domenica 16 settembre 2012

Dopo gli indignados, un vasto fronte radicale di Jacopo Rosatelli, Il Manifesto


Quattro anni. Sono quelli che separano il 15 settembre del fallimento della banca d’affari Lehman Brothers dal 15 settembre della più grande mobilitazione anti-austerità d’Europa. Anni in cui siamo passati dalla speranza che il neoliberismo, responsabile della crisi, stesse passando alla storia, alla dura replica della realtà, che ha mostrato con abbondanza di esempi che l’egemonia conservatrice è stata appena scalfita. A comminare le ricette per uscire dai guai, infatti, sono gli stessi che quei guai hanno creato. Eppure, chi crede in un mondo più giusto non può certo gettare la spugna: malgrado l’oggettiva sproporzione delle forze in campo, bisogna continuare a lottare.
Questo è il messaggio che viene dalle strade di Madrid, piene di gente accorsa da tutta la Spagna per gridare con rabbia e determinazione il proprio no alle politiche dettate da Bruxelles e Francoforte, e applicate dall’obbediente scolaretto Rajoy.
Una mobilitazione straordinaria, che difficilmente sarebbe stata possibile senza la semina feconda degli indignados, che occupando una piazza nel maggio dell’anno scorso svegliarono dal torpore una società impaurita e disorientata. Ieri si sono raccolti i frutti di quella semina, in una giornata dove mai come prima esperienze diverse si sono fuse in un’unica marea, superando divisioni e diffidenze reciproche fra sindacati «istituzionali» e collettivi auto-organizzati. Il fronte di chi resiste è ormai vastissimo e plurale, maturo al punto da non sprecare nemmeno più un minuto per le polemiche fra gruppi, proprio nello spirito delle assemblee della Puerta del Sol.
Ma non c’è solo la pratica del dialogo e della ricerca del consenso fra diversi ad aver portato al risultato di ieri. Ci sono anche i contenuti, quelle verità che la vulgata mainstream mette a tacere ovunque, ma che le persone sanno comunque ascoltare. Sono le analisi radicali sulle origini della crisi e le proposte sul modo per uscirne, contro l’economia della speculazione finanziaria ed edilizia, e quindi fuori dal paradigma che ha voluto i ceti medi e popolari indebitarsi oltre ogni ragionevolezza per soddisfare bisogni e consumi fuori dalla portata di salari sempre più bassi e discontinui. Sono idee di sviluppo e benessere, insomma, diverse da quella in voga prima del crollo, quando gli stessi che ora danno «i compiti a casa» celebravano entusiasti il miracolo economico iberico.

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