lunedì 28 gennaio 2013

La Seconda repubblica e il proto-fascismo di Berlusconi di Dino Greco, Liberazione.it



Le drammatiche responsabilità dell'"Arco incostituzionale"
Avendola fatta grossa, avendo di nuovo e spudoratamente aperto il suo cuore nero per assolvere quel buon uomo di Mussolini e le sue gesta, Berlusconi ha suscitato indignazione sdegno vergogna ripulsa sgomento - e chi più ne ha più ne metta - in quasi tutti i principali protagonisti e commentatori della politica nazionale. Per sovraprezzo, il Caimano ha vomitato le sue indecenti parole proprio nel "giorno della memoria", davanti a quel "binario 21" della stazione centrale di Milano da cui partivano i vagoni piombati diretti al mattatoio di Auschwitz.
Così per un giorno, forse per due ancora, l'argomento della Shoah, sudiciamente maneggiato dal capo indiscusso e idolatrato di tutto il Pdl, ha tenuto e terrà banco. Ma - siatene certi - si inabisserà presto, riassorbito nella "normale" dialettica politica di questo strano paese dalla memoria cortissima.
La cosa più semplice da fare è parsa ai più quella di liquidare le frasi pronunciate da Berlusconi come "delirio revisionistico". E di questo certamente si tratta. Ma, a ben vedere, nessuna delle cose da lui dette è una primazia.
Che Mussolini non ammazzò mai nessuno e che il confino dove venivano rinchiusi gli antifascisti fosse un luogo di villeggiatura, che il Duce abbia fatto anche cose buone, che l'Italia non ebbe la stessa responsabilità della Germania e che si alleò con essa per evitare di entrare in collisione con colui che sembrava destinato a divenire il futuro padrone d'Europa: tutte queste aberranti farneticazioni, fra pulsioni nostalgiche e negazionismo stile Casa Pound, le avevamo già sentite. Tranne una. Quella con cui Berlusconi ha provato, come sua consuetudine, a smarcarsi da se stesso. "Tutta la mia storia, passata e presente - ha detto - documenta la mia condanna della dittatura fascista".
Ecco, forse è proprio su questo che merita riflettere. Perché è proprio tutta la storia di Berlusconi , quella passata e quella presente, che rappresenta il filo nero, nerissimo, che lega la sua "discesa in campo", il suo avvento al potere e la nascita della cosiddetta Seconda repubblica, segnata, fin dai suoi esordi, dallo sdoganamento non soltanto del fascismo risciacquato nelle acque di Fiuggi, ma anche di quello più estremo e nazisteggiante, recuperato in tutti i suoi rivoli e in tutte le sue frange. E reinserito con piena legittimità nella vita istituzionale del paese.
Ma non si tratta solo di adiacenze pericolose, opportunisticamente blandite da Berlusconi per estendere la propria base di consenso elettorale. C'è infatti un fascismo sostanziale, che Berlusconi ha coltivato in proprio in quanto consustanziale alle sue più profonde convinzioni, nutrito con le sue personali frequentazioni e con i suoi sodali politici più stretti: si pensi a quell'impasto di populismo xenofobo e secessionista a reggimento monarchico che è stata e rimane la Lega; si pensi ai concreti atti di governo, coerentemente rivolti ad esautorare il Parlamento (vi ricordate l'insofferenza per la libera dinamica democratica, per l'impaccio che questa arrecherebbe al lavoro dell'esecutivo e la proposta di ridurre tutto al voto dei soli capigruppo?); si pensi, ancora, all'attacco compulsivo portato a tutto l'impianto costituzionale e, in primo luogo, al diritto del lavoro.
Il controllo e il sequestro di gran parte della stampa e di quasi tutte le emittenti televisive, l'uso spregiudicato della legislazione "ad personam", non rappresentano uno scivolamento verso una forma di dominio integrale della vita politica, certo ancora incompiuta, ma tendenzialmente totalitaria?
