domenica 19 gennaio 2014

Landini-Camusso, ormai è guerra aperta di Antonio Sciotto, Il Manifesto

Lo strappo sulla rappresentanza. La rottura al direttivo. Il leader Fiom: «Cgil senza democrazia, quell’accordo non è vincolante». L'intesa viene approvata, ma adesso la segretaria è molto contestata. I metalmeccanici non applicheranno il nuovo testo nelle imprese. Nicolosi: «Le sanzioni sono un freno ai delegati e al diritto di sciopero»
Un testo che limi­terà for­te­mente l’agibilità sin­da­cale, soprat­tutto quella dei dele­gati: quello appro­vato ieri sera dal diret­tivo Cgil – con 95 sì, 13 no e 2 aste­nuti – è una spe­cie di «mostro modi­fi­cato» rispetto all’accordo chiuso con le imprese il 31 mag­gio scorso, e la Fiom ha già annun­ciato che non lo applicherà.
L’orrido «ogm sin­da­cale» è stato par­to­rito il 10 gen­naio, die­tro l’insistenza della Con­fin­du­stria, soste­nuta da Cisl e Uil, che ha pre­teso di intro­durre alcune novità chiave: e Susanna Camusso, rima­sta iso­lata, ha scelto di accet­tare e fir­mare. Nel nuovo testo sono stati inse­riti per ben 5 volte i ter­mini «san­zione» e «san­zio­nare» (ine­si­stenti nella ver­sione pre­ce­dente), men­tre si è pre­vi­sto che in attesa (e in assenza) dei con­tratti nazio­nali che que­ste san­zioni dovranno sta­bi­lire, sarà un col­le­gio arbi­trale (for­mato da rap­pre­sen­tanti delle con­fe­de­ra­zioni e delle imprese) a sta­bi­lire appunto le “puni­zioni” per chi non rispetta gli accordi. Un atten­tato, quindi, all’autonomia delle categorie.
Le pro­te­ste più forti sono venute dal segre­ta­rio della Fiom Mau­ri­zio Lan­dini, da Gianni Rinal­dini e dal segre­ta­rio con­fe­de­rale, coor­di­na­tore di Lavoro Società, Nicola Nico­losi. «Si è creata una frat­tura forte nella Cgil, e adesso sicu­ra­mente tutto il con­gresso verrà assor­bito da que­sto con­tra­sto sulla rap­pre­sen­tanza», spiega Nico­losi. Ieri sera dun­que si è rotta defi­ni­ti­va­mente la tre­gua, siglata fir­mando lo stesso docu­mento di mag­gio­ranza, tra Mau­ri­zio Lan­dini e Susanna Camusso, e i pros­simi mesi non saranno facili.
Per­ché Lan­dini a que­sto punto ha deciso di andare per la pro­pria strada, annun­ciando che «per la Fiom, non essen­doci il voto dei lavo­ra­tori, quell’intesa non è da rite­nersi vin­co­lante»: quindi non verrà appli­cata nelle imprese dove la Fiom è pre­sente. Dall’altro lato, Camusso, che ha fatto dell’unità sin­da­cale il suo man­tra, si tro­verà schiac­ciata tra Confindustria-Cisl-Uil da un lato, e le pro­prie tute blu dall’altro: e tro­vare la sin­tesi, assi­cu­rare la pax che ha garan­tito finora, tanto più con la crisi che non accenna a finire e un con­te­sto poli­tico ancora con­fuso e mag­ma­tico, non sarà facile.
Lan­dini ieri ha attac­cato Camusso fron­tal­mente, senza peli sulla lin­gua, accu­san­dola di non gestire la Cgil in modo demo­cra­tico, e di «aver messo il diret­tivo della Cgil di fronte a un testo già fir­mato». «Il modo in cui è stata gestita la vicenda è grave – ha detto il lea­der dei mec­ca­nici – per­ché non si mette il diret­tivo della Cgil di fronte a un accordo già fir­mato». E «fin­ché sono il segre­ta­rio della Fiom non accetto che qual­cuno al mio posto, sulla mia testa, fac­cia degli accordi senza met­tere nelle con­di­zioni gli iscritti e i dele­gati di poter intervenire».
