venerdì 16 agosto 2013

L’IMPERIALISMO GLOBALE E LA GRANDE CRISI di Ernesto Screpanti




E' disponibile on line in pdf il libro del prof. Ernesto Screpanti, ordinario di Economia Politica all'Università di Siena: L’IMPERIALISMO GLOBALE E LA GRANDE CRISI.

INTRODUZIONE

La tesi centrale di questo libro è che con la globalizzazione contemporanea sta prendendo forma un tipo d’imperialismo che è fondamentalmente diverso da quello affermatosi nell’Ottocento e nel Novecento. La novità più importante consiste nel fatto che le grandi imprese capitalistiche, diventando multinazionali, hanno rotto l’involucro spaziale entro cui si muovevano e di cui si servivano nell’epoca dei grandi imperi coloniali. Oggi il capitale si accumula su un mercato che è mondiale. Perciò ha un interesse predominante all’abbattimento di ogni barriera, di ogni remora, di ogni condizionamento politico che gli stati possono porre ai suoi movimenti. Mentre in passato il capitale monopolistico di ogni nazione traeva vantaggio dalla spinta statale all’espansione imperialista, in quanto vi vedeva un modo per estendere il proprio mercato, oggi i confini degli imperi nazionali sono visti come degli ostacoli all’espansione commerciale e all’accumulazione. E mentre in passato il capitale monopolistico aveva interesse all’innalzamento di barriere protezionistiche e all’attuazione di politiche mercantiliste, in quanto vi vedeva un modo per difendersi dalla concorrenza delle imprese di altre nazioni, oggi il capitale multinazionale vota per il libero scambio e la globalizzazione finanziaria. La nuova forma assunta dal dominio capitalistico sul mondo la chiamo “imperialismo globale”. Una seconda novità è che nell’impero delle multinazionali cambia la natura della relazione tra stato e capitale. Sta venendo meno quel rapporto simbiotico basato sulla convergenza dell’interesse statale alla costruzione della potenza politica e dell’interesse capitalistico alla creazione di un mercato imperiale protetto. Oggi il grande capitale si pone al di sopra dello stato nazionale, nei confronti del quale tende ad assumere una relazione strumentale e conflittuale ad un tempo. Strumentale, in quanto cerca di piegarlo ai propri interessi, sia con l’azione diretta delle lobby sia con la disciplina dei “mercati”. Conflittuale, in quanto la dislocazione dei suoi interessi su uno spazio mondiale genera nelle economie delle nazioni, soprattutto quelle a capitalismo avanzato, delle difficoltà economiche che mettono in crisi la funzione di “capitalista collettivo nazionale” assunta in passato dagli stati. Quella funzione, nei regimi imperiali otto-novecenteschi, era necessaria per dare il sostegno della nazione alle politiche fatte al servizio del capitale. Ed era resa possibile dall’afflusso di plusvalore proveniente dalle colonie. Lo stato operava per distribuire parte del plusvalore tra le varie classi sociali, in modo da creare un blocco sociale capace di stringere gli interessi della collettività intorno a quelli del capitale. Quella forma d’imperialismo generava nelle metropoli delle consistenti aristocrazie operaie e rendeva possibile la formazione di partiti riformisti che miravano a servire gli interessi immediati del proletariato conciliandoli con quelli della nazione.

i quella funzione è venuta meno, perché il libero movimento dei capitali e delle merci opera in modo da mettere i lavoratori del Sud del mondo in competizione con quelli del Nord. La globalizzazione determina una redistribuzione del reddito dai salari ai profitti che genera una disuguaglianza crescente in tutti i paesi del mondo. Di conseguenza la capacità politica di costruzione della pace sociale all’interno è venuta meno in ogni nazione, mentre si moltiplicano le occasioni per un inasprimento del conflitto di classe. Sul piano delle politiche sociali, allo stato è riservata soprattutto la funzione di “gendarme sociale”: deve assicurare le condizioni legislative, giudiziarie e poliziesche per disciplinare il lavoro e renderlo disponibile a uno sfruttamento crescente. La scomparsa delle aristocrazie operaie e il conseguente riorientamento delle politiche del lavoro in senso repressivo è la terza novità apportata dalla globalizzazione contemporanea. Una quarta novità riguarda il modo in cui è esercitato il governo del mondo. Nell’imperialismo globale l’uso della forza militare per sottomettere e disciplinare la Periferia da parte del Centro capitalistico non è certo venuto meno, ma sta passando in secondo piano rispetto ai meccanismi disciplinari operanti attraverso le leggi “naturali” dei mercati. L’impero globale non ha bisogno di un imperatore; cionondimeno il suo imperium sta diventando più efficace che mai. È l’efficacia assicurata da meccanismi oggettivi nei confronti dei quali i popoli sembrano disarmati. Le migliaia e migliaia di teste che dirigono le imprese multinazionali, anche se operano in competizione le une con le altre, concorrono univocamente a dare forza a quei meccanismi perché gareggiano tutte nel perseguimento dello stesso obiettivo: l’accumulazione del capitale.

