giovedì 22 maggio 2014

Chi paga gli 80 euro? Quelli che li ricevono — Alberto Burgio, Il Manifesto

Commento. Corruzione, mafia, analfabetismo, bassi salari, immobilità sociale, economia sommersa. Ma soprattutto la piaga dei 270 miliardi di evasione fiscale. Eppure se qualcuno parla di patrimoniale lo prendono per matto
Molte cose si pos­sono dire sugli 80 euro in busta-paga ai quali le forze di governo affi­dano le pro­prie sorti elet­to­rali. Cose giu­ste e anche cose sba­gliate. 80 euro in più al mese non sono – com’è stato detto – una disprez­za­bile ele­mo­sina per l’esercito di lavo­ra­tori poveri che non vede nem­meno da lon­tano un sala­rio pur pre­ca­rio di 5 o 600 euro. Figu­ria­moci che cosa sareb­bero e quali con­cre­tis­simi pro­blemi risol­ve­reb­bero per chi ne mette insieme a stento la metà. Ma chi vanno que­sti soldi e quanti sono veramente?
Sem­bra che ne bene­fi­ce­ranno lavo­ra­tori dipen­denti e “co​.co​.co.” con un red­dito lordo annuo sino a 26mila euro. Ma non i pen­sio­nati. Non gli auto­nomi (i nababbi delle par­tite Iva). Non i cosid­detti inca­pienti (chi in un anno gua­da­gna meno di 8mila euro). Non chi non ha soste­gno al red­dito. Come dire: aiu­tiamo i poveri sì, ma con mode­ra­zione. Chi esa­gera non merita che gli si dia una mano.
Quanto all’ammontare, qual­cuno effet­ti­va­mente vedrà gli 80 euro. Per tanti saranno invece molto meno per­ché il bonus è para­me­trato sullo sti­pen­dio e sul numero dei giorni lavo­rati. Com’è giu­sto. Un fan­nul­lone che non lavora tutto l’anno ma, poniamo, un giorno su tre, pren­derà un terzo del bonus, 27 euro. Così impara. Per chi, come tanti inse­gnanti medi per esem­pio, o molti ope­rai, gua­da­gna 1400 euro al mese, il bonus sarà di 60 euro. In com­penso, chi lavora da tempo ed è arri­vato alla cifra iper­bo­lica di 1800 euro, non solo non avrà niente ma anzi ci rimet­terà qual­cosa. Si chiama soli­da­rietà. O forse guerra tra poveri. Sta di fatto che il bonus in media (quella del famoso pollo) sarà all’incirca di 50 euro. Anche se non è di moda dirlo. E c’è da scom­met­tere che chi di dovere ha ben con­si­de­rato che si voterà prima che arri­vino le nuove buste-paga. Ma la que­stione è soprat­tutto poli­tica. E morale. E culturale.
Se si danno que­sti soldi è per­ché c’è un pro­blema. Anzi due. C’è la sta­gna­zione, che va con­tra­stata aumen­tando il red­dito, esat­ta­mente il con­tra­rio di quanto sinora tutti i «governi del pre­si­dente» hanno fatto, con la scusa dell’Europa. E c’è la povertà dif­fusa e cre­scente. Che mette sotto accusa il sistema economico-sociale e che richie­de­rebbe quindi rispo­ste orga­ni­che, non misure estem­po­ra­nee. Le quali sareb­bero comun­que ben­ve­nute – inten­dia­moci – qua­lora si inse­ris­sero in un qua­dro di inter­venti strut­tu­rali. Senon­ché di que­sti non vi è trac­cia. Anzi, sono evi­tati come il fumo negli occhi. Da que­sto punto di vista è vero, si tratta pro­prio di un’elemosina. Non è il rico­no­sci­mento di un diritto, ma una gra­ziosa rega­lia. Un inter­vento com­pas­sio­ne­vole, come amava dire il pre­si­dente Bush. Degno dello Stato sociale del vec­chio Bismarck. O, per stare alle pro­por­zioni, del buon Tre­monti della “Carta acquisti”.
Del resto, la logica è smac­ca­ta­mente elet­to­ra­li­stica, ber­lu­sco­niana più che demo­cri­stiana. Biso­gna che la gente impari la lezione: dob­biamo tutto pro­prio a Lui, al nuovo sal­va­tore. Che, pur di «cam­biare il paese», non esita a scon­trarsi con isti­tu­zioni e sin­da­cati, covi di paras­siti e di con­ser­va­tori. Lui, a sua volta, non fa mistero di con­si­de­rarsi l’incarnazione del nuovo che avanza. Indo­mito, lotta con­tro tutti. Men­tre la stampa gli suona la gran­cassa. Men­tre la sua parte poli­tica gli spol­vera la giacca. E que­sto sarebbe il Par­tito demo­cra­tico, l’erede legit­timo dei Costi­tuenti. I quali, se vedes­sero, si rivol­te­reb­bero nelle loro tombe.
Non­di­meno si potrebbe dire: meglio un aiuto a pochi che a nes­suno; meglio pochi spic­cioli che niente; meglio il dema­gogo che redi­stri­bui­sce del poli­tico sobrio che lascia a bocca asciutta. Chi si lamenta «rosica». Mena il can per l’aia per­ché non vuole rico­no­scere che il governo ha inver­tito la ten­denza al rigore e alla reces­sione, imboc­cando riso­lu­ta­mente la strada delle poli­ti­che espansive.
