giovedì 20 febbraio 2014

Le fiamme dell’Ucraina di Tommaso Di Francesco

18est2-RUSSIA-ucraina-incontro-EUROBONDSLa san­gui­nosa paro­dia dell’89 in onda in Ucraina va letta alla luce di quel che resta dell’ideologia — «falsa coscienza» — euro­pea dopoil crollo del Muro di Ber­lino, di quel che rimane delle offerte che arri­va­vano da occi­dente alle capi­tali dell’Europa orien­tale del socia­li­smo rea­liz­zato, imploso e irri­pro­po­ni­bile. Quella sto­rica fine, mate­riale, sociale e poli­tica, ha accom­pa­gnato signi­fi­ca­ti­va­mente l’inizio della costru­zione dell’Europa unita e delle sue promesse.
Ben poco resta dell’ideologia post-89? Ognuno dei paesi euro­pei costi­tu­tivi o in seguito diven­tati mem­bri dell’Unione, ha vis­suto e vive una cogente scon­fitta delle vaste pro­messe rac­con­tate a ovest e ad est. L’Europa fin qui è solo una moneta, per soprav­vi­vere è in con­flitto inte­stino, divisa tra paesi vir­tuosi e viziosi, con trat­tati gene­rali e poli­ti­che isti­tu­zio­nali e di governo che difen­dono gli inte­ressi finan­ziari e depri­mono, fino alla mise­ria, le popo­la­zioni. Ridu­cendo le poli­ti­che di governo a gover­na­bi­lità, san­zio­nando le costi­tu­zioni, cen­tra­liz­zando in modo auto­ri­ta­rio le poli­ti­che di spesa e avviando nuovi tagli al wel­fare e una nuova ven­tata di pri­va­tiz­za­zioni (incu­ranti del fal­li­mento di quelle pre­ce­denti). Senza dimen­ti­care che tutto que­sto post-89 non è acca­duto «con la pace», per­ché l’Europa ha uti­liz­zato la guerra, attra­verso la Nato, per com­pat­tarsi, fin da subito, come dimo­stra il caso dei Bal­cani e solo sei anni fa, nel 2008, con la crisi in Georgia.
Ormai, l’Est Europa, avve­duta e riot­tosa alle pro­messe euro­pee, da tempo ha avviato un nuovo rap­porto con l’ex nemico diven­tato Rus­sia; e diret­ta­mente con gli Stati uniti.
Che usano l’opportunità come una spina nel fianco dell’Unione euro­pea. Ricor­date il con­corso di tutti i paesi dell’est, con­tro il parere dei lea­der del vec­chio con­ti­nente, alla guerra di Bush in Iraq nel 2004?
Richiama que­sto il pre­ci­pi­zio sulla guerra civile dell’Ucraina. Per­ché si è arri­vati a que­sto punto di non ritorno? Esat­ta­mente per­ché l’Unione euro­pea nel vor­tice della sua crisi eco­no­mica e poli­tica den­tro l’esplosione della crisi finan­zia­ria glo­bale ha dimesso, con quella interna, la sua attra­zione esterna, ridu­cendo a buro­cra­zia i prin­cìpi d’allargamento pro­get­tuale. E infatti, com’è pos­si­bile pro­porsi come refe­rente se quel che si offre è una Europa solo mone­ta­ria che esclude e sot­to­mette, e non una realtà sovra­na­zio­nale soli­dale come pro­messo? Que­sta è l’Europa real­mente rea­liz­zata. È a que­sta Europa che il movi­mento di Maj­dan a Kiev e in tutta l’Ucraina dice di voler ade­rire ad ogni costo? È insomma cre­di­bile che esi­sta una tale riven­di­ca­zione a fronte di una realtà visi­bil­mente respin­gente? Nella con­sa­pe­vo­lezza che un’adesione vor­rebbe dire costi sociali aggiun­tivi e insop­por­ta­bili per un Paese diviso tra est e ovest, tar­tas­sato da tagli al wel­fare e sotto la scure del Fmi?
Si fa par­tire l’origine del con­flitto ucraino dal rifiuto alla richie­sta di ade­sione all’Ue arri­vata da Bru­xel­les, rifiuto pro­nun­ciato del pre­si­dente Vik­tor Yanu­ko­vich, in realtà impe­gnato a bar­ca­me­narsi tra Mosca e Bru­xel­les, e del governo ucraino — demo­cra­ti­ca­mente eletti con cer­ti­fi­ca­zione degli osser­va­tori inter­na­zio­nali Ue, ricor­dano Gor­ba­ciov e Lech Walesa. Ma quale offerta ha fatto la Ue per con­vin­cere quel governo riot­toso che chie­deva soste­gno alla sua crisi dram­ma­tica di fronte alle prof­ferte che veni­vano da Mosca? Bru­xel­les ha offerto le sue «magni­fi­che sorti e pro­gres­sive», vale a dire nulla se non peg­gio, defi­nendo lon­tani calen­dari di ade­sione e mostrando solo le sue pro­prie di dif­fi­coltà eco­no­mi­che e divi­sioni. È stato così e per rea­zione a que­sto rifiuto, che il governo legit­timo di Kiev ha chie­sto e otte­nuto un pre­stito di 13 miliardi, più 2 di sconto sulle impor­ta­zioni di gas, dall’uomo forte di Mosca, Vla­di­mir Putin. Che, certo, è inte­res­sato a pre­ser­vare la lea­der­ship russa ma non nei Caraibi, ai suoi con­fini e per una realtà per buona metà russa a tutti gli effetti.
