sabato 29 settembre 2012

La riforma delle pensioni? Non serve né a vecchi né a giovani. Intervista a Roberta Fantozzi, responsabile lavoro e welfare del Prc di Cecchino Antonini



Un referendum che cancelli la controriforma Fornero sulle pensioni: Rifondazione l’ha proposto a “quelli del Palazzaccio”, a quei soggetti che hanno lanciato i referendum contro le norme che stravolgono lo Statuto dei lavoratori e la contrattazione collettiva. Il quesito sarà pronto nelle prossime ore e verrà presentato ufficialmente la prossima settimana. Ma Roberta Fantozzi anticipa a Ombrerosse che «l’operazione cercherà di cancellare i principali elementi di iniquità e le penalizzazioni introdotti da quella controriforma».
Fantozzi è responsabile Lavoro e welfare per la segreteria nazionale del Prc. Racconta che, dall’approvazione della riforma, continuano ad arrivarle lettere e mail di lavoratori - «ciascuna con una propria forma di disperazione sociale fortissima» - che compongono il quadro di «un impatto sociale devastante» delle misure prese dal governo tecnico: «L’iniquità della “riforma” sulle pensioni è radicale. Perché costringe a lavorare fino a sei anni in più e, dentro la crisi, questo significa che le lavoratrici e i lavoratori espulsi dai posti di lavoro e lontanissimi dalla pensione, non sapranno letteralmente come vivere. Tanto più per il combinato disposto di queste norme con la “riforma” degli ammortizzatori sociali che a regime ridurrà la durata delle tutele. Perché spostando a 67/70 l’età pensionabile, inceppa il turn over e fa schizzare la disoccupazione giovanile. Il record negativo registrato con l’ultimo dato di luglio che la vede oltre il 35% è anche uno degli esiti immediati della controriforma. E poi c’è il blocco delle rivalutazioni delle pensioni di 1100 euro nette, che certo non sono pensioni d’oro...».
Eppure il taglio delle pensioni viene spacciato spesso come una misura per favorire i giovani.
In realtà, come si vede, è una riforma assolutamente contro i giovani! Ed è anche una riforma contro le donne. La possibilità che le donne avevano di andare in pensione prima degli uomini, era il riconoscimento dell’asimmetria esistente tra i sessi nella distribuzione del lavoro di cura e domestico. Per motivi culturali e materiali - cioè per il carattere sessista che continua a segnare tutta l’organizzazione della società e per le carenze storiche del nostro sistema di welfare - sulle donne continua a scaricarsi la maggior parte del lavoro di riproduzione sociale. Per lo stesso motivo le donne hanno percorsi lavorativi più discontinui, livelli più alti di precarietà, retribuzioni inferiori. Il continuo innalzamento dell’età pensionabile che c’è stato, mentre parallelamente si tagliano i servizi pubblici, è davvero inaccettabile.

Forse è per questo che la Fornero piangeva?
Piangeva, forse, perché sapeva che aveva scelto di usare come un bancomat i contributi dei lavoratori perché, citando il massimo esperto previdenziale italiano, Felice Roberto Pizzuti, nel 2009 il saldo tra le entrate contributive e le prestazioni pensionistiche, al netto delle tasse, era in attivo per 27,6 miliardi di euro. I problemi, casomai, erano altri: il fatto che gli “atipici” non sarebbero mai arrivati a una pensione superiore alla metà di quella dei loro padri “garantiti” e i bassi rendimenti: sei milioni di pensionati vivono con 600 euro al mese.

Ventisette miliardi di euro sono quanto una finanziaria! E allora tutte le storie sull’insostenibilità del sistema pensionistico per via dell’aumento della vita media?
Ecco, quella è una delle tante bufale che vengono raccontate. Perfino Monti, quando si insediò, assicurò che le pensioni non sarebbero state toccate. E ti fornisco altri dati: sia gli organismi europei, sia il nucleo di valutazione della spesa previdenziale che opera presso il Ministero del Lavoro avevano certificato che il sistema pensionistico era più che sostenibile fino al 2060 e oltre. In realtà le motivazioni della “riforma” sono da un lato quello di fare cassa con le pensioni, dall’altro quello di arrivare alla completa distruzione del sistema pubblico a favore dei fondi pensione privati, cioè dare nuova linfa ai processi di privatizzazione e speculazione finanziaria.

Però la campagna contro il welfare viene condotta con grande visibilità dai grandi organi di informazione. Avrai letto l’editoriale sul Corsera di Alesina e Giavazzi, i bocconiani.
Loro fanno parte del mainstream e continuano a suggerire di cercare risposte alla crisi nell’ipertrofia delle politiche che hanno provocato la crisi stessa. Gli attacchi al welfare sono interni a questa logica e vengono spacciati come interventi necessari perché avremmo vissuto al di sopra delle nostre possibilità mentre da almeno venticinque anni è in atto l’erosione massiccia dei salari e dei diritti. Il dato viene dall’Ocse: tra il 1976 e il 2006 la quota dei redditi da lavoro sul Pil è scesa di dieci punti percentuali a vantaggio di profitti e rendite. Questo, come media dei paesi Ocse, perché in Italia è andata peggio. Nessuna uscita dalla crisi, nessuna ripresa, sarà possibile senza iniziare a redistribuire la ricchezza. Ti serve una controprova? Vedi la recessione che s’è innescata con i tagli di Berlusconi e Monti. Il Pil, solo nel 2012, crollerà tra il 2,5% e il 3%. E’ una spirale perversa perché così aumenta l’indebitamento che si dice di voler sfidare. L’impalcatura liberista è smentita dai fatti ed è garantita solo dal controllo in poche mani dell’informazione.

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