L’imperialismo globale delle multinazionali, forte dell’ideologia neoliberista, tende a instaurare nel mondo quella che è stata definita l’utopia della stateless global governance. Il ruolo degli stati viene riconsiderato. In un mondo perfetto dovrebbero diventare degli “stati minimi” preposti principalmente alla funzione interna di “gendarme sociale”, visto che i lavoratori si ostinano dappertutto a non comportarsi come semplici venditori di una merce. Di tutto il resto, cioè dell’equilibrio sociale su scala mondiale, si occuperebbero i mercati. Senonché, al buon funzionamento dell’impero globale sono necessarie tre funzioni di governance centrale che richiedono l’azione di alcuni grandi stati sulla scena internazionale. La prima di tali funzioni è quella di sceriffo globale, e deve essere assolta da una potenza militare capace di disciplinare i paesi recalcitranti alla globalizzazione e di aprire i loro mercati alla penetrazione del capitale multinazionale. La seconda è quella di banchiere globale, e serve alla produzione della moneta che funge da principale strumento di pagamento e di riserva internazionale. La terza è quella di motore dello sviluppo: è resa necessaria dal fatto che l’accumulazione del capitale nei paesi emergenti e in via di sviluppo è trainata dalle esportazioni, cosa che presuppone l’esistenza di almeno una grande economia avanzata che cresca espandendo le proprie importazioni. Vedremo che nello svolgimento delle tre funzioni è emerso negli ultimi vent’anni qualche contrasto tra le grandi potenze. E questa è la quinta novità.

re le tre funzioni è necessario piegare l’azione politica delle grandi potenze tradizionali a servire un interesse collettivo del capitale multinazionale piuttosto che quello della borghesia nazionale, per non dire quello dei cittadini. Così, per essere precisi, bisognerebbe parlare, più che di una stateless, di una sovereignless global governance. Nella misura in cui gli stati sono espressione della volontà dei cittadini, essi sono piegati dai mercati a svuotare di sostanza la democrazia e a trasformare le istituzioni preposte alle decisioni pubbliche in semplici apparati di formazione del consenso e di repressione del dissenso. L’imperialismo globale tende ad ammazzare la democrazia, secondo una modalità che è stata ben espressa dalla felice metafora di un esponente del capitalismo multinazionale: “il mercato è sovrano”. Questa è la sesta novità. Una settima infine riguarda il ruolo giocato dalle crisi economiche per scombinare e ricombinare gli equilibri politici internazionali e i rapporti sociali entro ogni nazione. Le crisi della globalizzazione da una parte si presentano come momenti di esplosione delle contraddizioni capitalistiche, dall’altra però assumono il significato di un’accelerazione dei processi di disciplinamento a cui i “mercati” sottopongono gli stati, i popoli e le classi subalterne. Il libro è articolato nel seguente modo. Per prima cosa propongo una decostruzione di una pervasiva ideologia che è riuscita a confondere le idee anche a molta parte del pensiero critico. È l’ideologia costruita su una visione della globalizzazione come panacea per tutti i mali economici del mondo, un processo che alimenterebbe lo sviluppo e farebbe crescere il benessere, riducendo povertà e disuguaglianza in tutti i paesi che si aprono al commercio internazionale. Allo smascheramento di tale ideologia è dedicato il primo capitolo.

