martedì 27 agosto 2013

L’insostenibile religione della concordia obbligata di Angelo D'Orsi, Il Fatto Quotidiano



Il presidente della Repubblica nel suo recente intervento alle Camere riunite ha deplorato la rissosità, la tendenza al conflitto che caratterizza la vita politica nazionale, tacciando, in sostanza, di infantilismo e di irresponsabilità chi invece che mirare alla concordia, all’armonia sociale, si prodiga nella nefasta opera in senso opposto: produrre contrasti, generare conflitti, essere forieri di disarmonie. Era un evidente messaggio agli avversari delle “larghe intese”, di cui ogni giorno ci viene confermata la drammatica indispensabilità, da tanta parte dello schieramento mediatico, oltre che dai diretti interessati alla prosecuzione della vita dell’esecutivo (e di questa Legislatura: che paura di perdere il seggio, eh!?).

Del resto, da tempo, sul piano politico come su quello storiografico e in generale del discorso pubblico, si sta portando avanti una narrazione aconflittuale d’Italia, della sua memoria, della sua struttura economico-sociale, e conseguentemente si sostiene la prospettiva di una “crescita” politica, economica, civile nel segno dell’armonia. Ma, contemporaneamente, in questo sviluppo della nostra società al riparo dai marosi dello scontro, si alza la voce di un Alfano – vicepremier e ministro di Polizia – che ripete che lo Stato non si lascia intimidire, che le decisioni prese dai governi sono bronzee come le Tavole della Legge, e che non si possono rimettere in discussione.
Ma che accade quando una di tali decisioni viene posta in forse dagli stessi esponenti del ceto politico? È accaduto con Matteo Renzi, che, sia pure in modo ellittico, ha detto che il Tav in Val di Susa non è certo una priorità in questa fase storica. È accaduto, sia pure in senso opposto, con Crocetta, presidente della Regione Sicilia, che dopo aver opposto un secco no, al Muos, ci ha ripensato (dunque i ripensamenti sono ammessi solo in una certa direzione?). È accaduto pochi giorni fa con la seconda carica dello Stato, il senatore Pietro Grasso, che ha allusivamente parlato di decisioni che hanno prodotto conflitti generando problemi di ordine pubblico, alludendo al Tav, al Muos e al Tap (Trans Adriatic Pipeline, il gasdotto che dovrebbe collegare i giacimenti del Caucaso con l’Italia per “fare dell’Italia un hub sud europeo del comparto energetico”) e alle battaglie via via più aspre che queste decisioni che non hanno coinvolto per nulla le popolazioni, stanno suscitando.
Come mai in queste situazioni il conflitto è accettabile? E come mai al rifiuto di dialogo con le popolazioni e i famosi “territori”, si risponde trasformando addirittura lo scontro civile in guerra militare? Come mai si militarizzano le zone coinvolte, arrivando a impedire la “libera circolazione di persone e merci”, che Schengen garantisce a livello di Unione europea? Dobbiamo, dunque, essere così malpensanti da ipotizzare che quando si tratti di imporre gli interessi dei gruppi dominanti (non importa se italiani o internazionali), che si manifestano in modo palese e addirittura clamoroso (Muos, Tav, Tap), si può fare ricorso anche alle forme estreme di conflitto, trasformando, alla Carl Schmitt, l’avversario in nemico; mentre quando si è davanti a situazioni nelle quali quegli interessi possono essere più facilmente camuffati da interesse nazionale allora si chiede collaborazione? Una collaborazione, del resto, si chiede anche da parte del boia a chi porge la testa alla sua mannaia.
E, allora, smettiamola, per favore – l’appello vale per Napolitano ma anche e soprattutto per i Galli della Loggia, i Pigi Battista e compagnia cantante – di invocare la pace e la concordia: tutti questi vecchi e nuovi liberali dovrebbero sapere che nella teoria stessa del liberalismo è iscritta la logica del conflitto. Che Luigi Einaudi, primo presidente della Repubblica, galantuomo conservatore, esaltava “la bellezza della lotta”, proprio come il suo allievo infedele Piero Gobetti. In fondo, quindi, non v’è neppure bisogno di scomodare Marx, che, comunque, opportunamente, ci ricorda che la storia di ogni società è storia di lotte di classi. E che ciò che chiamiamo progresso nasce proprio dal conflitto. Dunque, ciascuno faccia la sua parte. Lor Signori vogliono andare avanti con queste scellerate “grandi opere”? Si accomodino. Ma non si stupiscano se qualcuno, fino all’ultimo respiro, si opporrà. E alla logica militare ci si può attendere che si risponda sempre piegando la testa?

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