mercoledì 11 luglio 2012

Caro Vendola, chi sarebbero i minoritari? di Francesco Piobbichi



Leggo con piacere che Vendola -e con lui SEL- prende una posizione netta rispetto all'apertura del PD verso il “Governo di grande coalizione” UDC PD FLI. Dal mio punto di vista è ancora una discussione non chiara quella che attraversa SEL rispetto al futuro del centro sinistra, ma che ha sicuramente degli elementi condivisibili, perlomeno sposta la discussione sui contenuti da quella su leader e primarie. Ci sono però delle cose che, sul piano comunicativo, vanno chiarite sin dall'inizio, perché dalle dichiarazioni rilasciate ieri sul Manifesto pare che ci sia in atto una retorica comunicativa volta a cucire addosso al PRC un vestito che non è il suo. A me pare che la distanza che SEL prende nei confronti di Fini e Casini è molto simile a quella presa verso la sinistra radicale, ovvero verso quella sinistra “protestataria, estremista e minoritaria” (questa l'etichetta che ci è stata data nell'articolo della Preziosi) colpevole di non so quali misfatti se non di dire la verità rispetto alla ferocia della ristrutturazione capitalista in atto e di lottare quotidianamente per tentare di contrastarla in tutta Europa. Accomunare in senso negativo i termini “protesta”, “estremismo” e “minoritarismo”, è già di per se un errore politico, soprattutto in un paese dove espressioni come “di lotta e di governo” hanno determinato ( in un'altra fase storica) situazioni di avanzamento per le classi popolari. Se questi termini sono utilizzati per definire e recintare spazi politici prima ancora di un reale confronto sui contenuti ciò vuol dire che c'è paura di discutere. Chi è minoritario a Napoli? Chi è minoritario a Palermo? Il termine “minoritarismo” non potrebbe essere utilizzato più per i “satelliti” del PD sconfitto dalla “maggioranza” di sinistra in questi casi? Allora mi domando, perché mettere paletti di questo tipo con parole che possono riferirsi a molti? Chi stabilisce se una lotta è estremista o meno? Chi stabilisce chi è maggioritario o minoritario? I NO TAV sono minoritari o maggioritari? Le loro lotte sono estremiste o hanno una base popolare? Le posizioni della Fiom sono minoritarie o maggioritarie? Per quanto mi riguarda il terreno programmatico per la costruzione dell'alternativa è primariamente quello in cui certi termini non dovrebbero essere usati come paletti, altrimenti uno potrebbe pensare che alcuni movimenti, quelli “compatibili” ad una possibile “alleanza competitiva” con il PD vanno accreditati e gli altri quelli “incompatibili” sono già fuori prima di cominciare, etichettati come estremisti, protestatari e minoritari. A me piacerebbe unire la sinistra tutta e vorrei provare a vincere le elezioni, come ha fatto Syriza, con un programma alternativo, praticabile e comprensibile. In Grecia ad esempio è Syriza ad essere maggioritaria mentre è il Pasok che è divenuto minoritario. L'Italia non è la Grecia, e la formula con la quale definire un campo di sinistra non si trova facilmente. A differenza di Vendola, non penso che bastino solo tre o quattro punti programmatici per definire oggi il campo dell'alternativa, se l'alternativa deve essere tale, vuol dire che il terreno della socializzazione degli investimenti, del credito pubblico, dell'energia, dei beni comuni deve attraversare l'intero impianto di un programma di Governo, costruito in continuità insieme alle altre forze che in Europa dichiarano di non voler applicare il Fiscal Compact. Non siamo noi ad essere minoritari, ma quell'1% di banchieri e loro scendi piedi che ci governa. Le parole sono pietre, è importante usarle con attenzione.