La realtà dietro la maschera è l’imperialismo. Si tratta di capire quale forma ha assunto nel mondo contemporaneo, impresa per la quale tuttavia gli strumenti analitici della teoria dell'imperialismo novecentesca si sono rivelati solo parzialmente utili. Come ho accennato sopra, la mia tesi è che non si può comprendere la globalizzazione attuale se non come processo di affermazione di una forma del tutto inedita di dominio: l'imperialismo globale, proiezione del grande capitale delle multinazionali su quello che Marx chiamava “mercato mondiale”. È la tesi che sviluppo nel secondo capitolo. Nel terzo approfondisco l’analisi studiando i meccanismi disciplinari che direttamente e indirettamente il capitale globalizzato riesce ad attivare nei mercati delle merci, della finanza, delle coscienze, oltre che con la pratica del terrore bellico. Sono meccanismi di tipo organico, vale a dire che non derivano dall’azione intenzionale di una qualche autorità sovrana. Consistono piuttosto in processi di feed back emergenti come effetti non intenzionali delle azioni di una molteplicità di attori eterogenei. Nel quarto capitolo presento i principali attori sulla scena globale: le imprese multinazionali e gli stati nazionali. Una sezione è dedicata ai grandi organismi internazionali, Fondo Monetario Internazionale (FMI), Banca Mondiale (BM) e Organizzazione Mondiale per il Commercio (OMC). La tesi che sosterrò è che gli attori protagonisti sono le imprese e che gli stati recitano come comprimari. Le prime, operando in un regime di concorrenza oligopolistica, trasformano i mercati in strumenti di coercizione delle forze politiche e sociali. L’autonomia degli stati in politica economica ne risulta alquanto limitata. Quanto agli organismi internazionali, pur essendo stati costituiti formalmente come emanazioni degli stati, di fatto operano al servizio delle multinazionali.

Nel quinto capitolo descrivo la grande crisi del 2007-2013 mettendo in luce soprattutto il ruolo in essa giocato dalla politica di deregolamentazione dei mercati finanziari in America e dalla politica di unificazione monetaria in Europa. La crisi ha assunto un andamento a W (contrazione-ripresa-contrazione-ripresa). Attualmente ci troviamo nel mezzo della seconda contrazione, e non sembra che i governi dei principali paesi siano riusciti a trovare una via uscita dalle difficoltà. La crisi, che è un fenomeno intrinseco all’accumulazione capitalistica, è anche uno dei più efficaci meccanismi disciplinari. Nel sesto capitolo spiego la crisi attuale come un fenomeno di affermazione del predominio del capitale e dei suoi mercati sulla politica e i suoi artifici. Le cause reali della grande crisi vanno ricercate negli effetti prodotti dalla globalizzazione sulla distribuzione del reddito nei paesi avanzati. La prolungata tendenza della quota salari a diminuire ha prodotto effetti depressivi sulle loro economie. I governi di alcuni grandi paesi con ambizioni vetero-imperiali, specialmente gli Stati Uniti e la Germania, hanno adottato degli schemi di politica economica mirati a contrastare o sfruttare politicamente quegli effetti. Per un po’ di tempo hanno avuto successo. Negli Stati Uniti sono riusciti a far trainare una sostenuta crescita del PIL da una bolla speculativa.

In Germania sono riusciti a usare la Moneta Unica per costruire un impero mercantilista tedesco in Europa e per far concorrenza al dollaro. Ma alla fine i “mercati” hanno sventato quegli artifici scatenando la crisi. Infine, nel settimo capitolo mi concentro sulle rivalità interstatali, mostrando che non possono più essere interpretate come inconciliabili contraddizioni inter-imperialiste. Piuttosto sono prodotte dalle ambizioni geopolitiche delle classi dirigenti delle grandi potenze. Quelle ambizioni si sono rivelate solo parzialmente utili al funzionamento del capitalismo contemporaneo. Per lo più, invece, hanno prodotto disordine e instabilità. In questo capitolo interpreto la crisi come il culmine di un periodo di transizione da vecchie forme d’imperialismo all’imperialismo globale. Come il caos economico del periodo inter-bellico, l’attuale depressione è segnata dallo scompiglio del sistema delle relazioni internazionali. E come la crisi iniziata nel 1929, quella scoppiata nel 2007 ha portato alla luce la necessità di una riforma del sistema. Perciò concluderò disegnando lo scenario di un possibile sbocco della crisi in termini di riorganizzazione delle relazioni tra le grandi potenze e di riordino del sistema dei pagamenti internazionali.

a che sviluppo in questo libro descrive un sistema di dominio globale del capitale che è ancora lungi dall’essere pienamente realizzato, benché le tendenze economiche degli ultimi vent’anni mostrino che si sta affermando rapidamente. È possibile che la crisi in corso contribuisca ad accelerare il processo e a mettere allo scoperto quelle che emergeranno come le contraddizioni fondamentali dell’imperialismo globale. Non si tratta delle rivalità inter-imperiali, che pure continueranno a esistere sebbene come conseguenze di politiche nazionaliste delle ex grandi potenze, bensì dell’opposizione di classe tra operai e capitale e tra Centro e Periferia dell’impero. Con la globalizzazione le due contraddizioni tendono a fondersi e ad assumere la forma di un antagonismo insanabile, sempre più esteso e sempre più aspro, tra il capitale multinazionale e i proletari di tutto il mondo.

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