E la stessa origine inquietante del patrimonio economico del Caudillo, la base materiale sulla quale egli ha costruito il suo regno, lo scambio di inconfessabili favori e l'inestricabile groviglio malavitoso con cui egli ha costruito il suo sistema di potere, non sono la plastica rappresentazione di un paese la cui democrazia è già collassata e a rischio di irreversibile entropizzazione?
Ora, il fatto è che tutta l'infelice parabola della nostra vita pubblica, e la stessa denerazione partitica che tocca oggi il suo limite estremo, non hanno trovato seria opposizione in quello che, già da tempo, non era più l'"Arco costituzionale" che aveva dato vita al compromesso resistenziale. Il fatto è che il nocciolo duro delle politiche che si è intestato il Centrodestra nel corso della sua lunga occupazione del potere era da tempo in incubazione e che la sconfitta della Sinistra in quegli anni ha avuto piuttosto le caratteristiche di una resa, culturale prima e politica poi.
E' proprio questa resa, questo smarrimento di orizzonti e di autonomia della Sinistra che ha permesso a Monti di succedere a Berlusconi per portare sino alle estreme conseguenze - sotto l'egida della Bce e con il consenso del Pd - la definitiva archiviazione della Carta e l'instaurazione di un dominio di classe che si esercita passando con disivoltura attraverso schieramenti omologabili.
Questo spiega perché, qualche giorno fa, Mario Monti ha potuto sostenere che un'alleanza del suo Centro con il Pdl non è per nulla da considerarsi una bestemmia, solo che si tolga di mezzo (essenzialmente per ragioni estetiche) quel relitto feudale che è Berlusconi. Non si tratta di una butade da campagna elettorale e la cosa va presa sul serio. Il populismo reazionario è una variante della dittatura del finanzcapitalismo, ma si rivolge agli stessi interessi, milita nel medesimo campo.
Il paradosso è semmai che il Pd, per un anno intero leale soostenitore di Monti, partner fedele della dissennata manovra iperliberista che ha spesso persino rivendicato ed esaltato, ora si senta tradito dall'uomo della Trilateral. Il quale, comprensibilmente, ora ambisce a proseguire in proprio nella strategia che gli ha fatto guadagnare così entusiastici consensi nel Pd che, da par suo, aveva investito tutto se stesso non nella critica al liberismo, ma nell'antiberlusconismo. Il Pd non se ne capacita, protesta, strepita e chiede (inutilmente) a Monti di onorare il patto di alleanza a cui si era così generosamente immolato. Ma la politica, malgrado a volte sembri procedere a zig-zag, segue logiche e geometrie precise.
Se i Democrat hanno sin qui sposato la linea dettata dall'Unione europea, sino al punto da scartare - solo un anno fa - il ricorso alle urne che li avrebbe probabilmente visti vittoriosi, perché mai colui che di quella linea è il più pedissequo interprete dovrebbe ora levare il disturbo? E su quale discontinuità politica può far leva, nella sua proposta elettorale, quel Pd che nell'ultimo scorcio di legislatura ha approvato letteralmente tutto: dalla liquidazione dell'articolo 18 all'abolizione delle pensioni di anzianità, dalla riforma che avvia all'estinzione gli ammortizzatori sociali all'introduzione dell'Imu, dalla costituzionalizzazione del pareggio di bilancio al fiscal compact? Ora tace anche il Grande Timoniere, l'inquilino del Quirinale, quel Giorgio Napolitano che di Monti è stato l'inventore e mentore.
Oggi, con la sola eccezione di Rivoluzione civile, tutto il confronto politico, al netto delle nebbie, dei diversivi, delle risse mediatiche di cui si fatica ad intravedere l'oggetto, si muove nello stesso recinto programmatico. sicché i competitor che si fronteggiano, Monti e Bersani, propongono politiche le cui differenze si riducono a modeste "variazioni sul tema", inscritte nel medesimo progetto di società.
Per questo né l'uno né l'altro riescono mai a liberarsi definitivamente del Caimano, che nella desertificazione della democrazia e nel pascolo dei poteri forti trova sempre fonti a cui abbeverarsi.

Nessun commento:

Posta un commento

Di la tua