Tutto que­sto, ha aggiunto, «vuol dire che c’è anche un pro­blema di demo­cra­zia nella Cgil, si rende evi­dente che c’è una crisi demo­cra­tica del nostro sin­da­cato». «Io – ha spie­gato – sono pie­na­mente den­tro le regole e lo sta­tuto Cgil, ne chiedo l’applicazione. Non è demo­cra­tico fir­mare un accordo e poi dire a tutti “ditemi di sì” per­ché altri­menti c’è la fidu­cia sul segre­ta­rio. Non si gesti­sce così un’organizzazione».
L’attacco a Camusso, da parte di un segre­ta­rio che ha sem­pre gestito i rap­porti Fiom-Cgil con cau­tela e diplo­ma­zia, è senza pre­ce­denti. Lan­dini, negando davanti ai gior­na­li­sti di voler uscire dalla Cgil – «Non ho nes­suna inten­zione di andare via, per­ché la Fiom è la Cgil» – ha chie­sto di sot­to­porre il testo a refe­ren­dum. «Ma – ha con­cluso – la pro­po­sta di Camusso è che decide il diret­tivo e non c’è alcuna con­sul­ta­zione. Anzi ci sono le assem­blee infor­ma­tive di Cgil, Cisl e Uil da orga­niz­zare. I lavo­ra­tori però per me devono poter deci­dere su quello che li riguarda, non solo ascoltare».
Sulla stessa linea, Nicola Nico­losi, la cui area Lavoro Società (18 per­sone) ha deciso di non par­te­ci­pare al voto: «Lo abbiamo fatto per­ché non rico­no­sciamo nean­che la legit­ti­mità di un voto simile, dove si chiede pra­ti­ca­mente di dire sì a deci­sioni già prese: impe­den­doci così di discu­tere del merito, e ridu­cendo tutto a un voto di fidu­cia sul segre­ta­rio gene­rale», spiega. Oltre ai 18 di Lavoro e società, man­cano all’appello altri 52 voti (il totale dei mem­bri del diret­tivo è di 180 per­sone, i 13 no sono quelli della Fiom). «Almeno una cin­quan­tina di per­sone della mag­gio­ranza per un motivo o per l’altro non hanno votato – dice Nico­losi – E se fossi il segre­ta­rio gene­rale, mi chie­de­rei dove sono finiti».
Il ter­reno sotto Susanna Camusso, insomma, è diven­tato rovente. E sep­pure la gran parte dei segre­tari di cate­go­ria l’appoggi, non è escluso che il con­gresso adesso si pola­rizzi, gra­zie al forte impatto media­tico di Mau­ri­zio Landini.
E sul merito? Del col­le­gio arbi­trale, si è già detto: Lan­dini sicu­ra­mente non ha gra­dito che a giu­di­care del com­por­ta­mento delle sue strut­ture e dei suoi dele­gati, pos­sano essere i con­fe­de­rali, seduti allo stesso tavolo con mana­ger e imprenditori.
Quanto alle san­zioni (pre­vi­ste per chi non rispetta gli accordi fir­mati: sia il lavo­ra­tore, che la sua sigla sin­da­cale, che l’impresa), Nico­losi dice che «così si ini­bi­sce l’attività dei dele­gati, il diritto di scio­pero. Si met­tono paletti e buro­cra­zia su quello che dovrebbe essere spon­ta­neità e movi­mento. Ci stiamo ammaz­zando da soli: senza dele­gati il sin­da­cato è desti­nato a sparire».
Cremaschi: "Landini, quell'accordo distrugge il sindacato. Passa all'opposizione!"
Noi che nel congresso CGIl sosteniamo il documento alternativo "Il sindacato è un'altra cosa" non abbiamo partecipato al voto nel direttivo convocato per approvare l'accordo sulla rappresentanza.
Abbiamo fatto questa scelta perché consideriamo quell'accordo una violazione dello statuto della Cgil. Per questo, come abbiamo dichiarato in quella sede, ricorreremo alle vie formali: né la segreteria né il direttivo hanno il potere di non rispettare o di cambiare nei fatti lo statuto dell'organizzazione.
