venerdì 25 gennaio 2013

L’arte di andare a fare la spesa in tempi da fame di Luca Fazio, Il Manifesto

resizer.jspMa è buono? L’è bun, l’è bun… Non sembra povera la vecchietta che sta infilando nel suo carrello una confezione di prosciutto cotto Dulano, 150 grammi per 85 centesimi. E quel segno meno davanti al prezzo? «Niente, vuol dire che costa meno di 1 euro». Sugli scaffali del discount Lidl – il colosso tedesco «campione del risparmio» – è un trionfo di prodotti col segno meno. Il prosciutto lo trita fine e poi ci fa gli involtini con la salvia scegliendo un taglio di carne non proprio pregiato, ma saper cucinare è un’arte: per esempio dal 31 gennaio al 3 febbraio queste fettine di bovino le mettono a 3,99 (390 grammi). Un affare. Ci sono clienti che si segnano la data sul calendario e vengono alla Lidl a colpo sicuro, come Cosimo, con la sua Punto rossa parcheggiata di sbieco: «Il 18 febbraio c’è lo sconto sui coprisedili per automobili». Non sono tutti indigenti. E non sono tutti scemi: risparmiano. Soprattutto sul mangiare, perché ormai soldi non ce ne sono più. O ce ne sono meno. E poi è da stupidi buttarli via.
«Io non sono povera, lo scriva…». Moglie di un dottore e casalinga, ogni tanto riceve una mail dal discount e se ne vale la pena si mette in moto, oggi pomeriggio vengono a casa a studiare le amiche di sua figlia: questa settimana otto merendine Buondì Motta 1,49 e sei yogurt Parmalat 1,99. Anche qui conta il marchio. Tipico esemplare di chi va al discount «solo perché a parità di marca si risparmia», ed è vero. Ma il cioccolato nero Zartbitter Schokolade a meno di un euro? Non bisogna farsi ingannare dall’estetica un tantino Ddr, «ci sono prodotti nordici buonissimi, biscotti speziati e wurstel, per esempio». Beh, ma il caffé Ionia qualità argento (1,99)? «Questo lo porto nella casa di campagna e poi mio marito lo beve all’americana…». Dice che sono ottime anche le farine per fare il pane. Le farine? Questa moda di farsi il pane in casa non è certo vezzo da persone che non arrivano alla fine del mese, è più il ritorno un po’ goffo ai vecchi sapori della tradizione contadina nel bilocale di una qualsiasi periferia industriale – sempre al risparmio – con la macchina impastatrice che dopo qualche panificazione finisce inevitabilmente nello sgabuzzino. Alla Lidl vanno a ruba anche i prodotti per la pulizia per la casa – «puliscono bene e costano la metà» – ma qui il dibattito si fa acceso: «Mah, senza il Finish i miei bicchieri vengono uno schifo». Opinioni a confronto. Due scuole di pensiero.
La miglior salsa del mondo è la fame, diceva Don Chisciotte della Mancia. Ormai lo hanno capito anche gli chef stellati che vanno in televisione riscoprendo i piatti della cucina povera, figuriamoci gli italiani che ogni giorno in qualche modo devono pur mangiare. Le abitudini alimentari stanno cambiando in peggio? Può darsi. Ma non è detto. C’è chi esce dalla Lidl con tre bottiglie di aperitivo Bitterol (2,99 al litro) e chi con un pigiama da uomo da 12,99. E mangiare? «Qui compro solo zucchero, sale e carta igienica. Vuoi sapere come mangio? Da quando non ho più i buoni pasto mi arrangio con gli avanzi che cucina la badante di mia madre, cucina un po’ di più e me li porto a casa mia, altrimenti pizza o cinese».
Mettere insieme il pranzo con la cena sta diventando un’arte. Per qualcuno una ossessione, quasi un gioco. O un lavoro. Nei mercati, nelle caselle della posta, nei display agli angoli delle strade vanno a ruba i giornalini con le offerte speciali. Sono questi gli «affari» che ormai determinano gli spostamenti e i menù di molte famiglie. E qui alla Lidl – lo sanno bene Coop ed Esselunga – sono imbattibili. Sbaglia chi si immagina una location da morti di fame. Dieci anni fa forse era così. Una spesa un po’ triste. Scatoloni ammassati, luci al neon, prodotti accatastati alla meno peggio. Oggi il target è cambiato e il consumatore tipo viene «sedotto» anche con alcuni spot su Radio Popolare, una fascia di ascoltatori non proprio «popolare», o quantomeno esigente a proposito di qualità del cibo. Forse impoveriti, ma come tutti. E il Capitale, o meglio, la sua religione, il consumismo, sfodera ovunque le sue armi di seduzione. Marketing aggressivo, luci come al lunapark e musichetta rassicurante per tutti, classe media e disperati. Ormai anche al discount: il 31 gennaio, per esempio, sarà giornata di sconti per le «specialità del passato». La cedrata («molto in voga negli anni ’70»), le gomme da masticare Brooklyn (quattro pacchetti 1,99) e il detersivo in polvere Vim clorex, una trappola proustiana con quell’odore chimico di «tradizionale pulizia delle case italiane», e quella grafica anni ’60.
La musica cambia, ma non troppo, tra gli scaffali dell’Esselunga, il supermercato a cinque stelle, il mastino della grande distribuzione che padron Caprotti ha saputo trasformare nel tempio dei prodotti ad alta gamma a prezzi scontati. In tutto il nord Italia e presto anche nel Lazio. Le cassiere che hanno lo sguardo allenato sul nastro, in questi giorni sanno riconoscere al centesimo una spesa che si aggira attorno ai 40 euro virgola qualcosa: a dicembre l’Esselunga con ogni 50 euro di spesa regalava un buono da 8 euro da spendere entro il 31 gennaio su una spesa di almeno 40 euro. In questi giorni c’è la fila così. Bianca, due figlie adolescenti, invece sta facendo la fila al banco della carta Fidaty, una specie di oggetto di culto per i feticisti del premio a punti: ci sono clienti che acquistano solo prodotti (scontati) che promettono uno score di punti da accumulare. «Con i miei 5.000 punti aggiungo 70 euro e prendo questa macchina fotografica Olympus, la regalo a mia figlia per il compleanno», dice Bianca. Lei stessa si definisce una «master chief» della spesa intelligente. Povera? No. Casalinga, con marito che guadagna sopra i 3 mila euro al mese, ma non arriva alla fine del mese. Grande cuoca, conosce tutti gli stratagemmi per spendere meno senza rinunciare alla qualità del cibo. «Mi sono inventata il giovedì a base di uova, costano pochissimo e si possono preparare cene di gran classe». Non è di casa all’Esselunga, qui compie acquisti mirati, tipo killer. Poi bazzica altri spacci. Fuori Milano, spiega, diverse aziende agricole accatastano i loro prodotti in capannoni sperduti, frutta e verdura costano 1 euro al chilo: «Con 20 euro riempi un carrello, c’è una marea di gente e al sabato non riesci nemmeno ad entrare». L’alternativa del sabato, per restare a Milano, sono i mercati generali, «vendono la rimanenza degli ortaggi che hanno rifornito i supermercati, per cui la qualità è la stessa ma il prezzo vantaggiosissimo, solo che ne devi comprare una cassetta». E poi i dolci, la colazione, un problema di budget con due «fogne» adolescenti. Lei va in uno spazio dolciario di seconda scelta a Nerviano, appena fuori città. Ci sono dolci di seconda scelta, ma ottimi. Possibile? «Sono prodotti di marchi famosi usciti dalla produzione un po’ stortigniaccoli, non li possono vendere nella grande distribuzione». Peccare di gola a Nerviano una volta era roba da clandestini, tanto era inospitale quel capannone. «Adesso è diventato di lusso». Come mai? «Secondo me – dice Bianca – in tempi di crisi si mangiano più dolci». Stai a vedere che il calo dei consumi fa alzare la glicemia.

