giovedì 27 febbraio 2014

Il partito padronale


18d41385897d068bc5cea7bada40266e-kwfC-U10202802234337jS-568x320@LaStampa.itCom’era prevedibile anche il Movimento 5 Stelle sta facendo i conti in questi giorni con la peggiore malattia della democrazia italiana, il partito padronale. I quattro parlamentari espulsi dai M5S non hanno violato alcuna regola del movimento, non hanno votato contro una proposta grillina, non hanno trafficato per ottenere una poltrona dal nuovo governo, non hanno rubato né si sono macchiati di comportamenti immorali. Semplicemente, i quattro hanno osato criticare la performance di Beppe Grillo da Matteo Renzi. Una critica non solo legittima, ma doverosa. L’atteggiamento di Grillo nei pochi minuti di consultazione con il premier incaricato era di un’arroganza insopportabile. Non solo e non tanto al cospetto di Renzi, del quale potremmo serenamente infischiarcene, ma nei confronti dei militanti 5 Stelle, i quali avevano chiesto con un referendum online che il leader accettasse di partecipare alle consultazioni.
Ora, Grillo avrebbe potuto benissimo decidere da solo di non andarci. Ma siccome è schiavo di tutta una retorica per cui lui sarebbe un semplice portavoce in un movimento dove «uno conta uno», ha finto di affidare la decisione a una consultazione. Una volta ottenuto un risultato a lui non gradito, il sì all’incontro con Renzi, il capo ha deciso comunque di fregarsene in maniera plateale, come tutti hanno potuto vedere. Qualunque parlamentare grillino dotato di un minimo di dignità avrebbe dovuto protestare contro un simile disprezzo della democrazia interna. L’hanno avuta soltanto quattro. Per questo coraggio oggi il padrone li fa mettere alla porta dai servi.
È una storia vissuta cento volte in questi venti anni, da quando la discesa in campo di Berlusconi ha inaugurato la stagione dei partiti padronali. E stavolta non dobbiamo prendercela con la casta, stavolta la colpa è tutta nostra, di noi italiani, sempre contenti di votare a destra, a sinistra, oppure «né a destra né a sinistra», partiti che hanno per unica ideologia un nome e un cognome. Sono passati vent’anni di disastri e ancora la schiacciante maggioranza degli italiani crede alla colossale panzana che un uomo solo al comando possa garantire più efficacia, decisionismo e magari trasparenza.
In questi vent’anni i nuovi partiti padronali si sono rivelati assai meno decisionisti dei vecchi e finanche più corrotti. Hanno garantito una penosa selezione del personale politico, miracolando corti familiari o personali d’infimo livello. In qualsiasi Paese un simile, clamoroso fallimento avrebbe provocato una totale inversione di rotta. Invece da noi, la giusta ribellione che cosa ha prodotto? Un partito ancora più padronale degli altri, dove il proprietario ha addirittura depositato il marchio alla camera di commercio e il partito gli serve anche (o soprattutto?) per vendere la pubblicità sul blog, sempre di sua proprietà. Non è comico, è grottesco.
Non sorprende dunque che alcune ottime persone, appassionate e in buona fede, finite quasi per caso nel mazzo dei maggiordomi di turno, si ribellino contro il padre e padrone del movimento. Stupisce semmai che siano così poche. I dissidenti sono quattro, i solidali un’altra decina, quelli disposti a lasciare il movimento se verranno espulsi i primi, un’altra dozzina. Ma dev’essere frustrante anche per buona parte degli altri 120 parlamentari grillini rendersi conto, giorno dopo giorno, d’essere ostaggi della semplice mania di grandezza di un leader. Grillo non vuole cambiare nulla in questo Paese, come tutti i padroni di partito che l’hanno preceduto, da Bossi e Berlusconi a Bertinotti e Di Pietro. L’unico scopo di tutti lor signori è sfruttare le disgrazie per ottenerne vantaggi.
Se Grillo avesse voluto cambiare l’Italia, avrebbe partecipato all’elezione di un presidente della Repubblica contrario alle larghe intese. Se poi avesse voluto abbattere davvero le larghe intese, l’avrebbe già ottenuto cercando in Parlamento alleanze su singole leggi e su sacrosante battaglie, come quella contro l’acquisto degli F35 o i diritti civili, che avrebbero inevitabilmente portato a separare la sinistra dalla destra. Se volesse cambiare l’Italia, Grillo oggi parteciperebbe al processo di riforma istituzionale, dalla legge elettorale all’abolizione del Senato, mettendo in seria crisi il patto di ferro fra Renzi e Berlusconi.
Ma Grillo e Casaleggio sanno benissimo che qualsiasi scelta in positivo comporterebbe una perdita di consenso, a destra o a sinistra, come dimostra la vicenda dello ius soli, mentre una protesta generica contro la casta si continuerebbe a vendere benissimo sul mercato alla più vasta clientela possibile. Si tratta di un calcolo molto cinico e quindi, per come funziona l’Italia, esatto. Senza aver portato un solo risultato a casa in un anno intero e con un esercito di 156 parlamentari a disposizione, il M5S otterrà di sicuro un grande risultato alle elezioni europee di maggio. Il che è del tutto inutile al Paese, ma assai vantaggioso per la Grillo&Casaleggio spa.
Questo non toglie che le brave persone, gli onesti parlamentari grillini, si ribellino a un simile scempio della volontà popolare. I giornalisti al seguito, una categoria fiorita negli ultimi tempi intorno a Grillo come a chiunque altro abbia acquistato potere politico, sostengono che Orellana e compagnia siano in procinto di ottenere poltrone dal nuovo governo. Penso si tratti di un’infamia lanciata contro chi dimostra un minimo di spirito critico. È probabile che Orellana e compagni non entreranno nel governo Renzi e neppure nella maggioranza, anzi si dimetteranno come hanno fatto altri bravi e onesti militanti pentastellati prima di loro, offesi e delusi, lasciando il campo agli opportunisti. Se sarà così, onore a loro.
CURZIO MALTESE
da la Repubblica

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