giovedì 18 aprile 2013

La Repubblica Romana, per rompere l’arroccamento di Sandro Medici



Ma davvero per la sinistra italiana sembra non ci sia altra soluzione che stringersi attorno a Bersani e Vendola, o al massimo sperare in Fabrizio Barca? Ma siamo proprio sicuri che, fuori da tutto questo, s’incontrano solo residualità nostalgiche e agonizzanti o qualche saccente velleità destinata a un’inesorabile irrilevanza? Possibile che per l’esteso addensamento critico sparso in lungo e in largo nel paese l’unica possibilità è fare un dispetto a Renzi o dare un dispiacere a Napolitano, altrimenti non gli resta che rassegnarsi e rinunciare?
Il risucchio politico che si è innescato all’indomani delle elezioni di febbraio sembra stia progressivamente inghiottendo schiere di ignavi e dubbiosi, prosciugando coscienze e inquietudini, neutralizzando progetti e intenzioni. Con un Berlusconi indistruttibile e un Grillo straripante, non resta che assemblare quel che c’è, piccolo o grande, bello o brutto che sia, e resistere accucciati sugli spalti della Fortezza Bastiani. Alternative non ce ne sono, spazio per altre iniziative non se ne vede. Finito. Chiuso. Oggi è così che va, inutile affannarsi a sinistra. Non resta che proclamare il proprio disarmo unilaterale.
Quest’articolo potrebbe anche non proseguire oltre: se così fosse. Ma così non è (o non del tutto), e dunque continuiamo a scrivere.
Per sostenere innanzitutto che è proprio sbagliato rispondere con quest’informe arroccamento alla temperie che scuote e strapazza le nostre sicurezze, ormai presunte e forse defunte. E per almeno due ragioni. La prima è che ci si può rannicchiare quanto si vuole, ma se l’azione politica non s’impegna a scardinare la gabbia finanziaria che opprime città, paesi e continenti non si potrà offrire che qualche diversivo alla crisi sociale ed economica. La seconda ragione è che appare inutile consolidare il proprio blocco politico, se nel frattempo il bipolarismo e i suoi protagonisti si vanno sgretolando a causa della comparsa di altri aggregati che hanno disarticolato aree e perimetri.
Non si tratta di avanzare pedanterie analitiche per il solo gusto di evidenziare le contraddizioni o sottolineare le critiche: o dolersi per improvvise amnesie e precipitosi abbandoni. E’ che l’incalzare politico non sembra voler concedere pause, costringendo tutti a dire e fare, qui e ora e anche per un dopo sempre più sfuggente e imprevedibile.
Tra qualche settimana si voterà di nuovo per elezioni amministrative, tra le quali, importantissime, quelle romane. Non sfugge a nessuno che soprattutto nella capitale transiterà una prima verifica politica, si misureranno proposte, credibilità e rapporti di forza. Ma prim’ancora di chiedersi se reggerà la destra di Alemanno, si confermerà il Pd di Zingaretti, si consoliderà il movimento cinquestelle, sembrerebbe più utile immaginarsi un qualcosa che sfugga alla pigrizia politicista e provi a scardinare una staticità di quadro politico più apparente che reale.
Un qualcosa che contenga un progetto generale sulla città, su come migliorarla, rigenerarla e rilanciarla, e che si caratterizzi per il suo profilo indipendente, politicamente e culturalmente. Che sia insomma in grado di esprimere qualità e competenza, in una felice autonomia, lontana dai ricatti d’apparato, svincolata dai poteri oligarchici.
E a Roma un progetto di questo tipo è in cammino da tempo. Si chiama Repubblica Romana. E’ fondata sul lavoro e ripudia la precarietà. E’ plurale e accogliente, inclusiva e solidale. Promuove le arti, le scienze, le culture, così come il pensiero e i sentimenti, il piacere e il benessere. Afferma il diritto all’abitare, alla salute, alla qualità della vita. Sostiene le politiche di genere e i diritti delle donne. Difende la bellezza e la natura, combatte la speculazione e l’abusivismo. Rifiuta l’espansione urbanistica e riutilizza l’edilizia esistente. Viaggia sui mezzi pubblici e preferisce andare su due ruote anziché su quattro. Dichiara inalienabile il patrimonio pubblico e lo riconsegna ai suoi legittimi proprietari, i cittadini e le cittadine. Tutela i bisogni sociali e si batte contro le povertà. Definanzia le grandi opere e investe sulla manutenzione di strade, parchi, scuole e servizi. Favorisce l’autogoverno, l’autoproduzione e la cooperazione. Garantisce le libertà, la democrazia e la partecipazione.
Al di là della suggestione storica di una stagione che ha segnato il punto più alto nelle lotte di liberazione a Roma, Repubblica Romana è una proposta politica che contiene una ragguardevole densità progettuale e un accumulo di esperienza di governo territoriale. S’incentra intorno alla battaglia di resistenza contro l’oppressione finanziaria, che sta progressivamente strangolando le amministrazioni locali. La sua principale rivendicazione è quella di congelare il debito comunale ed esigere di decidere la propria politica economica.
Ma l’aspetto più interessante e originale di questo progetto politico-elettorale è il percorso attraverso cui si è composto, il metodo con cui si è via via consolidato. Repubblica Romana è sì una lista elettorale di cittadinanza, ma vuol essere anche un processo costituente. Ha progressivamente aggregato realtà ed esperienze tra le più dinamiche e intelligenti sullo scenario cittadino. Soggettività organizzate, semplicemente associate e anche singole che si sono riconosciute in quell’urgenza di dar vita a una proposta diversa e distante dall’attuale configurazione politica. Condividendo l’esigenza di costruire un soggetto nuovo, nei contenuti come nelle forme, che si sganci dalle pratiche subalterne e a volte parassitarie con cui movimenti e associazioni hanno finora praticato la relazione politica. E ciò non per smanie isolazioniste o impulsi separatisti, ma perché consapevoli che l’attuale sistema dei partiti non è in grado di sostenere le pratiche e gli obiettivi che si continuano a ritenere necessari.
Custodite in una bacheca ai piani alti del Campidoglio, immobili e anche un po’ sbiadite, sono conservate le bandiere della Repubblica Romana del 1849. Non vedono l’ora di tornare a sventolare.

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