sabato 15 febbraio 2014

John, Elkann di Torino Di ilsimplicissimus


Messa di commemorazione per il decimo anniversario della morte dell' avvocato Giovanni Agnelli
Fino alla fine degli anni ’80 i giovani ricchi, i rampolli dei potenti, gli enfant gaté toccati dalla buona sorte di nascere in famiglie di censo e di peso, conservavano almeno la dignità del silenzio. Sapevano che i loro soldi, le loro cariche, la loro facile vita era l’incarnazione dell’ingiustizia sociale, della negazione del merito e cercavano in tutti i modi darsi arie da persone normali. Poi man mano che il pensiero unico instillava l’idea che l’ingiustizia è giusta, hanno cominciato a dimenticarlo e nel primo decennio del nuovo secolo hanno perso le inibizioni e hanno preso a ostentare disprezzo nei confronti di chi non ce la faceva, come se il fatto di essere nati già oltre il traguardo fosse dovuto a un diritto divino.
Ora mi chiedo che fine avrebbe fatto l’esile e scolorito John Elkann, imprenditore di carta velina se il vecchio Giovanni e il fratello Umberto non lo avessero scelto come erede della Fiat, come il meglio in una platea di stuporosi e inetti  discendenti, mettendogli vicino anche la badante canadese di nome Marchionne perché pensasse lui alla roba e ai soldi di famiglia. Cosa sarebbe se non fosse il frutto delle comprensibili attenzioni di un bel ami svogliato e nullafacente come Alain Elkann nei confronti Margherita Agnelli? Dubito che sarebbe divenuto a 21 anni membro del consiglio di amministrazione della Fiat o che parecchi anni dopo si sarebbe preso uno straccio di laurea in ingegneria gestionale, guarda caso a Torino che per un membro della casa reale cittadina è comparabile alla laurea albanese del Trota: quale docente avrebbe osato fargli ridare un esame? O si sarebbe rifiutato di scrivere un’ acconcia tesi?  Può anche darsi che oggi aspirerebbe a fare i turni estivi alle poste, con il capufficio che si lamenta per quella zazzera incongrua, mentre il fratello Lapo figurerebbe nelle segnalazioni dell’Interpol.
Ma il faticoso eloquio di questo folgorante self made man si è attardato ieri in profonde considerazioni sul lavoro, rivelando tutto l’acume tenuto nascosto per  una spontanea tendenza alla modestia: «Il lavoro c’è ma i giovani non sono così determinati a cercarlo – ha detto Elkann – Se guardo a molte iniziative che ci sono, non vedo in loro la voglia di cogliere queste opportunità perché da un lato non c’è una situazione di bisogno oppure non c’è l’ambizione a fare certe cose. Ci sono tantissimi lavori nel settore alberghiero e c’è tantissima domanda di lavoro ma c’è poca offerta perché i giovani o stanno bene a casa o non hanno ambizione. Certo, io sono stato fortunato ad avere molte opportunità, ma quando le ho viste ho saputo anche coglierle». 
Capisco che la mancanza di cameriere ai piani degli hotel a mille stelle possa irritare un lavoratore come lui, ma quel che è giusto è giusto:quando a 18 anni gli hanno fatto sapere di far parte della famiglia più ricca ricca e potente d’Italia, lui ha colto l’occasione. Praticamente un genio. Su una cosa ha ragione però: se non fosse per il welfare familiare che ancora riesce a tenere il coperchio della pentola pressione italiana, i giovani sarebbero molto più attivi e molto più incazzati. E credo che si troverebbe molto lavoro nel settore calci in culo a John Elkann e ai grassatori di diritti e civiltà.

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