domenica 17 novembre 2013

Riprendersi la sovranità, ovvero: di cosa stiamo parlando? da http://irradiazioni.wordpress.com

Copertina0001Il tema della “sovranità” sembra aver assunto un interesse diffuso, almeno nella Rete. Probabilmente anche fuori della Rete se Tito Boeri ha ritenuto di dover dedicare il Festival dell’Economia 2013 di Trento Rovereto (che si è svolto tra il 30 maggio e il 2 giugno 2012) all’argomento intitolandolo “Sovranità in conflitto”. Anche una superficiale ricerca attraverso Google mostra il fiorire di blog, siti, associazioni che pongono al centro del loro dibattito l’argomento “sovranità”. Un primo aspetto risulta abbastanza evidente: si tratta di un tema trasversale alle posizioni politiche. Lo troviamo espresso da Destra (Fronte Anti Euro Destra Popolare), da movimenti con connotazioni che mi sfuggono come “Io amo l’Italia” di Magdi Allam. Lo ritrovo in movimenti che non saprei come posizionare nello spettro politico come MoviSolAssociazione Riconquistare la Sovranità. C’è anche la Sinistra con Marx XXI.
Ovviamente non pretendo di aver stilato un elenco (ho dedicato alla ricerca non più di dieci minuti) e devo supporre ci sia anche altro in cui non mi sono imbattuto. Però già un quadro così ristretto mi sembra sufficiente per intuire la popolarità in Rete dell’argomento. Popolarità che sembra essere relativamente recente perché la maggior parte dei siti che ho visitato non sembra avere più di due o tre anni di vita. Ma d’altro canto, come ricorda lo stesso Boeri, anche Monti in campagna elettorale ha usato l’argomento “sovranità” sostenenendo (ovviamente banalizzo le sue affermazioni) che senza di lui a governare il rischio sarebbe stato quello di essere governati da Bruxelles come è accaduto o sembra essere accaduto alla Grecia. Ovviamente il tema della “sovranità” viene affermato in “toto” ma il principale passo che secondo i “sovranisti” (mi pare un termine cacofonico ma vedo che viene usato e mi adatto) dovrebbe essere quello dell’uscita dall’Euro. E qui i “sovranisti” trovano un terreno comune con Bagnai che però è abbastanza ristretto. Basta infatti guardare al Manifesto diffuso dallo stesso Bagnai per rendersi conto che nei ragionamenti del professore pescarese le rivendicazioni sovraniste sono meno larghe di altri. Il fatto poi che nel suo blog Bagnai sia più barricadero mi pare più che altro il frutto di una politica di comunicazione che utilizza due linguaggi: uno più diplomatico destinato a un pubblico al di fuori di Internet e uno più “virile” e messianico veicolato dal blog.
Dunque attualmente mi pare di poter dire che il cavallo di battaglia del “sovranismo” è l’uscita dall’Euro anche se poi le proposte di chi appoggia queste teorie investono anche altri temi.
Fatto il punto (provvisorio) non mi viene voglia di esercitare una critica o di esprimere preoccupazioni (come mi sembra faccia Boeri). Piuttosto l’argomento mi fa emergere dei concetti che sembravano e probabilmente erano sepolti nella memoria. Per quegli strani cortocircuiti mentali di riaffioramento mi sono tornati alla mente i lavori di Susan Strange. Mi è parso curioso che né Bagnai, né i sovranisti abbiano fatto riferimento a quella che viene riconosciuta in modo pressoché unanime come la creatrice della politica economica internazionale. Probabilmente né Bagnai né i “sovranisti” sembrano sapere chi sia. E non è una pecca da poco. In primo luogo perché la Strange è stata una economista con le carte molto in regola: docente alla London School of Economics, poi all’European University Institute di Firenze e infine all’Università di Warwick (sì lo so non ha insegnato a Pescara ….) Ha scritto un libri memorabili: nel 1986 “Casinò Capitalism”, nel 1988 “States and Markets”, seguiti da “The Retreat of the State” e “Mad Money”. In Italia “Casinò Capitalism” fu tradotto e pubblicato da Laterza con il titolo Capitalismo d’azzardo, Il Mulino pubblicò “The Retreat of the State” ribattezzandolo con il più asettico titolo di “Chi governa l’economia mondiale?”. Nel 1999 le Edizioni di Comunità tradussero “Mad Money” (con il titolo “Denaro impazzito”) che si occupava proprio dei mercati finanziari e delle loro logiche di fine millennio. In questo ultimo libro, uscito postumo, la Strange avvertiva il lettore del pericolo dei titoli tossici e con estrema lucidità delineava il quadro della crisi che sarebbe scoppiata nel 2008, dieci anni dopo la sua morte. Libri oramai tutti usciti fuori catalogo e che soltanto la mia età non più verde mi consente di avere (ma ritengo che in qualsiasi decente biblioteca si possano ritrovare).
