venerdì 26 ottobre 2012

Rondolino e la moderna “sinistra” delle bestie feroci di Matteo Pucciarelli, Micromega

Oggi su quella cosa bellissima e tragica che è Twitter c’era un cinguettio-canaglia molto indicativo di Fabrizio Rondolino, cioè uno dei cosiddetti “Lothar” di Massimo D’Alema. Quelli che lo affiancarono nella grande opera di “modernizzazione” della sinistra alla fine degli anni ’90. Scriveva: «Perché mai chi merita 150mila l’anno dovrebbe mantenere un parassita che ha firmato per andare in pensione in anticipo?». Poi aggiungeva, giustamente infastidito: «Chi guadagna 150mila euro lordi l’anno NON è ricco #eccheccazzo».
Ricordo Rondolino che commentava non so quale notizia al Tg1 di Minzolini, svariato tempo fa, dal salotto di casa sua. Alle spalle aveva la libreria impreziosita con un bellissimo ritratto di Palmiro Togliatti sotto cornice.
La vera colpa del berlusconismo sta qua: nel non averci fatto capire abbastanza che in Italia c’è stata e c’è ancora una sinistra nominale che di sinistra non aveva e non ha più nulla. Che ha utilizzato la parola “riforme” per giustificare una gara al ribasso nei diritti sociali, civili e nella tensione egualitaria.
Dietro al comodo paravento dell’antiberlusconismo di maniera ha vegetato per anni una destra neoliberista travestita da “sinistra riformista” che s’è fatta portatrice di idee e valori reaganiani: privatizzazioni, tagli al welfare, riforme del mercato del lavoro e del sistema pensionistico, regalie ai grandi gruppi industriali famosi per praticare il capitalismo coi soldi di tutti, nessun controllo sulla finanza e così via. La legge della giungla, dove chi è più forte riesce a sopraffare gli altri, la riduzione dell’uomo a bestia feroce che azzanna se non vuole essere azzannata: tutti discorsi che hanno fatto breccia anche dalle “nostre” parti, ammantate dalla parolina magica (”meritocrazia”).
Bastava dirsi sdegnati (e magari fingerlo di esserlo) dalla concezione padronale dello Stato di Berlusconi, del suo conflitto di interessi e delle mignotte per apparire di sinistra. E invece la sinistra era questo, ma soprattutto doveva essere ed era altro. Era ed è professare un altro modello di società, in cui prima di perorare le cause degli abbienti da 150mila euro l’anno (#eccheccazzo) ci si interessava e si teneva le parti di chi un lavoro non ce l’ha, o di chi ce l’ha ed è a 800 euro al mese senza diritti, o di chi vorrebbe lavorare per vivere e non vivere per lavorare, o di chi stava alla catena di montaggio, o di chi immaginava un mondo meno competitivo e più solidale, dove al posto delle iene con la bava alla bocca pronte e rubarsi tra poveri ci fosse un quieto e questo sì davvero moderno «da ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni».
Se adesso Berlusconi se ne andrà come sembra l’occasione che abbiamo davanti è unica. Ridefinire chiaramente i parametri di cosa è la conservazione e di cosa è il progresso. E renderci conto, una volta per tutte, che le decine di migliaia di Rondolino di questo Paese con la sinistra non hanno niente a che fare. E neanche dovevano avercene venti anni fa.

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