domenica 21 aprile 2013

C’è bisogno di lotta, c’è bisogno di anticapitalismo.

Partiamo da una convinzione: la nostra discussione dopo la sconfitta sulla ridefinizione e il rilancio del progetto della rifondazione comunista e del Prc difficilmente avrà un esito positivo se si auto-recinterà in una conta interna nel gruppo dirigente, in una discussione autistica e autoreferenziale in cui le diverse proposte politiche si esimano dal confronto con la realtà. 
Pensiamo, cioè, che una fase di riflessione e di approfondimento sia necessaria, ma che possa vivere soltanto se si radica nella prassi, in una prassi quotidiana di costruzione di movimento e conflitto, di ricomposizione e costruzione del blocco sociale, di trasformazione del senso comune. Insomma, la discussione su cosa significhi essere di sinistra ed essere comuniste/i oggi, e dunque su quale sia la funzione del nostro partito in questa fase, non può trovare, a nostro avviso, una risposta storicamente efficace se ci riduciamo nella condizione, culturalmente subalterna, di tifosi dell’ormai mitico big bang del Pd, di supporter di una eventuale leadership Barca (che non risulta abbia fatto autocritica per la sua partecipazione al Governo Monti né che abbia dato segni di incompatibilità, anzi, col progetto renziano). 
Parimenti, risulta del tutto astratta un discussione sull’unità della sinistra “a sinistra del Pd” che prescinda da “piccoli particolari”, ad esempio dalla volontà politica di Sel (il tanto evocato interlocutore) di entrare nel Pse e di “rimescolarsi” col Pd stesso, emersa nell’assemblea nazionale. 
Pensiamo, in altre parole, che il superamento di una logica resistenziale coincida nei fatti con il superamento di uno stato d’animo “ex-parlamentare” e della parametrazione della nostra efficacia politica esclusivamente sul terreno elettorale. E che la riattivazione di una logica progettuale implichi un dispiegamento nella costruzione del conflitto e nella connessione di soggettività politiche e sociali disperse. Di questa necessità c’è una consapevolezza diffusa nel partito, in quelle migliaia di militanti che hanno resistito a una sconfitta durissima e ogni giorno continuano a costruire mobilitazioni nei territori. E che sono presenti in ogni lotta, ma forse oggi come non mai vivono la preoccupazione per uno scollamento tra l’iniziativa politica quotidiana e la istruzione di una discussione nel partito, la mancanza di una prospettiva di reazione alla sconfitta. 
La Direzione nazionale dello scorso 10 aprile, pur nella negatività di una divisione del gruppo dirigente, ha però offerto un elemento di prospettiva, che condividiamo profondamente: la necessità di avviare un processo unitario a sinistra sulla “base della costruzione di una piattaforma antiliberista, che si connoti per l’autonomia e l’alterità dal centrosinistra, per l’esplicito collegamento con tutto il sindacalismo di classe e i movimenti di trasformazione, per il riferimento in Europa alla sinistra europea”; che questo processo “non avvenga in modo pattizio”, ma “sulla base del principio una testa un voto” e che “le forze organizzate, locali e nazionali, che scelgano di attivarsi per il processo unitario senza sciogliersi, si impegnino a non esercitare vincoli di mandato ed a garantire la libera scelta individuale nell’adesione al nuovo soggetto politico da parte dei propri iscritti e iscritte”. È anche nella condivisione profonda dei contenuti della proposta della direzione nazionale che abbiamo scelto di sottoscrivere “la dichiarazione comune per un movimento politico anticapitalista e libertario”. Vi è, a noi pare, un’oggettiva convergenza di fondo tra la dichiarazione comune e la proposta della direzione. E lavoreremo affinché dalla dichiarazione comune si apra un processo aperto, si costruiscano connessioni con altri luoghi di discussione, da Alba a Cambiare si può, si attivino assemblee territoriali. 
Nella convinzione che in questa fase, fare sinistra e fare società coincidano e che per non ritrovarsi di nuovo avvitati nel dibattito sul rapporto col centro sinistra (ambiguità che ha segnato la vita e la morte della Fds) occorra costruire su una base solida. A meno che non si voglia far vivere il comunismo come tendenza culturale di una sinistra senza aggettivi (eh sì… a volte ritornano, anche se gli interpreti del leitmotiv sono mutati), questo percorso di connessione a sinistra non può che essere fondato sul presupposto dell’incompatibilità con le politiche liberiste gestite di concerto dai socialisti e dai conservatori europei e della riattivazione di un conflitto sociale che ricomponga condizioni e coscienze. Abbiamo, dunque, contribuito a dare vita alla dichiarazione comune proprio perché, oltre che attivisti politici e sociali, siamo dirigenti di Rifondazione comunista e abbiamo il dovere della proposta. Sentiamo la responsabilità di offrire alla nostra discussione e iniziativa politica una prospettiva su cui confrontarci e lavorare, anche per contrastare ogni ipotesi di scioglimento o dissoluzione del Prc.

Alfio Nicotra, 
Eleonora Forenza, 
Fabio Amato,  
Francesco Piobbichi,  
Giovanni Russo Spena

Nessun commento:

Posta un commento

Di la tua