Qual’è il cuore delle argomentazioni della Strange? In sintesi secondo la studiosa a partire dall’inizio degli anni Settanta dello scorso secolo l’equilibrio tra Stato e mercati si è andato progressivamente deteriorando a favore di questi ultimi che, anno dopo anno, hanno creato un “ecosistema caotico”. Il fenomeno che la Strange analizzava venne da lei definito “dispersione del potere”. In altri termini il potere (o l’autorità) si è andata distribuendo in una pluralità di soggetti economici ingovernati e ingovernabili. Tra questi soggetti la Strange metteva anche la grande criminalità organizzata (narcos, mafia russa e italiana) che della “dispersione del potere” si sono largamente giovate. In più (e questo è un punto molto interessante) la Strange sosteneva che in questa “dispersione” si stava anche verificando un fenomeno di “volatilizzazione”, ossia alcuni poteri non vengono più esercitati dallo Stato ma non vengono neppure assorbiti da qualche altra entità: semplicemente non vengono più usati. Un passo di “Chi governa l’economia mondiale” mi sembra meritevole di essere riportato integralmente: “L’ultimo problema che emerge da questa analisi della dispersione di autorità nell’economia mondiale e nelle società mondiali riguarda tutti noi in quanto individui. Una volta l’ho definito il problema di Pinocchio. Mi sembrava che i fili che tengono legato ognuno di noi allo stato-nazione fossero simili ai fili che sostenevano Pinocchio, rendendolo il burattino di forze che egli non poteva né controllare né influenzare. Il suo problema, in conclusione, non era più che il suo naso si allungasse nel nel momento in cui diceva bugie. Egli aveva imparato che le bugie erano un errore. Il suo problema, al momento di trasformarsi magicamente da burattino di legno a ragazzo in carne ed ossa, fu in definitiva la mancanza di fili che lo guidassero. Pinocchio doveva distinguere autonomamente cosa fare, l’autorità di quali soggetti rispettare e quale altra autorità sfidare e ostacolare. Se. di fatto, ciò che oggi ci si presenta non fosse tanto un immaginifico sistema di global governance, quanto piuttosto un decrepito agglomerato di fonti di autorità in conflitto, anche noi avremmo lo stesso problema di Pinocchio. Dove solo le origini di obbedienza, lealtà, identità? [...] A volte nel governo di uno stato. Ma altre volte in un’impresa o in un movimento sociale che operi attraverso le frontiere territoriali. A volte in una famiglia o in una generazione; a volte in persone che condividono un lavoro o una professione. Con la conclusione della guerra fredda e con il trionfo dell’economia di mercato si è verificata nuovamente un’assenza di valori assoluti.
Quello che è andato in crisi è il concetto di “sovranità vestfaliana” (Westphalian sovereignty) fondato nel 1648 con la nascita del mutuo rispetto della integrità territoriale, dell’autodeterminazione, della pari dignità di ciascuno Stato a prescindere dalle sue dimensioni e potenza, del diritto alla non ingerenza nei problemi interni che sorgano in uno Stato.
