lunedì 30 dicembre 2013

Italia sbalzata al “palio di Siena” Di ilsimplicissimus


0416_montepaschi_630x420Pagheremo caro, pagheremo tutto, si potrebbe dire parafrasando un vecchio slogan studentesco. E da come si sta mettendo pare che i 4 miliardi prestati da Monti ai Paschi di Siena per superare la crisi dovuta alla folle politica di acquisizioni e investimenti di Mussari (nome che la grande stampa evita singolarmente di citare), finirà per essere pagato dai cittadini. La restituzione del malloppo e dei suoi interessi, oltre che la tenuta stessa dell’Istituto entro i criteri europei, può essere garantita solo da un aumento del capitale di pari importo, quello proposto dal presidente del Cda Profumo e perigliosamente rinviato l’altro giorno per volontà dalla omonima Fondazione bancaria che detiene il 33,5% delle azioni.
Il senso di questa vicenda, assai più intricata di quanto non appaia in chiaro, è uno spaccato della classe dirigente di questo Paese, degli intrecci tra politica e affari, della palude in cui ci troviamo. Ora bisogna sapere che la Fondazione Monte Paschi, è di fatto un grande elemosiniere della politica locale e nazionale e forse proprio per questo non ha un soldo in cassa: quindi non è in grado di affrontare alcun aumento di capitale. Se questo fosse stato deliberato per gennaio come prospettato da Profumo, oggi di fatto dimissionario, la sua quota azionaria sarebbe scesa vertiginosamente con la perdita del controllo della banca, specie se poi fossero comparsi azionisti stranieri, come erano quelli (Ubs in testa) trovati dal consiglio di amministrazione. Verrebbe così compromesso il suo ruolo di cinghia di trasmissione fra Siena, la politica nazionale, in particolare piddina, ma non solo perché partecipa attivamente anche il Pdl e i suoi apparati o personaggi di spicco fuori e dietro le quinte.
Vade retro dunque. Meglio un rinvio per vedere se sia possibile un qualche grottesco marchingegno, vale a dire restituire i soldi dei cittadini chiedendo un prestito di 4 miliardi alla Cassa depositi e prestiti, cioè sempre con i soldi dei cittadini. Un vero pasticcio che comunque o potrebbe portare a una nazionalizzazione di fatto (se la banca non potrà ripagare i Monti bond, dovrà cedere azioni al ministero dell’economia che così diventerebbe proprietario di una quota variabile dal 16 al 28 per cento del Monte Paschi) oppure essere acquista per quattro soldi da un forte istituto di credito europeo, vista la quasi certa caduta delle azioni.
Ma chi dirige la Fondazione che ha deciso di affrontare questi rischi e di farli affrontare al Paese pur di non perdere la primogenitura? Antonella Mansi, ennesima figlia di papà proiettata nella stratosfera della classe dirigente come jolly utile a “segnare il territorio”: oggi è vicepresidente di Confindustria nazionale (con delega all’organizzazione) dopo essere stata, giovanissima, presidente di confindustria Toscana. E’ anche presidente di Sipi e Aedificatio due aziende partecipate al 100% dall’organizzazione degli industriali. Questo dopo aver annunciato al momento della suo insediamento che avrebbe dato le dimissioni dalle cariche confindustriali . Insomma è evidente che proprio quelli che straparlano di meriti, che svergognatamente si infarinano nella retorica della stessa barca, che recitano il paternoster al dio mercato, che incitano allo smantellamento del welfare e il meno Stato possibile, hanno le mani in pasta nel tentativo di conservare assetti opachi tra politica, industria e finanza, che niente hanno a che vedere con la religione ufficiale e il suo catechismo. E nei quali alla fine è proprio lo Stato, vale a dire i cittadini, che paga il conto per tutti: solo che in questo caso i grandi delocalizzatori e globalizzatori invocano l’italianità. Ma che andassero a montepascolare.

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