E comun­que le istanze filo-europeiste erano così stru­men­tali che infatti si sono subito dis­solte al sole. A piazza Maj­dan è emersa, den­tro la pro­te­sta ini­zial­mente sociale, l’anima nazio­na­li­sta estrema ormai fuori con­trollo, con al cen­tro il nucleo forte e orga­niz­zato dei movi­menti di estrema destra, anti-russi come prima anti­so­vie­tici, che esal­tano la figura mitica del lea­der Ban­dera, l’alleato dei nazi­sti nella Seconda guerra mon­diale. A Kiev non c’è pur­troppo Occupy Ucraina in piazza, né Siryza capace di fare muro con­tro Alba dorata. Anzi, l’impressione è che lì sia nato un movi­mento anta­go­ni­sta pro­prio alla sini­stra euro­pea e stru­mento di con­di­zio­na­mento a vario titolo in mano ai governi occi­den­tali e alla Com­mis­sione Ue. Men­tre si ripe­sca l’icona di Julia Timo­shenko, dimen­ti­cando che non è una dis­si­dente poli­tica ma una oli­garca mafiosa, zarina del gas ucraino, in galera per­ché, quando era al potere ha favo­rito gli inte­ressi russi per fini di arric­chi­mento per­so­nale nelle trat­ta­tive con Putin sui costi dell’energia.
Ora sulla bar­ri­cate i plo­toni para­mi­li­tari inneg­giano all’Europa e di fronte a tanta richie­sta — si lamen­tano in troppi — l’Europa «sta a guar­dare» e non corre a «morire per Kiev». Pro­vate ad eri­gere una bar­ri­cata o tende a Time Square. Lo ha fatto Occupy e gli arre­sti sono stati centinaia.
Intanto non sta a guar­dare l’America. Dura da dicem­bre il tour su piazza Maj­dan dei sena­tori repub­bli­cani e soprat­tutto di John McCain, ex can­di­dato alla pre­si­denza Usa, che non ha esi­tato ad incon­trare i peg­giori lea­der anti­se­miti pro­vo­cando la dura rea­zione della comu­nità ebraica ame­ri­cana. E dalla con­fe­renza sulla sicu­rezza euro­pea John Kerry ha lan­ciato il suo «incon­di­zio­nato appog­gio» alla pro­te­sta, dopo avere rice­vu­toa Monaco l’ex pugile Vitali Kli­schko — il cui par­tito Udar è finan­ziato dalla Fon­da­zione Ade­nauer legata alla Cdu — e l’ex mini­stro ed ex capo della Banca nazio­nale Arse­nij Yatse­nyuk, il fedele ese­cu­tore di Julija Timo­shenko, la nemica giu­rata di Vik­tor Yushenko, il vero lea­der della «Rivo­lu­zione aran­cione». Il popolo di Maj­dan grida, con qual­che ragione, che Yanu­ko­vitch è un «oli­garca cri­mi­nale»: ma che altro sono se non oli­gar­chi cri­mi­nali della stessa pasta molti dei lea­der dell’opposizione che ormai non rie­scono più a con­trol­lare le forze d’estrema destra che hanno evo­cato, quelle che si armano, spa­rano e attac­cano le sedi isituzionali?
Con un occhio ven­di­ca­tivo al caso Sno­w­den, già sono all’esame san­zioni diplo­ma­ti­che Usa (ecco che torna il modello ex Jugo­sla­via). Yanu­ko­vich ha fatto il resto, prima avviando leggi liber­ti­cide — molto simili a quelle di Mosca ma altret­tanto liber­ti­cide di quelle dell’europeissima Unghe­ria — sulla proi­bi­zione di mani­fe­stare e poi ha fatto mar­cia indie­tro: ha riti­rato le leggi oppres­sive, ha dimis­sio­nato il governo Aza­rov e alla fine ha con­cesso l’amnistia a tutti i dimo­stranti arre­stati. Nono­stante que­sto il Paese, con le sto­ri­che con­trap­po­si­zioni tra l’est e l’ovest, è ormai sul bara­tro della seces­sione e aspetta la pro­cla­ma­zione dello stato d’emergenza. Un pre­ci­pi­zio pro­pi­zio: l’Occidente e gli Stati uniti non hanno altro modello che l’ex Jugo­sla­via, quello del divide et impera, da appli­care al resto del mondo. Già i pro­ta­go­ni­sti euro­pei del disa­stro jugo­slavo sof­fiano sul fuoco: da Carl Bildt alla Ger­ma­nia che riceve l’opposizione — dele­gata da chi a rap­pre­sen­tare l’Ue? — e minac­cia san­zioni. Oggi sulla crisi ucraina si aprirà il ver­tice dei mini­stri degli esteri Ue. Il déjà vu è pronto. A Maj­dan è pure pas­sato Ber­nard Henry-Lévy. A quando i bom­bar­da­menti della Nato?

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