Ammet­tiamo che sia così: che dema­go­gia e demo­cra­zia siano sorelle, che il cit­ta­dino vesta senza imba­razzo i panni del sud­dito cliente. Resta comun­que il pro­blema dei pro­blemi, quello delle coper­ture. Intorno al quale non per caso è divam­pata più aspra la pole­mica con i cri­tici del prov­ve­di­mento. Quest’anno il bonus costerà tra i 5 e i 7 miliardi (circa 9 a regime). Da dove pren­derà il governo que­sti soldi? Per­ché su una cosa non si può discu­tere: per­ché si tratti di una misura espan­siva, biso­gna che essa redi­stri­bui­sca, e redi­stri­buire signi­fica pren­dere da una parte e dare a un’altra. Qui l’asino – senza allu­sioni – inciampa e casca rovinosamente.
Non occorre un master in eco­no­mia per capire che, per come stanno le cose oggi in Ita­lia, c’è un solo modo per risol­vere il pro­blema in chiave redi­stri­bu­tiva: variare i saldi della fisca­lità gene­rale affon­dando il bisturi nella can­crena dell’evasione fiscale. Quindi, nell’immediato, col­pire i grandi patri­moni, che ne sono indi­scu­ti­bil­mente frutto. In un’Europa oli­gar­chica e ini­qua l’Italia vanta, è noto, molti record. La cor­ru­zione, la mafia, l’analfabetismo di ritorno. L’immobilità sociale, i bassi salari, l’economia som­mersa. La disoc­cu­pa­zione gio­va­nile e fem­mi­nile, la caduta degli inve­sti­menti pub­blici in for­ma­zione e pri­vati in ricerca. Ma l’evasione segna il record dei record, un cri­mine che imper­versa da trent’anni e che si porta con sé la ver­go­gna di un paese in cui il 10% delle fami­glie pos­siede quasi la metà della ric­chezza nazio­nale. Stando all’Agenzia delle entrate, siamo ormai oltre i 270 miliardi, un quinto del Pil. Quanti bonus potrebbe distri­buire il governo se deci­desse di pescare in que­sto mare? Se, così facendo, spez­zasse final­mente la tren­ten­nale infran­gi­bile con­ti­nuità tra la destra, il cen­tro e la sedi­cente sini­stra di governo?
Invece no. Chi parla di patri­mo­niale è preso per pazzo: un bar­baro che non capi­sce in che mondo stiamo. All’evasione si fa qual­che rife­ri­mento, giu­sto per dire che è un pro­blema serio, grave, dif­fi­cile però da risol­vere. D’altronde, come potrebbe il governo muo­versi altri­menti, posto che Alfano e Ber­lu­sconi sono lì per pro­teg­gere i ric­chi e che il Pd ne dipende? Ammesso che, potendo, cam­bie­rebbe le cose.
Ma que­sto signi­fica, gio­co­forza, che anche sta­volta il governo si ser­virà dei soliti stru­menti. Le pri­va­tiz­za­zioni (che, oltre a non essere misure strut­tu­rali, pon­gono le pre­messe per un’ulteriore cre­scita del debito pub­blico). Nuove impo­ste dirette e indi­rette (che hanno il grande van­tag­gio di pesare su tutti in egual misura). E soprat­tutto altri tagli alla spesa pub­blica: al wel­fare, ai tra­sfe­ri­menti agli enti locali e alle pub­bli­che ammi­ni­stra­zioni, agli sti­pendi dei dipen­denti pub­blici, alle pen­sioni. Per cui, in buona sostanza, il bonus ai lavo­ra­tori dipen­denti saranno i lavo­ra­tori dipen­denti stessi a pagarlo, come nelle migliori par­tite di giro.
Di que­sto si tratta. Tutto il resto è chiac­chiera. Che il pre­si­dente del Con­si­glio e i suoi cori­fei pos­sono amman­nirci pres­so­ché indi­stur­bati solo per­ché, invet­tive a parte, non c’è più in Ita­lia un’opposizione poli­tica in grado di farsi valere. Né una stampa di infor­ma­zione indi­pen­dente, ma solo ormai un plum­beo sistema di pro­pa­ganda. Pro­prio come quando c’era Lui, quello vero. Con l’aggravante che oggi nes­suno rischie­rebbe olio di ricino né bastonate.
A pro­po­sito. Scri­veva Sal­va­tore Satta pro­prio settant’anni or sono che l’essenza del regime fasci­sta con­si­steva in que­sto: «che i suoi pen­sa­menti e le sue azioni erano costan­te­mente e fatal­mente deter­mi­nati dalla neces­sità di lega­liz­zare una situa­zione di rovina, della quale esso mede­simo aveva posto le cause». Molto da allora è cam­biato, non c’è dub­bio. Ma non il fatto che «il gruppo di per­sone che si iden­ti­fi­cava con lo Stato innal­zava sugli altari se stesso». E che al posto della legge imper­ver­sava «l’arbitrio della pre­do­ne­ria». Sem­bra il gioco dell’oca. Si fa un lungo giro per ritro­varsi dac­capo al punto di par­tenza. Sarà per que­sto che suona attuale anche il titolo che il povero Satta diede a quel suo libri­cino: “De profundis”.

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