il Paese. In altri termini, la crisi della democrazia malata viene usata per demolire la democrazia medesima, piuttosto che per restaurare la sovranità popolare violata.
Lo stesso grillismo, l’invettiva apparentemente dissacratoria del guitto qualunquista che fa di tutte le erbe un fascio, che ruggisce contro i partiti, contro tutti i partiti (“Sono peggio della mafia”), rappresentati indistintamente e in quanto tali come una tenia che prosciuga le sostanze vitali dei cittadini e della società operosa, non prepara alcuna palingenesi purificatrice. Porta semmai acqua al mulino di Monti, all’autocrate liberista che a sua volta non sopporta i partiti, la dialettica parlamentare e ancor meno quella sociale, mentre governa il Paese nel nome e per conto di un’oligarchia finanziaria che agisce al di fuori di ogni controllo e legittimazione democratica.
Il suo governo che regge (pro tempore?) le redini del Paese si è intestato la più devastante delle manovre antisociali: distruzione del sistema previdenziale, liquidazione dell’articolo 18 dello Statuto dei diritti dei lavoratori, inserimento del vincolo di pareggio di bilancio in Costituzione e approvazione (anch’essa con il beneplacito del Pd) del fiscal compact: misure che nella loro intrinseca architettura bastano a demolire forma e sostanza della Carta.
Oggi più che mai, di fronte alla confusione, all’inerzia e alla complicità di una sinistra “moderata” che sembra avere del tutto perso il senso di una propria missione, almeno civilizzatrice; di fronte al balbettio sconfortante di un sindacato che – con la sola eccezione della Fiom e del sindacato di base – rincula senza respiro strategico, è indispensabile che torni in campo la sinistra, quella che ha resistito alle abiure ideologiche e ha saputo saldarsi a ciò che di più vitale hanno prodotto i movimenti e le pratiche sociali antiliberiste. Per indicare una strada del tutto nuova, utile tanto a formulare una risposta diversa alla crisi, quanto a prefigurare un progetto di società umana e solidale, dove uguaglianza e libertà tornino ad essere, concretamente, fari della lotta politica e obiettivi della trasformazione.
Il prossimo 12 maggio la Federazione della sinistra chiama alla mobilitazione unitaria tutti e tutte coloro che credono e vogliono che i giochi – in Italia e in Europa – non siano ancora fatti e pensano sia tempo di lavorare uniti per rendere credibile un’alternativa.

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