giovedì 27 marzo 2014

I veri obiettivi di Russia e Occidente nella crisi in Ucraina, visti da Mosca di Sergej Kuznecov


I veri obiettivi di Russia e Occidente nella crisi in Ucraina, visti da Mosca
Questo articolo è il tentativo non tanto di commentare un articolo con analogo titolo, recentemente pubblicato su Limesonline, quanto il desiderio da parte di un lettore russo interessato di mostrare al lettore italiano il proprio sguardo sul problema e su determinati stereotipi politici occidentali.
Spero che l'articolo possa aiutare a intenderci meglio l'un l'altro, a capire il rispettivo modo di pensare, le apprensioni politiche, le speranze e a trattare con maggior tolleranza il punto di vista politico della controparte.
Ecco alcuni cliché.
Sulle “ambizioni neo imperiali di Mosca”
Sicuramente molti russi, soprattutto tra le persone più anziane, hanno accettato con profondo rammarico il crollo dell'Unione Sovietica. Oggi però anche loro capiscono che una sua ricostruzione è pura utopia politica. Anche se condizioni politiche esterne favorevoli lo rendessero possibile, il progetto incontrerebbe insormontabili difficoltà dal punto di vista economico. Soprattutto per quanto riguarda le repubbliche ex sovietiche dell'Asia centrale. Possiamo invece parlare di associazioni economiche interstatali sul tipo dell'Unione doganale, al massimo con qualche forma di coordinamento per la politica estera.
Tra le ex repubbliche sovietiche, l'Ucraina occupa per la Russia una posizione del tutto particolare. Kiev è anche conosciuta come “la madre delle città russe”: da essa ha avuto inizio la costruzione dello Stato russo. Metà della popolazione ucraina è russofona, e molti su entrambi i lati del confine comune reputano quello russo e quello ucraino un unico popolo, oggi diviso per equivoco da una frontiera. Sensazioni simili, sembrerebbe, a quelle provate dai tedeschi della Germania Est e Ovest dal dopoguerra fino alla riunificazione.
La Russia è stato uno dei primi paesi a riconoscere l'indipendenza dell'Ucraina. Lo sviluppo di relazione positive, amichevoli ed economicamente vantaggiose tra i nostri paesi sarebbe continuato se non fossero intervenuti fattori geopolitici. Le prime dichiarazioni su un’ipotetica adesione dell’Ucraina alla Nato iniziarono a circolare durante la presidenza Kucma.
Nei circoli politici di Mosca, l’intrusione dell’Occidente negli affari ucraini veniva letta come il tentativo di indebolire la statura geopolitica della Federazione Russa, a livello sia politico sia militare. Molti credono che il coinvolgimento dell’Ucraina nelle strutture euro-atlantiche (e nell'Unione Europea) porterà inevitabilmente allo schieramento di missili Nato al confine con le regioni di Kaluga, Belgorod, Brjansk, Rostov e Orel.
Non bastano le rassicurazioni dell’Ue e degli Stati Uniti, perché i paesi occidentali, in primo luogo gli Usa, dal momento della caduta dell’Urss hanno apertamente contato sulla forza per risolvere le proprie questioni di politica estera, ignorando palesemente le norme del diritto internazionale. Per la leadership russa e per la maggioranza della nostra popolazione, l’Ucraina rappresenta una sorta di Rubicone, una linea rossa che l’Occidente non deve oltrepassare. Se lo facesse, la cosa potrebbe generare conseguenze disastrose nelle relazioni internazionali, senza escludere la soluzione militare.
La situazione può andare rapidamente fuori controllo e arrivare a un aperto confronto militare, scelta che verrebbe considerata ad un certo punto come inevitabile.
Il mito di Yanukovich politico filo-russo
Yanukovich non è mai stato filo-russo. Sia la sua campagna elettorale del 2004 sia quella del 2010 sono state organizzate da un gruppo di consulenti politici americani guidati da Paul Manafort, che coordinavano i loro compiti dall’ambasciata statunitense di Kiev. Yanukovich infatti ha utilizzato come propaganda slogan politici in linea con gli interessi degli ucraini del sud e dell’ovest del paese. Slogan incentrati sullo status della lingua russa e sullo sviluppo dei rapporti con la Federazione Russa, che, una volta diventato presidente, sono stati dimenticati.
