sabato 2 novembre 2013

Madre Teresa di Combutta, nata Cancellieri Di ilsimplicissimus


CancMi chiedo come mai non sia già cominciata un’opera di beatificazione per sora nostra  ministra della giustizia Anna Maria Cancellieri: di certo lo merita la sua soccorrevole pietas nei confronti degli oltre 60 mila detenuti italiani la cui condizione, per affermazione stessa delle massime Autorità (mi raccomando non scordiamoci la maiuscola), è indegna. Oddio finora questa compassionevole sensibilità si è esercitata solo sulla miliardaria Giulia Maria Ligresti, datrice di lavoro del figlio della medesima Cancellieri, Piergiorgio Peluso. E che lavoro: 5 milioni e mezzo in un anno per mandare definitivamente all’aria Fonsai  con grandissima competenza e abilità. Ma insomma nella vita bisogna pur scegliere.
Ora qualcuno dirà che penso sempre male. E non è vero: la signora si è data da fare per togliere dal carcere la miliardaria con opportuna anoressia, mentre i poveracci tra le sbarre hanno sempre un volgare appetito, sebbene la Giulia Maria, pensasse del figlio della Cancellieri – per sintetizzare un’intercettazione – che fosse un cretino inaffidabile e infedele, ma protetto dalla madre. Il testo lo trovate qui  e qui ma non c’è dubbio che l’intervento della ministra per ottenere un trattamento di favore nei confronti della rampolla Ligresti, c’è stato nonostante queste atroci ferite al cuore di mamma. Una santa, ne tenga conto il parroco di Roma, tra una telefonata e l’altra alle pecorelle smarrite.
Certo potremmo anche pensare che sia stato un atto inopportuno, che la Cancellieri abbia approfittato della sua carica per dare vita all’ennesimo caso di ingiustizia ad personam, che si tratti di un’inammissibile ingerenza per cui altrove si danno le dimissioni un’ora dopo e si cerca di scomparire sottoterra, ma anche se così fosse, il tutto è avvenuto avvenuto sulla scia di un imprintig familiare al quale è difficile sfuggire. E infatti il Peluso Piergiorgio dopo essere stato liquidato da Fonsai con quei quattro soldi, è diventato direttore finanziario della Telecom guarda caso poco dopo che quest’ultima si è vista rinnovare dalla ministra diversi appalti tra cui quello per la banca del Dna e quello dei braccialetti elettronici che hanno già avuto la sgradevole attenzione della Corte dei conti. Insomma è come una forma di irrefrenabile cleptomania.
Del resto la stessa Cancellieri è nata e vissuta in questa atmosfera: il nonno dopo la vittoriosa guerra libica del 1911 diviene un ras della nuova colonia e addirittura ”commissario ai beni sequestrati ai berberi”, mentre il padre, sempre in Libia e sotto l’ala protettrice del regime fascista e in particolare di Italo Balbo, si dedica alla costruzione di centrali elettriche. Lei sta a Roma andando in Libia solo per le vacanze, trascorrendo il tempo fra la colonia dei ricchi italiani che sono rimasti anche dopo la guerra e che sotto re Idris fanno il bello e cattivo tempo. Tanto che a 19 anni, appena finite le scuole comincia a lavorare, non alla Standa, ma nientemeno che alla Presidenza del Consiglio. Alzi la mano chi non ha un figlio a cui sia capitato. Dopo una laurea in Scienze politiche a 29 anni, di cui non sembra siano rimaste tracce, eccola cominciare la carriera prefettizia in ogni dove d’Italia. A Nomen Homen Cazzullo rivela in un’intervista: “appartengo, ultima della fila, a una schiera nobilissima. Uomini che hanno dedicato la vita alla cosa pubblica, che hanno versato il loro sangue”. Veramente era il sangue dei berberi e i loro beni che non si sa bene che fine abbiano fatto. Ma certo sono particolari di poco interesse anche in vista di una beatificazione, certificata pure dal povero Sansonetti ormai evolutosi da giornalista a caso umano. Ma anche di un vasto ambiente di opportunisti e difensori dello statu quo ante palesi o segreti.
Comunque sia da tutta questa vicenda emerge in chiaro scuro, ma evidente, il ruolo dei grand commis dello stato come cinghia di trasmissione di un’oligarchia di fatto, dell’incesto fra pubblico e affari privati, come rizoma sulla radice della corruttela, un qualcosa che permette la rigenerazione delle piante infestanti anche in condizioni sfavorevoli. Un ceto duttile che come la Cancellieri può dire che la mafia non esiste ed essere contemporaneamente chiamata da uno poi indagato per mafia, a gestire (peraltro malissimo) l’emergenza rifiuti in Sicilia che notoriamente è in mano alla criminalità organizzata. Che gestisce opportunamente le prebende e sa quali privilegi non toccare, chi aiutare e chi affossare. Un ceto che dall’alto dei suoi privilegi può disprezzare l’insieme dei cittadini che non hanno santi in paradiso. Così anche alla Cancellieri con figlio milionario per grazia di mammà, scappò di dire  «noi italiani siamo fermi al posto fisso nella stessa città di fianco a mamma e papà». La beffa dopo il danno.

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