sabato 13 luglio 2013

Dove è finita la domanda di mercato? di Giuseppe Bianchimani, Il Fatto Quotidiano

Le misure del nostro governo sono chiare: totale defiscalizzazione dei contratti di lavoro giovanili, in modo che le aziende assumano giovani e la nostra disoccupazione young ( 38% circa) verrà assorbita con un colpo di bacchetta.
Capisco perfettamente che la politica è in crisi di consensi e che annunci del genere fanno riprendere quota, ma le cose non stanno proprio così, il problema focale è la domanda di mercato. È la domanda di mercato ciò che permette all’economia di uscire da uno stato recessivo, nessuna impresa è disposta a compiere nuove assunzioni a fisco zero, se nessuno acquista più i suoi prodotti.
Anche nelle svariate interpretazioni della crisi italiana, il pensiero mainstream, si è concentrato sui problemi ‘strutturali’ dal lato dell’offerta, ritenendo l’andamento negativo della domanda aggregata un fattore congiunturale o di breve periodo. Analizzare i dati mostrati dal prof. Stefano Perri nel suo articolo: Bassa domanda e declino italiano, può aiutare a spostare il ‘focus’ e comprendere a fondo quanto la debolezza dell’economia italiana sia frutto della scarsa domanda di mercato.
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Il grafico 1.a) mostra come la domanda finale, dal 1991 in poi, è molto più debole in Italia rispetto alla media europea e alla Francia e alla Germania. In particolare da inizio anni duemila il divario cresce costantemente, segno che nell’ultimo decennio vi è stata una totale penalizzazione di qualsiasi tipo di politica keynesiana. Tutte le componenti della domanda aggregata fanno registrare dati sconcertanti. Le esportazioni 1.b), le quali seppur seguono l’andamento francese sino al 2007, si trovano ben al di sotto della media europea mentre domanda domestica 1c) e spese di consumo finale del governo 1d),sono totalmente fuori dalla media.
Il reiterato taglio alla spesa pubblica (colonna portante per far ripartire i consumi), determinato dall’alto debito pubblico, non fa che acuire il già persistente problema della crescita e della produttività, aggravando ancor di più i dati esposti. Ora il ‘luogocomunista’ per dirla alla Bagnai potrebbe rispondere: “ma il debito pubblico ha raggiunto queste dimensioni proprio per l’eccessiva spesa pubblica accumulata negli ultimi vent’anni, quindi la spesa va tagliata eccome”!
 
 Dati elaborati dal prof. Paul Krugman(Princeton University) – Fonte : http://krugman.blogs.nytimes.com/2012/02/25/european-crisis-realities/

Ecco i dati non dicono proprio questo, anzi mostrano come Germania, ma soprattutto Francia, Austria e Belgio hanno speso molto di più rispetto a noi. Se poi si analizza l’avanzo primario (la differenza fra la spesa pubblica e le entrate tributarie e extra-tributarie esclusi gli interessi da pagare sul debito), si denota come il “Bel Paese” sia stato in realtà più virtuoso dei suoi colleghi.
Alquanto bizzarro se confrontato con ciò che si ripete sui giornali e nei talk televisivi, basta osservare i dati per comprendere che l’Italia ha accumulato un debito elevato a causa di smisurati tassi di interesse sui titoli e non per una politica di spesa scellerata.
Quindi tornando a noi possiamo anche defiscalizzare i contratti di lavoro, ma se non si spronano i consumi al più presto si rischia di entrare in una spirale recessiva senza fine.

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