Sul carattere “pacifico” di Majdan
Il carattere pacifico è stato soprattutto delle forze dell’ordine, costrette a confrontarsi - armate soltanto di scudi, manganelli di gomma e granate stordenti - con i manifestanti. La situazione non è cambiata neanche quando l’organizzazione estremista Pravyj Sektor ha iniziato a utilizzare cecchini equipaggiati con armi da guerra. Tra le vittime degli scontri si contano soprattutto agenti delle forze dell’ordine, feriti e ustionati dalle molotov dei miliziani.
In nessun paese europeo, tanto meno negli Stati Uniti, queste azioni sarebbero state qualificate come “pacifiche”. Un doppio standard. Il risultato è che di quanto accaduto a Majdan, dopo le dimostrazioni avviate dai partiti moderati, beneficiano ora i neonazisti. Questi, utilizzando truppe d’assalto, minacciando fisicamente deputati e loro familiari hanno costretto il parlamento a decidere per il rovesciamento del presidente legittimo e per l’elezione di un nuovo organo legislativo e di un nuovo presidente della Verchovna Rada, che ancora oggi funge da capo dello Stato. Un parlamento e una leadership che l’Occidente riconosce legittimi e che chiede alla Russia di riconoscere.
Sul rifiuto di Yanukovich di firmare all’ultimo l’accordo con l'Unione Europea
Il ripensamento del presidente ucraino è stato attribuito alle pressioni esercitate su di lui da Vladimir Putin: una ritorsione sotto forma di prestito (l’acquisto di titoli di Stato ucraini per 15 miliardi di dollari americani) e di sconto sui prezzi del gas. A quanto pare un tale accordo è stato effettivamente raggiunto e nell’occasione il presidente russo ha illustrato i problemi che l’economia ucraina avrebbe incontrato dopo la firma con l'Ue: molte aziende avrebbero chiuso per l’impossibilità di reggere la concorrenza con le merci europee. La Russia sarebbe stata costretta a chiudere le frontiere ai prodotti ucraini, il che avrebbe portato ad una forte riduzione del fatturato e a perdite significative per l’economia di Kiev, in larga parte orientata verso il mercato russo.
Yanukovich non ha certo letto tutte le 960 pagine dell’accordo con l'Ue e chi avrebbe potuto spiegargli l’essenza del contratto o si è deliberatamente tirato indietro, o non ha potuto incontrare il presidente o ha avuto paura di farlo, conoscendo il suo carattere. Yanukovich ha invece dovuto ascoltare Putin…
Sulla situazione in Crimea
La questione chiave della vicenda è il riconoscimento della legittimità del referendum per l’autodeterminazione della Crimea e la possibile adesione alla Federazione Russa. Naturalmente il punto di vista dei paesi occidentali e quello di Mosca sulla questione divergono completamente. La Russia si rifà al precedente del Kosovo, quando l’Occidente ne riconobbe l’indipendenza e il diritto degli albanesi all’autodeterminazione. Cosa che le diplomazie occidentali si sono guardate bene dal fare dopo il referendum con il quale gli abitanti della Crimea hanno espresso la loro volontà.
Il Kosovo, hanno sostenuto, è un “caso a sé”, senza però spiegare in cosa consiste la sua particolarità. La Russia, come noto, non riconosce il “precedente kosovaro”, ma ha trovato il modo di utilizzarlo per il riconoscimento dell’indipendenza dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud. E adesso della Crimea. Molti esperti si sono chiesti: perché gli Stati Uniti hanno creato e imposto un precedente così pericoloso per molti di quei paesi europei dove forti resistono sentimenti separatisti? E hanno concordato sul fatto che lo scopo principale della diplomazia americana è quello di indebolire politicamente l’Unione Europea.
In linea con l’obiettivo di fiaccare Bruxelles, principale alleato e serio concorrente sulla scena internazionale in campo politico, economico e finanziario, Washington ha inanellato una serie di iniziative. Tra queste: dislocare in Europa nuovi componenti per lo scudo di difesa missilistica, spingere l'Ue verso un costante allargamento a paesi economicamente depressi, amplificare i contrasti tra i membri europei e la Russia prima in campo politico e adesso, con le sanzioni adottate a seguito della crisi ucraina, anche in campo economico. La normalizzazione dei rapporti politici ed economici tra Ue e Russia in base alle rispettive risorse naturali e tecnologiche è percepita dagli Stati Uniti come una minaccia al proprio status di unico leader globale.
