venerdì 28 settembre 2012

Monti resta, noi che facciamo? di Claudio Conti, www.contropiano.org

È presto per dire “ormai è fatta”, ma le premesse sono state poste tutte. La sortita newyorkese del “Professore” ha tolto il velo di incertezza che circondava la prossima legislatura: il “governo tecnico” proseguirà anche dopo le elzioni, qualsiasi sia il loro risultato, perché così voglio, pretendono e impongono “i mercati”, Wall Street, la Casa Bianca, la Germania e l'Europa.

«Non penso ci sarà una seconda occasione, ma se dovesse servire io ci sarò».

La decodifica diventa quasi inutile, ma per quel poco che serve va fatta. La crisi è lunga (l'ha detto lui stesso all'Assemblea dell'Onu), non ci sono soluzioni alle viste, la barca italiana è tra le più fragili nel mare in tempesta; i partiti “locali” esprimono una classe politica inadeguata e rissosa, non hanno ancora ben compreso il mutamento di realtà che la crisi economica sta producendo. Ma bisogna rispettare le scadenze formali della democrazia, anche se è chiaro quanto questa sia per “il potere” ormai un impiccio, più che uno strumento di costruzione del consenso. Ad aprile ci saranno perciò le elezioni politiche (anzi: un election day per rinnovare anche alcuni consigli regionali già in crisi o che lo saranno presto, il Comune di Roma che diventa “area metropolitana” cancellando la Provincia, ecc), anche se ancora non si sa con quale legge andremo alle urne.

La sortita del Professore risolve anche questo problema: ci andremo con una legge elettorale proporzionale (con o senza premio di maggioranza per il primo partito), perché in tal modo è assolutamente certo che non ci sarà alcuna maggioranza politica sufficientemente coesa e stabile. Quindi si creeranno quelle “circostanze particolari” per cui sarà indispensabile “richiamare in servizio permanente effettivo” (l'espressione militare è stata pronunciata da Pierferdy Casini, ed è tutta un programma) Monti ed almeno una parte della sua squadra di governo.


Monti ha scelto con cura il luogo della sua esternazione. Ha parlato al Council on foreign relations di New York, una sorta di istituzione non formalizzata che ha tra i suoi direttori ex segretari di Stato come Madeleine Albright e Colin Powell. Insomma, uno di quei centri – al pari del Bilderberg o la Trilateral – che hanno da qualche decennio sostituito i “salotti buoni” e i “circoli del golf” nazionali, come luogo di formazione delle principali scelte politiche; perlomeno di quelle “condivise”. Tra coloro che gli rivolgevano la domanda “resti o no?”, per capirci, c'è gente come David M. Rubinstein, cofondatore del gruppo Carlyle, “che gestisce oltre 150 miliardi di dollari in almeno tre continenti” e ha vantato tra i suoi dirigenti George Bush padre, Frank Carlucci, John Major, nonché – in Italia - Chicco Testa, Letizia Moratti e Marco De Benedetti (mica il proprietario di Repubblica, solo il figlio). Soldi da sposstare a seconda della risposta.

In questo tempio del capitale multinazionale Monti ha messo sul piatto la sua “disponibilità fornendo una spiegazione assolutamente tecnico-finanziaria, inconfutabile: “dato che mi trovo in un contesto in cui quotidianamente tutti nei mercati manifestano preoccupazione e incertezze su cosa succederà dopo le elezioni, offro solo elementi di rassicurazione oggettiva”. Sono insomma io il garante dell'affidabilità dell'Italia come fedele esecutore di quanto altrove viene deciso. Detto altrimenti: resta, Rubinstein, ti faremo guadagnare...

Naturalmente questo distrugge la credibilità delle elezioni di aprile. E diventa un problema serio per i partiti che devono “motivare” l'elettorato. Che senso ha andare a votare se si sa già che andremo avanti con Monti qualsiasi partito scegliamo? L'unico senso possibile sarebbe tra un voto allo schieramento pro-Monti e uno a quelli contrari. Una sorta di bipolarismo “forzoso” che prosegue il ventennio berlusconiano alle nostre spalle senza però più il pathos dell'antiberlusconismo d'accatto.

Per il Pd è una notizia mortale, che lo ha immediatamente spaccato al suo interno. I democristiani come Fioroni i e Letta gongolano nel sapersi blindati anche in futuro; Bersani starà cominciando a pensare alla pensione, e persino Renzi intuisce di esser stato “rottamato” prima ancora di partire col camper.

Diventa un problema anche per il “partito di repubblica”, costretto ormai ad arrampicarsi sugli specchi: “Obama e Wall Street tifano Monti, è lui il vero anti-Berlusconi"; o anche “La Casa Bianca confida nel premier italiano per proseguire il dialogo con la Germania. I timori degli Stati Uniti: Silvio può tornare?". Silvio? Come ricorda giustamente Monti, “mi ha scoperto lui, nel '94. nominandomi commissario europeo”. Ma quale “ vero anti-Berlusconi”...

Ma è un problema anche per l'opposizione sociale, che deve dare immediatamente segni di vita (prima e dopo il No Monti Day” del 27 ottobre). Segni di vita sul piano politico, perché “lottare” nelle singole situazioni non basta. Si dovrebbe puntare a vincere, qualche volta...

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