sabato 20 aprile 2013

Un garante, non un leader


Un garante, non un leader


di Gaetano Azzariti - Il Manifesto
La candidatura di Stefano Rodotà è la migliore tra quelle oggi possibili non solo per le sue note e riconosciute doti personali, ma anche perché è la figura più di ogni altra idonea al ruolo istituzionale che deve possedere il presidente della Repubblica in Italia.
La nostra Costituzione, infatti, assegna al capo dello Stato, il ruolo di “garante” del sistema politico-costituzionale. Una persona che abbia una vasta esperienza entro le istituzioni, ma che non sia un leader di partito in attività. Se troppo vicino al potere il Presidente non garantirebbe quel necessario distacco dalle forze politiche che invece deve possedere se vuole esercitare, così come la Costituzione prescrive, con vigore nei loro confronti la sua delicatissima funzione di intermediazione, stimolo e consiglio. Se troppo distante dalla politica non potrebbe invece rappresentare un interlocutore saggio, competente e imparziale, che sono le doti necessarie per realizzare il suo compito.
È questa la ragione per la quale segretari di partito o esponenti di primissimo piano delle forze politiche maggiori non sono mai riusciti a salire all’alto colle. Da Andreotti a D’Alema. Si è invece sempre privilegiato chi, pur avendo avuto ruoli rilevanti in passato o rappresentando le istituzioni, avessero anche maturato un qualche distacco. Così Einaudi, Pertini, Ciampi, lo stesso Napolitano, sono stati eletti presidenti in una fase della loro vita in cui non ricoprivano più responsabilità politiche in prima linea.
Stefano Rodotà ha passato quindici anni dentro il Parlamento e ne è stato vicepresidente, ha ricoperto anche importanti cariche di partito (è stato presidente del Pds), ma ormai da diversi anni ha terminato la sua esperienza nella politica attiva, maturando un salutare distacco.
Se si vuole affidare le sorti della Repubblica ad un solido garante, in questa fase storica, poi, una dote aggiuntiva deve essere ricercata. È necessaria una forte cultura costituzionale che può permettere al prossimo Presidente di non farsi travolgere dalle tempeste populiste e riuscire a difendere la Costituzione dagli assalti sempre più estesi in questo periodo contrassegnato da una scarsa cultura istituzionale. Forse, in tempi di quiete, il capo dello Stato può anche essere la mitica «cuoca» di Lenin, oggi è necessario avere una persona che sappia riconoscere nel profondo il valore e l’essenza della costituzione. Uno studioso che ha dedicato la vita ad interpretare al massimo del suo significato le disposizioni scritte nella nostra Carta appare quanto mai necessario.
Una terza ragione dovrebbe indurre a indicare Rodotà come il candidato ideale per la Presidenza. La sua figura si è sempre caratterizzata per una particolare vicinanza alla società, alle sue istanze, alle passioni civili che attraversano ormai gran parte del paese. Il capo dello Stato non rappresenta solo l’apparato istituzionale, né solo le forze politiche, ma anche la società nel suo complesso (in questo senso «rappresenta l’unità nazionale», come scrive la Costituzione). Se un tempo la rappresentanza sociale era appannaggio esclusivo dei partiti che trovavano al loro interno – tra i propri massimi dirigenti – chi era in grado di esprimere i sentimenti popolari, oggi non è più così.
La crisi di legittimazione delle forze politiche induce a sostenere una candidatura che non nasca al loro interno, ma sia espressione di un consenso sociale diffuso. Rodotà, a ben vedere, non è il candidato di nessuno (neppure del M5S, che ha solo fiutato il vento), per questo deve essere riconosciuto come il candidato di tutti. O almeno di tutti quelli che credono che in nome della Costituzione si possa cambiare questo paese in meglio e uscire dalle secche nelle quali siamo stati trascinati. Chi lo appoggerà, superando calcoli di poco conto, dimostrerà di avere a cuore il paese e le sorti della nostra democrazia. C’è ancora tempo, si può ancora sperare.

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