Confrontando la situazione nell'ex Jugoslavia e in Ucraina si riscontra senza dubbio un'interpretazione unilaterale e interessata delle norme del diritto internazionale, che in prospettiva mette in discussione la loro stessa esistenza.
Senza regole chiare, globalmente riconosciute e giuridicamente vincolanti il mondo finirà nel caos, visto che l'alternativa al diritto internazionale può essere solo il ricorso all'uso della forza. Purtroppo il mondo si sta muovendo in questa direzione, cioè verso una nuova guerra mondiale.
Come si giudica in Russia la minaccia occidentale di imporre sanzioni
Politici, media e opinione pubblica si domandano cosa impedisca di unirci alla Crimea politicamente ed economicamente. In questo momento nessuno ha la risposta, viste le innumerevoli variabili da considerare. Certamente, per quanto riguarda le sanzioni gli americani sono pronti ad agire, mentre tra i paesi europei non c'è unanimità al riguardo. La ragione è che non ci sono soltanto i previsti costi economici (per la già debole economia europea), ma anche motivi puramente politici.
Si avvicinano elezioni dalle quali si prevede nell'Unione Europea il rafforzamento delle forze e delle tendenze conservatrici. I loro leader sono meno influenzati dalle scelte americane e più disposti a prendere decisioni di interesse nazionale senza dogmi ideologici da guerra fredda. Un atteggiamento che manterranno durante la campagna elettorale. L'incertezza “variabile” dipenderà da quanto coerentemente i leader conservatori vorranno (o potranno di fronte alla pressione statunitense) mantenere la linea dopo le elezioni. È un'incertezza non di poco conto.
Senza dubbio, l'annessione della Crimea alla Russia non è riconosciuta dalla maggior parte del mondo. Neanche alcuni leader di paesi ex sovietici sono completamente a loro agio su questo punto. Ma non c'è da aspettarsi da loro entusiasmo e approvazione incondizionata, anche se un'unione tra ex repubbliche sovietiche (anche in forma di confederazione) agevolerebbe la risoluzione di molti problemi ancora irrisolti, come ad esempio quello del Nagorno-Karabakh. In molti tentano di non drammatizzare la situazione, anche se saranno imposte sanzioni economiche.
Si ritiene che, al contrario, queste potranno stimolare la soluzione di annosi problemi come la lotta alla corruzione (il deposito in banche occidentali di parte dei capitali russi è quasi sempre una forma di corruzione), l'assenza di incentivi a investire nel paese non solo nel campo delle materie prime, il sostegno alle piccole e medie imprese, e così via. Tutte cose che ben conosciamo e mai affrontate a causa di inerzia mentale e dei facili soldi guadagnati grazie all'export di materie prime e di risorse energetiche.
Sul progetto Ue di firmare con la nuova leadership di Kiev un accordo di associazione politica
Commenti ufficiali su questo punto non sono ancora stati rilasciati, e non sembra registrarsi una particolare preoccupazione da parte russa. La ragione è semplice: lo sviluppo della situazione a Kiev è ancora da decifrare.
Il nuovo governo ucraino mostra sempre più la sua dipendenza dai neonazisti. Cosa che diventa evidente per la popolazione, per le forze di opposizione moderate e per la comunità internazionale. L'economia del paese si trova in una situazione di pre-default (se non di default) dalla quale può uscire soltanto attraverso un rapido ripristino dei deteriorati legami economici con la Russia e con gli altri paesi dell'Unione doganale. Per un certo periodo di tempo, i bisogni di bilancio più urgenti potranno essere soddisfatti attraverso prestiti e aiuti finanziari da parte di paesi occidentali. Ma aiuti del genere non sono salutari per il paese, perché diretti non a rifondarne l'economia ma semplicemente a sostenerne il regime.
La caduta del governo è un problema che si porrà in un futuro prossimo. Il potere che sostituirà l'attuale esecutivo sarà autorizzato a considerarsi libero dall'adempiere agli impegni internazionali sottoscritti dall'Occidente con un regime chiaramente illegale.
da Limes online

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