sabato 21 luglio 2012

L’alternativa c’è, «cambiare tutto»

Intervista ad Alberto Garzón, economista marxista e deputato di Izquierda Unida
Il giovane deputato di Izquierda Unida, l’economista marxista Alberto Garzón, non perde la pacatezza che gli è abituale neppure quando parla di rivoluzione. Non nasconde la sua soddisfazione per il successo delle manifestazioni di giovedì sera. «Credo proprio che sia un anticipo dello sciopero generale che verrà convocato nelle prossime settimane», dice il deputato di Málaga. «Queste manifestazioni servono per rendere consapevole la gente. C’erano moltissimi settori, dai più tradizionali a quelli che non scendono normalmente in piazza. Il fatto è che con queste misure brutali stanno radicalizzando la situazione».
Il governo ha un piano o sta navigando a vista?
Non credo che abbiano un piano che non sia quello di obbedire ai diktat della troika. Loro sì che il piano ce l’hanno: rendere il sistema economico del sud Europa competitivo attraverso la svalutazione interna dei salari. È un governo vassallo di istituzioni poco o per nulla democratiche come la Commissione europea, la Bce o il Fmi.
Ma gli conviene obbedire? Lei stesso ha detto pochi giorni fa che questo governo non durerà.
Il fatto è che l’unica alternativa è disobbedire. Ma questo implica un cambio nei rapporti di forza, vuol dire rovesciare la società e mettere al centro i poveri contro i ricchi e le grandi imprese, e il Pp questo non può prenderlo in considerazione. Obbedire implica misure con un elevato costo sociale che portano a manifestazioni: quelle di giovedì sono solo l’inizio. Per questo il governo ha bisogno di maggiore legittimità politica nonostante la sua maggioranza assoluta. Prevedo che succederà esattamente come in Grecia. Il partito socialista ha già offerto ripetutamente un patto di stato che il Pp finirà per accettare. Non può continuare da solo con questa politica aggressiva che distrugge profondamente la struttura sociale spagnola e l’economia.
Sembra che neppure i mercati diano tregua al governo. Lo spread ha toccato i 600 punti, la Spagna è sull’orlo del fallimento.
Ma i mercati sono insaziabili. Non è che siano «cattivi» o ideologici, il loro interesse è solo il rendimento, per di più a corto termine. Oggi il denaro non sta nell’economia produttiva spagnola, si investe nella speculazione finanziaria o in quella sulle materie prime. Non è che non ci siano soldi, come dice il ministro delle finanze Montoro. È che il denaro esce da qui e si rifugia in Germania sotto forma di debito pubblico.
Ha senso cercare di «conquistare la fiducia dei mercati» come dichiara il governo Rajoy?
Quando i mercati cercano la «fiducia» vogliono solo che gli si restituiscano i soldi, non vogliono necessariamente i tagli. Se l’Unione europea in qualche modo recuperasse il denaro che oggi si trova nel mercato finanziario attraverso una riforma fiscale, si potrebbe usare per investimenti pubblici e si creerebbero le risorse che i mercati esigono. D’altra parte, una vera riforma andrebbe contro gli interessi dello stesso mercato perché toccherebbe privilegi economici finora protetti. Per cui siamo in una contraddizione continua: finché non ci sarà crescita o aumento di entrate, il debito seguirà questa dinamica.
Ma se le cose stanno così, perché non si rompe questa logica?
È una questione di potere. Le decisioni le prendono le istituzioni finanziarie europee, in cui il capitale finanziario tedesco gioca un ruolo chiave visto che la banca tedesca è creditrice netta di praticamente tutte le banche. A loro non interessa il futuro dell’Europa. A loro interessa che venga restituito il debito. È un capitale suicida, molto miope. Se la Grecia o Bankia falliscono chi ci perde sono le banche tedesche e francesi. È nel loro interesse che il castello di carte rimanga in piedi, a costo di distruggere la società e l’economia.
Se lei fosse il capo del governo, tecnicamente la Spagna potrebbe agire altrimenti?
La questione non è se è o non è fattibile. Tutto ha un costo, il punto è chi paga. Se la Spagna smettesse di pagare, o chiedesse una moratoria, il risultato immediato sarebbe che nessuno ci presterebbe il denaro per far funzionare la nostra economia, che è già debole e basata sull’importazione. Oggi come oggi, se diventassi presidente, non avrei né la leva della politica monetaria, che è in mano alla Bce, né quella della politica fiscale, oggi in mano alla Troika, per cui sarebbe inutile perché non potrei fare nulla. Per questo l’obiettivo è una transizione a un sistema economico diverso. Per recuperare risorse, io agirei sui patrimoni e sui ricchi, ma con un’Europa senza frontiere, i capitali scapperebbero. Con questo ordine istituzionale non ci sono margini. Bisogna rompere questo quadro istituzionale.
E intanto?
Intanto la Spagna è una bomba a orologeria per l’Europa e per il capitale finanziario. Il governo dovrebbe utilizzare quest’arma a livello europeo per fare pressione perché cambi questo quadro e per poter recuperare strumenti per gestire l’economia.
 
Luca Tancredi Barone - il manifesto

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