giovedì 12 luglio 2012

Lo "strano" contenzioso fra Monti e Camusso di Dino Greco



C'è qualcosa di intimamente grottesco e tuttavia rivelatore dello stato di cose presente nella nuova querelle che ha opposto Mario Monti a Susanna Camusso. Con il primo a spiegare, con inconsueta ruvidezza, che nella defunta “concertazione” fra le parti sociali c'è l'origine dei peccati capitali. E con la seconda ad esaltare le virtù salvifiche di un metodo che avrebbe permesso – ad esempio nella crisi del '92-'93 – di sottrarre l'Italia al rischio di un devastante tracollo finanziario.
Il lato grottesco sta nel fatto che la concertazione – proprio nel frangente evocato dalla segretaria della Cgil – segnò un punto pesantemente negativo di svolta nei rapporti sociali del Paese. Nel '92 il sindacato uscì con le ossa rotte da un negoziato col governo che assunse le caratteristiche di un diktat. Giuliano Amato, allora presidente del consiglio, calò una scure di inaudita pesantezza sui lavoratori. I risultati furono, nell'ordine: l'abolizione della scala mobile, l'azzeramento dell'intero sistema di relazioni industriali e del modello contrattuale sino allora vigente, l'allungamento dell'età pensionabile e la riduzione delle rendite da pensione attraverso l'introduzione del metodo contributivo. Poi, per sovrapprezzo, Amato decise la svalutazione della lira, contribuendo ad una ripresa inflazionistica che assestò il colpo di grazia ai salari, da quel momento in caduta libera. La crisi fu dunque scavallata attraverso una manovra interamente a carico del lavoro e del sistema di protezione sociale.
Ma allora, qual è il senso della polemica messa in scena in queste ore sull'intramontabile mercato della chiacchiera? Per Monti la spiegazione è molto semplice: l'uomo della Trilateral, l'insuperabile campione del “finanzcapitalismo”, considera i corpi sociali intermedi (e primariamente il sindacato) un impaccio, un fastidioso intralcio alla competitività d'impresa, alla società di mercato e all'onnipotente potere tecnocratico che traccia la rotta. Una rotta seguita inflessibilmente, senza mediazioni, neppure marginali e – se mi è consentito – senza fare prigionieri, come si è visto per l'articolo 18. Nella replica di Camusso c'è invece tutta l'impotenza, tutta la confusione propria di una cultura politica e sociale che ha completamente smarrito la bussola. Quella di un sindacato che paga la sudditanza ad un Pd totalmente ripiegato sul governo più irriducibilmente liberista che l'Italia abbia mai avuto e che non riesce ad imbastire la benché minima risposta di opposizione e di lotta al processo in pieno dispiegamento di una rapida, radicale demolizione delle conquiste del lavoro. In campo, sotto i riflettori, non rimane allora che il bisticcio verbale, succedaneo del conflitto che non c'è, innocuo e tristemente patetico. Intanto, piovono pietre.

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