Siamo stati accusati e diffidati perché abbiamo detto che quell'accordo è incostituzionale. Ma la sostanza è che con la sentenza di luglio la Corte Costituzionale ha affermato che non si possono condizionare la rappresentanza e i diritti sindacali all'obbligo della firma degli accordi. E ancora di più che i lavoratori hanno diritto a scegliere liberamente chi li deve rappresentare. L'accordo sulla rappresentanza nega queste principi, come definirlo se non incostituzionale?
Ma non solo per questo motivo si viola lo statuto della Cgil. Le procedure di decisione e arbitrato sull'attività sindacale, le sanzioni anche pecuniarie per le strutture e i lavoratori che fanno i delegati, le regole e lo spirito dell'intesa sulla rappresentanza violano lo spirito e le norme della costituzione democratica della Cgil.
Si costituisce un sistema sindacale aziendalista e al tempo stesso centralizzato in forma autoritaria, le autonomie delle categorie e i diritti democratici degli iscritti sono tutti sottoposti al controllo di conformità all'accordo. La Cgil, se applica l'accordo, deve non rispettare il proprio statuto. Per questo contestiamo la legittimità di tutte le decisioni prese e andremo fino in fondo nel farlo.
L'intesa del 10 gennaio ha provocato l'esplosione della maggioranza che da poco si era presentata assieme nel congresso. Ricordiamo la retorica con cui si era presentato il congresso come "unitario", noi sola opposizione eravamo troppo pochi e senza potere per essere semplicemente presi in considerazione
Poi l'11 gennaio puf... tutto questo non c'è più stato.
Nel direttivo nazionale Susanna Camusso e Maurizio Landini si sono affrontati con una durezza rara. E con accuse che se portate avanti coerentemente non possono che mettere reciprocamente in discussione il ruolo e la persona.
Landini è arrivato ad affermare che non rispetterà le decisioni del direttivo e siamo d'accordo, abbiamo subito sostenuto che a questa intesa si disobbedisce, che nostro primo compito è farla saltare rendendola inapplicabile. Tuttavia non possiamo non cogliere due grandi contraddizioni nella posizione del segretario della Fiom.
La prima, sulla quale ha giocato Susanna Camusso, è che l'intesa del 10 gennaio applica quella del 31 maggio scorso. Certo la applica nel modo più brutale, ma la applica. Se qualcuno ha voglia di andare a leggere ciò che scrivevamo allora per dire no, troverà gli stessi giudizi che usa Landini per l'accordo di oggi. Eravamo veggenti, Cassandre? No, quelli erano principi negativi già chiari e ora si son tradotti in regole capestro. Forse Landini pensava di condizionare la trasformazione di quei principi in regole, ma non ci è riuscito ed è incomprensibile e insostenibile che continui ad affermare che il 31 maggio era buono e il 10 gennaio no. È una posizione che non sta in piedi.
La seconda contraddizione è che non si può dire che non si accettano le decisioni del direttivo, giustamente lo ripetiamo, e poi continuare a far parte della maggioranza.
La Fiom nazionale ha sospeso i congressi e svolgerà assemblee di delegati. Poi pare che Landini e la sua area abbiano intenzione di presentare emendamenti contro l'accordo, emendamenti al documento firmato da Susanna Camusso. Ma scherziamo?
Si afferma, giustamente, che è in discussione la democrazia in Cgil e poi tutto questo si traduce in una nuova postilla al documento Camusso?
Non chiediamo a Landini di venire nel documento alternativo, anche se non siamo degli appestati. Rompa lui con il documento che in premessa esalta l'accordo del 31 maggio e passi lui, nei suoi modi, all'opposizione in Cgil. Faccia questa scelta e noi troveremo il modo di fare una battaglia comune, passando sopra a tutte le cattiverie che abbiamo subito. Ma rompa sul serio e prima di tutto ritiri la firma dal documento Camusso.
Presentare ora agli iscritti il documento di maggioranza come se niente fosse, mentre i leader di quella maggioranza si dividono e scontrano sulla natura stessa della Cgil, non sarebbe solo un intollerabile inganno, ma una scelta poco seria.
Per quanto ci riguarda, il consenso superiore a qualsiasi previsione che sta raccogliendo il nostro documento ci fa dire che abbiamo imbroccato la strada giusta. E andremo avanti ad organizzarci e a lottare.

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