giovedì 12 dicembre 2013

Fascismo o conflitto sociale? di Maso Notarianni, Micromega


Unknown-2.jpegFascismo s. m. [der. di fascio]. – Movimento politico italiano che trasse origine e nome dai Fasci di combattimento fondati nel 1919 da B. Mussolini e che, costituitosi in partito nel 1921, conquistò il potere nel 1922 con la marcia su Roma. [...] Il termine è stato poi esteso, più o meno fondatamente, a indicare altri movimenti: il f. spagnolo; il f. dei colonnelli in Grecia.
Quando si parla di fascismo, oggi, tendenzialmente ci si riferisce innanzitutto alla sua violenza squadristica, alla conquista violenta del potere. Un regime che ha prima ha esaltato la guerra e poi il colonialismo più criminale come sublime forma di realizzazione dell’uomo.
 Quando si parla di fascismo, tendenzialmente, ci si ferma alla sua estetica. E purtroppo, specularmente, anche l’antifascismo è stato più estetico che sostanziale. Ed è proprio l’estetica dell’antifascismo che nel passato ha causato da un lato scelte disastrose in chi ha forse creduto di poter difendere chissà cosa a sprangate, e dall’altro ha generato un antifascismo superficiale, fermo al timore del ripetersi della storia.
Il fascismo è stato molto più importante della sua estetica. Il fascismo è stato prima di tutto una teoria politica. Una teoria che disprezzava l’uguaglianza e la fraternità (oltre ovviamente alla libertà) della rivoluzione francese, e che avrebbe voluto risolvere conflitti sociali in corso dividendo la società in corporazioni di medievale memoria, pacificate le une con le altre perché solo al loro interno ci si sarebbe potuti affermare in una spietata competizione individuale.
 Il fascismo è stata una teoria politica fortemente basata sull’identità nazionale, sul rifiuto dell’altro da sé, sulla forza dell’Italia in quanto nazione costruita da uno Stato forte non perché capace di dare regole di convivenza e leggi, ma perché fortemente ideologico. Uno Stato che riconosceva la centralità dell’individuo-competitore, dell’individuo espressione di forza bruta, dell’individuo che sopravvive attraverso l’eliminazione del nemico. Per lo Stato fascista, l’interesse generale si otteneva attraverso il successo di chi, sconfiggendo i competitors, i nemici, riusciva ad emergere in quanto migliore degli altri, più “adatto” in una (sbagliata) applicazione delle teorie di Darwin alla specie umana. Non a caso, il mito dell’uomo forte al comando.
Se la nostra società fosse davvero antifascista, avrebbe riconosciuto molti degli aspetti della subcultura politica che ha dominato gli ultimi 20 anni.
 Anche oggi si tenta di sedare il conflitto sociale attraverso la riorganizzazione di corporazioni chiuse entro le quali si compete. Non a caso quella italiana è la società occidentale dove il cosiddetto ascensore sociale è praticamente immobile. Anche oggi è in auge la competizione tra individui (finta competizione, ché si parte da posizioni più o meno privilegiate) come se fossero diversi l’interesse generale degli umani e quello di ciascun singolo appartenente alla specie o – peggio – come se l’interesse fosse quello di fare emergere il più forte e non quello di far sopravvivere al meglio tutti. Non a caso in Italia ci si affida a dei capi piuttosto che a delle organizzazioni sociali (che siano partiti o altro) per governare il Paese.
Non a caso si chiama crisi quella che è ingiustizia e a una ingiustizia ci si ribella. Non è un caso che il lavorio culturale degli ultimi 30 anni ci abbia privato in modo devastante degli strumenti minimi indispensabili per leggere quel che ci circonda, capirlo e se non va magari cambiarlo.
Sarebbe bene che qualcuno smettesse di prendere lucciole per lanterne, e cominciasse a dare parole e risposte sensate alle terribili difficoltà che stanno colpendo le persone, che non riusciranno certo a risolvere i loro problemi a forconate o prendendosela con dei miti astratti (oggi sono le banche e le sedi di Equitalia, ieri erano le banche e gli ebrei).
Il problema più drammatico oggi è che non siamo più nemmeno capaci di riconoscere che il nemico non sono mitologiche caste o finanze o equitalie. Ma sono concretissime scelte politiche che hanno permesso il proliferare dell’illegalità, che han permesso all’evasione fiscale di arrivare a 130-150 miliardi, hanno permesso alle rendite da capitale di essere meno tassate delle rendite da lavoro. E sono anche persone in carne e ossa: i mafiosi (che non sono quelli con la lupara, ma sono quelli che gestiscono affari miliardari), gli evasori fiscali (chi detiene ricchezze costruite attraverso la frode e l’elusione), chi preferisce investire in borsa piuttosto che sull’innovazione delle aziende, sulla ricerca, sulla qualità del lavoro, chi specula sulla salute dei cittadini, chi svende beni comuni e chi rivende beni comuni a prezzi folli. Questo è il nemico. Questi sono i nemici: quelli che all’interesse di tutti antepongono il proprio a costo di ridurci alla disperazione e alla fame. Perché ricordiamocelo, la Costituzione italiana dice: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”” E non pare proprio che le cose vadano così.
O ci si prende la responsabilità di dare un nome e un volto alle cose, e quindi a governarle se si sta al governo o altrimenti a opporvisi, oppure quando domani ci sveglieremo del tutto fascisti (e le rivolte dei forconi accelerano questo processo perché alimentano miti) non potremo che maledirci. Perché, oggi, il problema non è chi sta dietro alla rivolta dei forconi, ma chi non c’è davanti.

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