giovedì 19 luglio 2012

Fiat, ripensare il mercato dopo il fallimento di Fabbrica Italia di Giorgio Airaudo, Il Fatto Quotidiano

L’annuncio che anche alla newco di Pomigliano arriverà la cassa integrazione per tutti i 2150 lavoratori completa, se ancora c’è ne fosse bisogno, rappresenta il fallimento del piano Fabbrica Italia della Fiat
Non c’è il mercato, non ci sono i prodotti per quelle turnazioni, per quella disponibilità comandata allo straordinario. Il taglio della pausa di 10 minuti ha peggiorato le condizioni di lavoro ma non ha ridotto la cassa integrazione e aumentato la produttività. Quegli accordi separati sono stati scritti su ipotesi sbagliate. I nuovi prodotti sono rinviati insieme agli investimenti. E dire che la crisi è peggiore e che il mercato dell’auto cala per tutti in Europa non attenua le responsabilità dei manager che sono lautamente e anche troppo retribuiti per prevedere e superare le difficoltà non per spiegarcele a posteriori o per scaricarle sui lavoratori.
In particolare alla newco di Pomigliano va in CIG l’unico nuovo prodotto Fiat realizzato in Italia, si allontana la possibilità che tutti i lavoratori in CIG e tutti i dipendenti ancora al lavoro nella vecchia società Fiat del Giovan Battista Vico vengano riassunti in FIP (Fabbrica Italia Pomigliano). Insieme a Pomigliano dopo le ferie la cassa integrazione proseguirà anche agli enti centrali di Mirafiori, vecchio quartier generale della Fiat per il mondo e continuerà in tutti gli altri stabilimenti che inseguono con la CIG prodotti promessi e quote di produzione sempre più lontane mentre il reddito delle lavoratrici e dei lavoratori si logora.
Serve un nuovo piano per salvare in Italia la produzione dell’autoveicolo, serve discutere quali autoveicoli produrre per quale mobilità in Europa ed è indispensabile verificare la possibilità dell’ingresso in Italia di altri produttori automobilistici anche per salvaguardare una componentistica che rischia di essere o smantellata, con gravi conseguenze occupazionali e sociali, o acquistata nelle sue eccellenze e trasferita verso altri paesi europei, a partire dalla Germania. Un piano che veda il governo del Paese assumersi le proprie responsabilità di indirizzo senza abbandonare i lavoratori e il lavoro al loro ‘destino’ del mercato. Senza prodotti e produttori non si esce dalla crisi, non si paga il debito, non si resta in Europa.

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