domenica 28 luglio 2013

Romanzo politico d’evasione Di ilsimplicissimus



botolussiNiente potrebbe appassionarmi di meno della battaglia di apparati che ha per campo e per bottino la scelta tra Fonzie e il Nipote: in entrambi i casi si tratta di fantasmi o di marchi contraffatti, di questioni di potere che non riguardano più i cittadini, che non hanno alcun aggancio alle idee. Il centrosinistra non è più qui ormai da molto tempo e tanto meno l’idea di una trasformazione etica ed economica del Paese: la direzione del Pd meriterebbe di entrare in un trattato sullo spiritismo o in un saggio sulla decadenza delle elites, più che nella cronaca politica propriamente detta.
E la dimostrazione è venuta in questi giorni da due uscite di personaggi appartenenti al partito o di area con Fassina che ha aperto alla evasione fiscale come mezzo di sopravvivenza e Bortolussi, portavoce del modello Nord Est che vede il lavoro nero come welfare ormai necessario. Questa si che è ormai la vera pancia della politica di vertice e di apparato, nata dal progressivo sfascio della democrazia e dell’economia del Paese, una sorta di succedaneo della socialdemocrazia che invece di difendere la dignità e il reddito del lavoro, lo stato sociale, la presenza del pubblico nell’economia, si aggrappa proprio ai mali italiani dentro una ridicola, perdente e desolante scommessa omeopatica, nella speranza che sian la stessa infezione a salvare il paziente.
Di Fassina ho già scritto ieri ( vedi sotto): è vero che molti piccoli sono ormai schiacciati dalle tasse, ma questo accade perché l’evasione permessa e talvolta coccolata per interi decenni ha creato un’intera economia che vive grazie all’evasione e/o, salendo di opachi rapporti con tutti i livelli della politica. Con il risultato che troppi si sono sottratti alla competizione, rendendo fragilissimo il tessuto produttivo e distributivo, del tutto inadatto ad affrontare le sfide del futuro. E’ impossibile cambiare registro da un giorno all’altro senza una gigantesca moria di attività, ma è anche impossibile proseguire senza prognosi infauste: per cambiare rotta ci vorrebbe una nuova politica e un nuovo patto tra i cittadini, ma queste merci sono ormai introvabili sul mercato e dunque si prosegue nella politica di chiudere gli occhi seguendo pari pari la lezione berlusconiana.
E non basta perché Bortolussi compie un salto di qualità: non solo l’evasione è comprensibile, ma in un Paese che è riuscito a raggranellare il più alto debito pubblico e il più esile welfare d’Europa, lo stesso lavoro nero, lo stadio al di sotto del già insopportabile precariato, è una sorta di lenitivo, di  rimedio casalingo composto dalla definitiva rinuncia a qualsiasi dignità e tutela del lavoro. Bortolussi corre finalmente libero sull’autostrada che porta dai contratti a tempo indeterminato al caporalato di giornata. Inutile dire che anche questo farmaco ha effetti collaterali assai più gravi del malanno che ci si illude di combattere: non farà altro che procurare sopravvivenza ad aziende ed attività che non possono competere nella normalità e dunque nel mondo. Un nuovo e più grave fattore di declino.
Anche qui la via d’uscita consisterebbe in una politica che non esiste più che si è frantumata dentro interessi particolari e ideologismi da strapazzo.  Ciò che resta è una sorta di deforme terza via che dal capitalismo prende i profitti, le opacità e scarta l’efficienza, mentre dentro un riformismo ormai residuale butta via i diritti in cambio di una sopravvivenza senza speranze e prospettive. Insomma una perfetta imitazione del modello Berlusconi.

Fassina, l’evasione dalla politica

A qualcuno potrà fare impressione che il giovane turco e ormai anche vecchio marpione Fassina, abbia ripercorso il sentiero di Berlusconi, arrivando a giustificare l’evasione fiscale. Ma in realtà se ciò che fino a qualche anno fa scandalizzava una sinistra sempre più sedicente mentre oggi è diventato tema delle strizzatine d’occhio, è del tutto ovvio: é la logica conclusione di un cammino, il risultato finale del vacuo ecumenismo sociale inaugurato dal Pd e cementato dalla totale assenza di politica.
Un ceto politico che vuole rappresentare tutti e finisce col non rappresentare nessuno, un’idea di partito la cui ambizione non è la trasformazione o l’evoluzione della società, ma solo il patchwork di interessi scomposti e sovrapposti , non può che arrivare a difendere l’evasione di fronte agli evasori, la fedeltà fiscale di fronte ai fedeli coatti e in generale arriva alla schizofrenia del consenso.
La mancanza di politica è evidente e non perché Fassina abbia torto marcio quando strizza l’occhio ai commercianti, ma proprio perché in un certo senso ha ragione: la massiccia, sistematica evasione fiscale permessa per oltre quarant’anni ha finito per dar vita a tutta un’economia basata proprio sulla possibilità di nascondere  gran parte del proprio giro d’affari. L’infedeltà fiscale è’ diventata da episodica a strutturale. La miriade di piccole attività, in numero del tutto incongruo rispetto a Paesi comparabili, può vivere solo grazie a questo meccanismo, contribuisce a tenere lunghe le filiere, alti i prezzi e nutre infine  tutta un’economia parassitaria che ricava cifre indecorose dal possesso dei “muri” o dalle intermediazioni opache. L’evasione è moralmente intollerabile, ma non si può nemmeno fingere di voler dire basta dal giorno alla notte dopo aver accettato per mezzo secolo che venissero usati dadi truccati.
E proprio perché Fassina ha ragione che sono ancora più scandalose e disperanti le sue parole: da una situazione così non si esce facendo balenare la “comprensione ” del governo e del Pd, non si esce accennando a “contratti” elettorali anomali e sottobanco. Questo può farlo tranquillamente Berlusconi che ha nell’anomalia la sua ragion d’essere e che lascia dietro di sé le macerie di un Paese, ma è evidente che la soluzione la si può trovare solo attraverso un nuovo patto sociale che con gradualità, ma con decisione raddrizzi le storture del modello italiano. Vale a dire attraverso una politica di respiro e di lungo periodo che riscopra la dignità del lavoro, il senso di cittadinanza e dunque un’etica pubblica, non quella robaccia da fast food o da mensa Caritas priva di senso che ci viene proposta ogni giorno.
Tuttavia questo sembra essere un compito al di fuori delle possibilità di un ceto politico anch’esso ormai parassitario e irresponsabile che cerca il consenso senza tuttavia riuscire a rappresentare altro che i propri interessi di sopravvivenza. Quindi lo stesso soggetto politico recita sia la parte in commedia di sinistra con la teorica lotta senza quartiere all’evasione, peraltro mai realizzata nonostante ve ne siano tutti gli strumenti, sia quella di destra con le strizzate d’occhio. Il tutto per conservare accuratamente lo statu quo ante, cioè facendo quello per cui sono davvero portati: non fare nulla, non pensare nulla.




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