giovedì 27 marzo 2014

I dati sul fisco richiedono un'abbattimento delle diseguaglianze di Alfonso Gianni, www.huffingtonpost.i


A Mauro Moretti, il flemmatico Amministratore delegato delle Ferrovie dello stato proveniente dalla segreteria della Cgil trasporti - carriera disinvolta come si vede - che non vuole rinunciare ai suoi 873mila euro di stipendio annuo, anzi li ritiene insufficienti perché il suo è "il lavoro più duro" in un'azienda così difficile da governare, potrebbe fare bene leggere con attenzione le cifre diffuse ieri dal Dipartimento delle Finanze relative all'anno di imposta 2012.
Si accorgerebbe che il reddito medio dichiarato dagli italiani è pari a 19.747 euro annui; che i lavoratori dipendenti, dal momento che non possono evadere, si collocano poco sopra questa media con circa 20.200 euro annui; che la folta schiera di imprese autonome individuali e senza dipendenti, commerciali o artigiane, dichiarano meno di questi ultimi, in media 18.844 euro, evidenziando così una smaccata tendenza all'evasione fiscale che purtroppo nel nostro paese è molto diffusa, oltre a trovare luoghi di massima concentrazione in alcune grandi imprese (tanto è vero che in contabilità semplificata dichiarano 16.380 euro, mentre in quella ordinaria, ove devono dichiarare in modo molto più dettagliato, raggiungono i 27.710 euro); che il mondo dei professionisti - avvocati, notai, medici, commercialisti ecc. - dichiara in media quasi 36 mila euro, ma l'80% di loro sta sotto i lavoratori dipendenti con meno di 20 mila euro. Insomma siamo di fronte ad una realtà nella quale l'evasione fiscale rappresenta un tratto caratteristico del caso italiano, essendo di diversi punti superiore ai paesi più forti dell'Unione europea. Malgrado gli sforzi avviati in modo particolare da Vincenzo Visco durante il secondo governo Prodi, l'obiettivo di una riduzione sensibile della evasione fiscale che permettesse di ridurre la pressione fiscale effettiva su chi invece le tasse le paga tutte e di abbattere questo differenziale negativo e poco onorevole con il resto dell'Europa, è ben lontano dall'essere raggiunto.
L'altro tema su cui Moretti e gli altri super pagati manager dovrebbero riflettere è la crescente polarizzazione dei redditi nel nostro paese, di cui proprio loro sono i protagonisti nella parte alta della forbice. E' vero che questo non è un fenomeno solo italiano. Anzi, come dimostrano accurate analisi economiche, come quelle di Thomas Piketty, di Emmanuel Saez, del gruppo dell'Università di Gottinga che continua il grande lavoro di studio sulla storia pluricentenaria del capitalismo mondiale avviato dallo scomparso Angus Maddison, sono proprio le grandi differenze reddituali all'interno dei singoli paesi una delle cause e insieme degli effetti della grande crisi economica mondiale nella quale siamo tuttora immersi.
Ma questa considerazione pur giusta non può assolvere il sistema italiano, ove la differenza da uno a 500, per restare basso, tra la retribuzione di un lavoratore e quella del suo manager è ormai condizione comune, anzi status richiesto e garantito. Infatti Moretti, se gli riducono lo stipendio, minaccia di andarsene, ritenendo tale misura come un insulto alla propria condizione. Come ha scritto in un bel libro di qualche anno fa David Rothkopf, siamo di fronte a una nuova superclass, a una elite globale di dirigenti e di manager che possono contare persino di più dei proprietari effettivi delle imprese. Come del resto aveva previsto persino Karl Marx in un passo del Capitale.
E' inutile girarci attorno. Se si vuole aggredire cause ed effetti della crisi, simili disuguaglianze vanno drasticamente ridotte. Sia dall'alto che dal basso. Ovvero sia riducendo i superstipendi, peraltro non motivati da nessun criterio di produttività e di buon andamento delle imprese, sia dal basso aumentando i redditi di chi lavora. Altro che 80 euro in busta paga promessi da Matteo Renzi, ma pagati attraverso i tagli della spending review di Cottarelli che prevede la cacciata di 85mila lavoratori del pubblico impiego o con il nuovo piano di privatizzazioni di Padoan.
C'e' chi si è arricchito durante questa crisi. Ad esempio quello 0,11% di contribuenti che può dichiarare fra i 200mila e i 300mila euro. Ad esempio tra i possessori di 113 mila abitazioni posizionate all'estero per il valore di 23 miliardi di euro, che sarebbe esattamente la metà di quanto ci costerebbe il rispetto del fiscal compact a partire dal prossimo anno per i venti anni a venire. Non se ne può uscire senza l'istituzione di una patrimoniale soggettiva - non tante "patrimonialine" sulle singole cose - che riguardi tutte le forme di proprietà della persona, siano esse mobiliari quanto immobiliari, con un'aliquota bassa e progressiva tale da non impoverire nessuno, ma nello stesso tempo in grado di assicurare il principio costituzionale che chi più ha maggiormente e proporzionalmente deve contribuire al mantenimento della cosa pubblica.

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