lunedì 29 ottobre 2012

ELEZIONI SICILIANE: UN ANTICIPO DI ANALISI di Franco Astengo, http://sinistrainparlamento.blogspot.it

A scrutinio in via di ultimazione mi permetto di anticipare alcune valutazioni politiche di massima, attorno all’esito delle elezioni siciliane.
Tutti i commentatori hanno già fatto rilevare come il dato più evidente e importante che esce dai numeri di questa consultazione riguarda la crescita esponenziale dell’astensionismo: un fenomeno che dura ormai da molti anni, in progressiva espansione, del quale le forze politiche si occupano soltanto nei giorni immediatamente seguenti le diverse tornate elettorali, per poi tornare tutti tranquilli alle proprie esercitazioni di “tempeste in un bicchier d’acqua” (leggi primarie) convinti, in quel modo, di realizzare chissà quali mirabolanti aperture verso la partecipazione democratica.
Verrebbe da rispolverare Mao: mentre sarebbe necessario guardare alla luna (leggi: astensionismo) si preferisce guardare il dito (primarie).
Astensionismo ,beninteso, che ormai da molto tempo la scienza politica non considera più come un “rifiuto della scelta”, bensì come una vera e propria “scelta” composta di diversi fattori e che, quando assurge a numeri così rilevanti come nel caso che stiamo esaminando, colpisce trasversalmente tutti: certo alcuni più di altri, ma appare del tutto stonato celebrare, in queste condizioni, la propria vittoria come “storica”.
Infatti, punto più, punto meno il nuovo Presidente della Giunta Regionale Siciliana sarà eletto con il 13% dei voti dell’intero corpo elettorale: pensate nella primavera scorsa fu giudicata pessima la “performance” del nuovo sindaco di Genova, Doria, che – al ballottaggio- risultò eletto dal 22% dell’elettorato (più o meno la quota con la quale è eletto il Presidente degli USA: il paese delle più grandi diseguaglianze sociali nel pianeta) e adesso siamo a livelli ai quali, a mio giudizio si gioca la stessa credibilità democratica delle istituzioni.
Allora vediamo qualche numero per rendere più pregnante quest’analisi.
Le sezioni scrutinate, nel momento in cui scrivo, sono 4.483 su 5308, ne mancano quindi 825 per un totale presumibile di circa 412.000 voti validi.
E’ dalla comparazione dei voti validi che, infatti, si può comprendere meglio la dinamica del voto, tra un’elezione e l’altra.
Dunque, in questo momento per i vari candidati si sono espressi 1.676.683 voti validi, ai quali se ne aggiungeranno, ripeto, circa altri 412.000 per un totale di 2.090.000 voti validi totali.
Ebbene, nel 2008, i voti validi per i candidati presidenti (che erano cinque) furono 2.845.793: ne mancano all’appello – più o meno – 800.000: davvero un’enormità.
Così come, ed è l’altro esempio che mi permetto di fare in questo momento, rispetto ai voti utili per eleggere il nuovo presidente, registriamo questo dato, nel 2008 Lombardo fu eletto con 1.859.821 voti, in quest’occasione Crocetta dovrebbe, approssimativamente, toccare quota 650.000, essendo così eletto con circa 1.200.000 voti in meno del suo predecessore.
Certo ci sono le specificità siciliane: a qualcuno, maliziosamente, è venuto in mente di pensare che forse in determinati ambienti, nei quali si è storicamente sempre lavorato per “contribuire” all’esito elettorale, questa volta l’esito non interessasse più di tanto: un altro segnale non semplicemente di disinteresse, ma di “scadimento” nella possibilità vera per la politica di determinare assetti economico-sociali.
Poiché questo disinteresse verrebbe da ambienti sempre molto “sensibili” all’esercizio del potere, allora questo calo di tensione, se davvero ci fosse stato, sarebbe da analizzare assai attentamente.
Il risultato del candidato del Movimento 5 Stelle appare comunque impressionante, ma va inquadrato in questo stato di cose: presumibilmente il Movimento 5 stelle ha compiuto un’operazione di “abbordaggio” rispetto alle altre liste, piuttosto che di fronteggiamento dell’astensione che, come si è visto, è crescita a valanga. Al massimo il candidato di Grillo ha fatto la parte del bambino che copriva con un dito il buco nella diga dello Zuiderzee.
Ancora un’annotazione al riguardo del Movimento 5 Stelle: credo che sia l’ora di finirla di definirlo come “antipolitica”. Il Movimento 5 Stelle è per intero dentro alla politica, tanto è vero che – proprio in Sicilia – quattro anni fa presentò già una candidatura alla presidenza della Regione, con la persona di Sonia Alfano che ottenne 68.970 voti pari al 2,42%.
Il Movimento 5 Stelle non è di facile collocazione, non lo si può neppure definire come “qualunquista” seguendo i modelli di Giannini e Poujade: in ogni caso si può definire come si vuole, ma non certo come “antipolitica”.
Infine la sinistra: il risultato è fortemente negativo, direi del tutto negativo: la sinistra paga l’incapacità di cambiare registro, di affidarsi o ai vecchi schemi oppure a seguire gli schemi dell’avversario (vedi personalizzazione).
Questo è sicuramente il momento di una forte riflessione da aprire subito, dal basso, al di fuori dagli steccati di appartenenze veramente ormai superate.
Le ragioni di questo vero e proprio “tracollo di sistema” , in generale, possono essere rintracciate in questi quattro punti:
1) La sofferenza popolare nella crisi, cui sono state date risposte in tutt’altra direzione;
2) L’emergere, nel ceto politico, di una “corruzione sistemica” che, tra l’altro, pare aver coinvolto anche quei soggetti che della “questione morale” avevano fatto la loro stessa ragione sociale;
3) Un’errata valutazione, da parte delle forze politiche, nell’uso dei mezzi di comunicazione di massa tra TV e nuove tecnologie. La forzatura delle diuturne apparizioni in TV, al di là della qualità dei personaggi, potrebbe aver già cominciato a provare fenomeni di vero e proprio rigetto;
4) Il logoramento nel meccanismo della personalizzazione, che sta entrando in una vera e propria crisi da quando il suo inventore e dominus lo usa per esaltare un proprio incredibile “ridotto della Valtellina”.
A sinistra risulta così ancor più decisivo porre, ancora una volta, il tema dell’agire politico, di una nuova soggettività capace di riannodare i fili tra progetto e programma e tra rappresentanza politica e partecipazione.
Occorre far tornare in campo un soggetto collettivo, direi un partito, che rialzi la bandiera (ricordate la metafora del rialzare dal fango le bandiere lasciate cadere dalla borghesia?) dell’integrazione sociale.
Esiste, ancora, per fortuna anche se limitata una capacità di rapporto tra politica e movimenti: dobbiamo verificare subito se questa rappresenti una base sufficiente per ripartire.
Certo che i tempi sono molto stretti.

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