lunedì 22 luglio 2013

Il “tagliando” di Guglielmo Epifani di Dino Greco, Liberazione.it


Il “tagliando” di Guglielmo Epifani 
Nell’intervista data oggi all’Unità Epifani prova ad alzare il tiro su Angelino Alfano e sul governo, mettendo altra benzina sul fuoco della tensione con i Pdl. Dopo aver parlato di un misterioso “tagliando a settembre”, il segretario dei democrat, Guglielmo Epifani, evoca un esecutivo “più forte” e con “un profilo più autorevole” o, per lo meno, così temono al Pdl, un “rimpasto” senza Alfano. Uno scenario che non rientra per nulla nelle intenzioni di Enrico Letta. Il quale, al riguardo, è stato nettissimo: questo governo, così com’è, ha come alternativa soltanto “il caos”. Tant’è che, tramite il ministro per i rapporti con il Parlamento, Dario Franceschini, fa sapere che all’orizzonte non è previsto alcun rimpasto. Ma chi conosce Epifani sa che neppure lui crede ad una fase due della vicenda kazaka, nella quale, una volta baipassato il voto di sfiducia temuto, Alfano avrebbe compiuto il fatidico “passo indietro”. La mossa era stata pensata dal segretario del Pd nell’unico intento di disinnescare la fronda interna e ricompattarla, per quanto possibile, nel voto al Senato. Operazione riuscita, come si è visto, con l’eccezione di pochi reprobi, Puppato in testa, nei cui confronti affiora una discreta voglia di inquisizione nelle file democratiche. Resta il fatto – si aprono le scommesse – che il caso che ha screditato una volta di più l’Italia è ormai archiviato e sepolto, e che la politica italiana riparte esattamente da dov’era, cioè da zero, senza uno straccio di idee circa come muovere una situazione economica in progressivo aggravamento, come documentano tutti i dati relativi alla produzione industriale, all’occupazione, ai consumi, alla crescita della povertà, dell’indigenza, della precarietà. Si registra ormai uno scarto impressionante fra la condizione materiale di tanta parte dei cittadini e la vacuità irresponsabile di un governo che segna il passo o procede a tentoni, fra ballon d’essai e immediate smentite. La stessa formula usata da Epifani per dire che serve una correzione di rotta è talmente inadeguata da fare capire quale siderale distanza corra fra la dimensione dei problemi e la percezione che di essi si ha nell’establishment politico. Eppure, persino questo flebile belato è stato sufficiente a fare raddrizzare i capelli non solo dei partners pidiellini ma financo, nel Pd, degli ultras governativi, ormai pronti a digerire tutto, senza neppure bisogno del bicarbonato. Renzi, opportunista come sempre, resta in panchina, pensando soltanto al momento propizio per guadagnare l’investitura ufficiale del partito che lo ospita. I soli a non starci – ma contano come il due di picche quando la briscola è a spade – sono i ragazzi di Occupy Pd, che ora hanno fondato il movimento Mobbasta. le critiche al governo sono durissime. “Sta andando peggio di quanto ci aspettassimo”, dicono. “Mentre Berlusconi porta avanti i suoi progetti, il Pd non è ancora riuscito a mettere a segno neanche uno dei suoi otto punti”. La domanda che scala la classifica del social network è “fino a che punto dovremo rinnegare noi stessi?”. Persino il moderatissimo direttore de l’Unità, Claudio Sardo, titola il suo editoriale di oggi con un eloquentissimo “Cambiare, non farsi cambiare” e sbotta: “Ora bisogna comunque guardare con onestà ai difetti del centrosinistra e domandarsi perché, quando Alfano si dimostra incapace di fare il ministro, è il Pd e non il Pdl ad entrare in crisi. E quando Berlusconi viene condannato o minaccia atti eversivi, è il Pd e non il Pdl a dividersi”. Per poi concludere con una frase che sembra un requiem: “Questa fragilità, questa malattia, non può essere trascurata. Se ne occupi il congresso del Pd, perché altrimenti esso diventerà un fattore di crisi per il Paese”. Troppo tardi, caro Sardo, perchè ai Democratici manca proprio la “cassetta degli attrezzi”, cioè la cultura politica, economica e la sensibilità sociale per compiere la svolta che sarebbe necessaria. Il difetto, come si dice, sta nel manico, nell’illusione drammatica che sia possibile condividere con la destra una politica di cambiamento economico-sociale nel segno della giustizia e dell’uguaglianza. Quell’inciucio orrendo che dura e continuerà a durare nessuno ha oggi voglia di ripudiarlo.

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