La reazione della maggioranza di noi di fronte all’andare in pezzi della “sovranità vestfaliana” sembra essere quella di chiedere un ritorno ad essa perché il modello di “sovranità condivisa” (“shared sovereignty”) tipico ad esempio della teoria dell’Unione Europea non ha conquistato né il cuore né le menti delle persone. Il problema è che un ritorno alla “sovranità vestfaliana” sembra essere praticamente inattuabile perché ciò che è uscito dalla porta ed è entrato a far parte della sfera di innumerevoli centri di potere economici diffusi e frammentati non può rientrare dalla finestra tanto facilmente. Il pericolo è che la richiesta di ritorno alla “sovranità vestfaliana” sia velleitario perché, non tenendo conto e non riuscendo a cogliere, quali siano i reali nodi di potere si applichi a situazioni parziali. Per esemplificare: chiedere il ritorno alle monete nazionali ristabilirebbe la situazione? Ossia riappropriarsi della sovranità monetaria laddove tutte le altre sovranità sono andate perdute, avrebbe un esito positivo o sarebbe soltanto illusorio? La Strange ci avvertiva che anche far tornare allo Stato-nazione pezzetti di sovranità non avrebbe alcun senso e non ricostituirebbe quel mondo, quella idea di mondo nel quale siamo vissuti prima dell’avvento della globalizzazione.
Immagino che qualcuno potrebbe commentare con la classica obiezione “meglio riprendersi un pezzetto di sovranità, piuttosto che star fermi”. Ma a questo rispondo ricollegandomi ai ragionamenti della Strange: “sia per la struttura della conoscenza sia per quella della produzione gli Stati territoriali hanno perduto da molti anni il controllo vantato in passato sulla produzione di beni e servizi entro i loro confini, così come sulla creazione, accumulazione e comunicazione di conoscenza e informazione perché si deve registrare “il fallimento della maggior parte dei governi nell’assolvere proprio quelle funzioni fondamentali a cui si deve la creazione dello Stato in quanto istituzione: la garanzia della legge e dell’ordine, la difesa del territorio dagli invasori stranieri, la garanzia di una moneta solida per l’economia, nonché regole chiare e giuridicamente certe per quanto riguarda i più elementari trasferimenti di proprietà fra acquirenti e venditori, debitori e creditori, proprietari   e affittuari”.
Lo Stato-nazione è fallito e la shared sovereignty che sta alla base del processo europeo negli ultimi dieci anni non è mai decollata. Come certe coppie che decidono di mettere al mondo un figlio nell’illusione di evitare la rottura di un matrimonio, l’Unione Europea ha generato una moneta unica senza risolvere questioni di base altrettanto – se non più – importanti della moneta: difesa, politica estera, legge. In questa fuga in avanti, come scriveva la Strange, “Se lo Stato ha perduto un’autorità politica significativa in qualche direzione, è più probabile che sia stato verso il basso o lateralmente che verso l’alto in direzione di istituzioni sovranazionali”. I poteri nazionali perduti non sono cioè andati verso istituzioni sovranazionali, non sono andati verso il rafforzamento dell’ONU, verso un progetto come quello dell’Unione Europea: sono finiti nelle mani di attori transnazionali come le banche internazionali, le grandi compagnie assicurative, le grandi imprese della comunicazione e, persino, verso il crimine organizzato. Tutto ciò mentre il terrorismo – anch’esso globalizzato – provocava il crollo dei principi di Vestfalia autorizzando dal punto di vista internazionale qualsiasi ingerenza negli affari interni degli Stati-nazione.
Riprendersi un brandello di sovranità monetaria lasciando tutto il resto nelle mani di organizzazioni più che opache e senza alcuna responsabilità verso le persone è solo l’illusione di una cura. Sembra essere più che altro un triste sussulto nazionalistico condotto magari con le migliori intenzioni ma privo di effetti realmente efficaci.
La crisi che ormai stiamo vivendo da sette anni non è né la crisi dell’Euro né semplicemente la crisi dei subprime o di qualsiasi altra cosa. Si tratta di una crisi ancora più profonda, ossia ciò che la Strange diceva: la crisi della “dispersione dei poteri” provocata dal ritirarsi progressivo della politica dall’economia. Una perdita di controllo che si è accompagnata all’instaurarsi di un paradigma accettato come dogma di fede: nasci-consuma-muori. Una perdita di dimensione politica, etica, di responsabilità tutta a favore di una economia priva di qualsiasi freno se non il profitto allargato a tutte le aree della vita personale. Di questo siamo tutti responsabili. Possiamo cambiare moneta, possiamo illuderci di riprendere “sovranità” ma se non decidiamo che la questione principale è uscire da un paradigma del capitalismo selvaggio non cambierà nulla.

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