lunedì 15 luglio 2013

Il fumo dell’Ilva come il sale di Ustica di Piero Valesio, Il Fatto Quotidiano



Quando ho letto le parole di Bondi sull’ilva sono rimasto basito come, penso e spero, molti altri. Non potevo credere davvero che qualcuno sano di mente potesse davvero aver espresso quel concetto: l’aumento di casi di tumore nell’area di Taranto è dovuta al fumo da sigarette. Ma certo, come potevamo non averci pensato prima.
Una nuvola a forma di pacchetto di Gauloises grava storicamente su quel pezzo di Puglia. E chi si ammala lo fa per questo motivo: una maxi patologia da fumo passivo

Poi però mi sono ricordato di aver vissuto altre volte la stessa sensazione. Sempre di fronte a balle sesquipedali, menzogne sparate da qualcuno che sapeva benissimo di mentire e ha alzato a dismisura la caratura della balla nel tentativo di renderla più credibile. Oppure per provare l’orgasmo del potere assoluto, di quel potere che ti pone al di fuori delle regole dell’intelligenza perché le regole le fissi tu. È mi è venuto quando ho provato la stessa sensazione. Quando i capataz dell’Areonautica dichiararono a viso aperto che l’aereo caduto a Ustica non era mica stato abbattuto, ma figuriamoci: quanto piuttosto era andato in pezzi in volo per motivi strutturali. Avendo trasportato, in passato, del pesce sotto sale quello stesso sale aveva corroso la struttura del velivolo. Semplice no?
Del resto da un pericolo analogo si era messo al riparo il generale Speciale che le spigole in montagna se le faceva si portare con un aereo di Stato: ma fresche. 
E poi una sensazione ne tira un’altra, come le ciliegie. Eccomi scrutare il signor B. che spiega come lui facesse beneficenza con le Olgettine: mica le pagava perché gli dimenassero le terga davanti alla faccia. 
E i parlamentari che votano una mozione che sostiene: certo, B. pensava davvero che Ruby fosse la nipote di Mubarak. E magari pure Sallusti che in un suo fondo spiega che non c’è mica di che farsi venire mal di fegato se Calderoli dà dell’orango ala Kyenge: perché nessuno mai si straccia le vesti quando chiamano Pitonessa la sua Danielina.

Il ricorrente insulto di potere al cervello di chi è costretto ad ascoltare le loro indegne balle è il miglior simbolo di un paese che non ha più dignità di sé. E che forse non ha nemmeno voglia di riconquistarla.

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