A bocca asciutta

Calo delle vendite del 2% rispetto al 2011 con l’inflazione al 2,5%. Il Codacons: «Gli italiani stanno facendo la fame»
I consumi crollano, e questa non è certo una sorpresa, basta che ognuno si guardi nel portafogli e pensi a come ha dovuto cambiare le proprie abitudini negli ultimi anni. A dirlo, ieri, è stato ancora una volta l’Istat. Le vendite del commercio al dettaglio a novembre sono diminuite dello 0,4% congiunturale e del 3,1% tendenziale. Rispetto allo stesso mese del 2011 le vendite di alimentari hanno cumulato un calo del 2%, e novembre è stato il quinto mese di fila in flessione. I prodotti non alimentari hanno registrato un calo del 3,7% in un anno. Nel complesso, nel 2012, le vendite sono scese del 3,1%.
Per il Codacons questi numeri fotografano una situazione drammatica che permette di dire che «gli italiani stanno facendo la fame». Se infatti si considera anche l’inflazione al 2,3% «si deduce – spiega l’associazione dei consumatori – che in termini quantitativi il tracollo in realtà è doppio». Tutti i rivenditori registrano la crisi, gli unici che si salvano sono i discount. Per il resto la flessione è inversamente proporzionale alla superficie del punto vendita. La grande distribuzione, infatti, registra un calo del 2,1% mentre le vendite dei negozi crollano del 3,9%. A novembre , in termini tendenziali, le vendite diminuiscono del 4,7% per le imprese fino a 5 addetti, del 3% per quelle da 6 a 9 addetti, e del 2% per quelle con più di 50 addetti.
 

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