Qui di seguito l'articolo del Manifesto a cura di Daniela Preziosi

«Un asse privilegiato con Casini e Fini sarebbe un asse neomoderato incapace di liberare l’Italia dal neoliberismo». Sinistra ecologia e libertà in quell’alleanza non ci sarà. Ieri Nichi Vendola lo ha ribadito alla direzione nazionale del suo partito. «Il tema dell’alleanza è mettere il punto all’esperienza del governo dei tecnici. È finita l’epoca dell’alternanza. Deve iniziare l’epoca dell’alternativa». I temi «non negoziabili» di un programma comune in realtà non suonano così lontani dalle priorità del Pd: lavoro, (ma Vendola si è impegnato in una battaglia con i movimenti, le associazioni e alcuni sindacati per il reddito minimo garantito), un piano straordinario di manutenzione e cura del territorio, formazione e ricerca e diritti civili. Su quest’ultimo punto per Vendola «c’è un clima sanfedista in giro». E così esclude di fatto l’alleanza con Casini. Tanto più quella con i futuristi di Gianfranco Fini, da sempre fuori discussione, «hanno nel loro programma il legittimo progetto di un nuovo centrodestra».
Dopo una settimana di corteggiamento da parte dell’Unità verso Vendola (la lettera a lui indirizzata del professor Mario Tronti del Crs, poi quella di Nicola Latorre, dirigente democratico molto vicino alla sinistra pugliese), il leader di Sel riassume la sua posizione: se il Pd dovesse allearsi con i moderati e addirittura con i finiani, Sel cercherà di «costruire un vero centrosinistra di governo con chi ci sta», formula cara anche a Bersani.
Ma a chi da sinistra invoca ogni giorno la costruzione di una Syriza italiana tutta orientata nella sinistra radicale – leggasi gli ex compagni di Prc e Pdci – Sel risponde così: un eventuale fallimento dell’alleanza con il Pd «non deve essere la giustificazione per un rinculo verso posizioni minoritarie ed estremiste. Noi proveremo comunque a ribadire, con chi ci sta, la stessa posizione, con le forze del centrosinistra e molto oltre le forze del centrosinistra». Sembra una chiusura, ma chi ha discusso con il presidente di Sel assicura che non lo è. Certo, l’appello a movimenti e società civile è chiaro; Di Pietro sarebbe uno dei cardini di questa eventuale alleanza. La ‘sinistra sinistra’ però è avvisata. «Se il Pd deciderà di suicidarsi noi non lo seguiremo, ma perseguiremo l’obiettivo di un’alleanza competitiva, non quella di una mini-coalizione protestataria», spiega Nicola Fratoianni, giovane braccio destro di Vendola. «E non rinunceremo ad essere innovativi, com’è nell’atto fondativo del nostro movimento».
Ora c’è da capire l’esito dell’accelerazione del dibattito sulla legge elettorale impresso ieri dal presidente Napolitano, un esito che potrebbe rendere superfluo qualsiasi discorso sulle alleanze.
Sel, nel frattempo, aspetta un segnale anche dall’assemblea nazionale del Pd, sabato a Roma. Dove Bersani spingerà soprattutto sulla linea politica. In quell’occasione non verrà proporrà la famosa «registrata» delle primarie, ovvero il cambio di regole per aprirle all’eventuale candidatura di Renzi (secondo molti toccherebbe al sindaco di Firenze e ai suoi – pochi – presenti in quell’organismo di fare una proposta di modifica dello statuto). Non verrà lanciata nessuna data delle primarie («le faremo», continua a dire Bersani, ma non in autunno com’era circolato né in ogni caso prima di fine anno).
Nella relazione introduttiva invece il segretario esporrà, per punti, le linee essenziali della carta di intenti che verrà poi sottoposta agli eventuali alleati. Sempreché una nuova legge elettorale non consigli di tornare «a correre soli». E lì, in quel discorso, Bersani indicherà il ‘tasso di montismo’ che dovrà contenere la futura coalizione. E Vendola e i suoi da lì potranno misurare se questo è compatibile con la loro linea politica e il loro elettorato. Non solo. All’assemblea di sabato sarà discusso e forse votato il controverso documento sui diritti civili licenziato dalla commissione. Potrebbe essere «l’ora della verità», almeno su questi temi, per il Pd. E per i suoi aspiranti alleati di sinistra e di centro.

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